Il punto

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L'indomani ad accogliermi al mio risveglio il profumino della deliziosa mano culinaria di mia Zia. Sentivo l'olio soffriggere in pentola.
Mi stiracchiai e ancora sul divano ricevetti il saluto mattutino del sole.
Alzatomi dal divano, diretto in camera mi imbattei nelle solite cianfrusaglie e nelle solite episcopali lasciate sul tavolo da mia Zia. Non mi soffermai più di tanto su di esse e le riposi nel solito mobile dove archiviavamo tutti i documenti arrivati in quella casa.
Salii le scale a chiocciola diretto verso la mia claustrofobica stanza. Presi svogliatamente dei vestiti dalla sedia e mi recai verso la doccia. Assopito nei miei pensieri trascorsi una mezz'ora accarezzato dal flusso delicato dell'acqua. Uscito dal bagno vestito dei soliti pantaloni strappati e del solito ed immancabile cappuccio, scesi le scale e mi diressi verso la porta.
Uscendo accennai un saluto a mia zia.
Nessuna risposta. Accostai la porta in cerca di qualche segno d'affetto materno. Invano.
Col rammarico quotidiano proseguii il mio cammino verso il portone di legno massiccio sempre aperto del palazzo.

Passarono 2 ore e vagabondavo per la città in cerca di occasioni. Occasioni di riscatto.
New York caotica come sempre sprigionava quella sua caratteristica energia mattutina.
Prosegui verso i lavori incompiuti di un vecchio grattacielo... Il punto.
Chiamato comunemente dalla mia banda.
Arrivato, accertatomi di non essere seguito solcai il perimetro transennato e corsi verso l'ascensore del primo piano. Questo edificio incompiuto, progetto da uno dei più grandi architetti Americani abbandonato per la mancanza di fondi rimasto inaccessibile a molti poichè l'unico modo per raggiungere i piani era percorrere ed arrampicarsi sul filo metallico nella tromba dell'ascensore ed essendo tagliante,praticamente arrivare al primo piano era un opera masochista.
Raggiunta la corda d'acciaio. Sorrisi. E come ogni volta mi calai dalla botola entrando così nell'ascensore ormai pavimento della sua stessa tromba. Una volta qui. Spinsi i bottoni : 1-8-13-10-14 risalii dalla botola sovrastante l'ascensore. E mi aggrappai alla corda. Ora non dovevo far altro che aspettare il moto degli ingranaggi. Era l'unico modo per salire e io e la mia banda sfruttavamo questo difetto di funzionamento a nostro vantaggio... Era stato un giorno il nostro Igor a scoprire questo sbaglio d'accensione dopo l'ennesimo tentativo fallito di far partire il montacarichi.
Dopo un rombo assordante, finito il moto degli ingranaggi, mi lanciai sul parapetto del primo piano. Volai e per quell'istante mi sentii libero. Riuscii ad aggrapparmi per poco. e riuscii a ad accedere al nostro covo: l'inaccessibile primo piano. Percorsi il corridoio e raggiunsi la stanza ... Più precisamente l'aula 53 del primo piano quasi completamente sconosciuto a me. Bussai. E dissi :- Sono Voch - una voce roca mi rispose invitandomi ad entrare.
Scostai la porta di legno levigato. I cardini arrugginiti ebbero bisogno di una mia leggera spinta aperta la porta un raggio di luce investì il viso... Ero arrivato a destinazione.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 13, 2015 ⏰

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