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GIUNGLA

James sbucò in giardino. Aveva terminato la "roba" e si era recato lì per procurarsene altra. Il cortile di Mark, retrostante la sua villa, era ormai una tappa d'obbligo per il proseguimento della sua attività. Ogni volta che James ci metteva piede se lo raffigurava come un porto losco e malsano, dedito al traffico di merce illegale. La differenza risiedeva sul fatto che si affacciava su una piscina dalle mattonelle brillanti e non su un mare sudicio a causa degli scarichi fetidi riversati dai marinai.

Una ragazza fumava placida sullo sdraio, a pancia in giù, mentre Mark le massaggiava la schiena, liscia come un ciottolo levigato. Era la stessa tipa che aveva notato alla festa di giugno.

"È uno schianto", considerò James quando lei si tirò su con avvenenza, girandosi nella sua direzione. Le si presentò come amico e socio in affari di Mark.

La mulatta reagì in modo compassato. «Piacere, io sono Jennifer. Anche tu sei entrato nel giro, mi pare di intuire», commentò apaticamente. Doveva essere certamente consapevole di cosa lui intendesse per "socio", come se le fosse capitato più di una volta di sentirselo dire da conoscenti del suo fidanzato.

Mark fece un salto nel retro di casa e tornò con una busta in plastica ricolma d'erba. «Andiamo a preparare le dosi, James», chiarì.

Si appartarono in soggiorno, sul sofà.

Jennifer si mise a pescare dalla busta la marijuana e a pesarla su un bilancino, prima di confezionare la giusta quantità nel cellophane. "Ci sa fare", appurò James.

Mark gli chiese di raccontargli com'era andato l'avvio dello spaccio e se avesse avuto problemi di qualche tipo.

«Le consegne vanno bene, nessuno scazzo degno di nota fortunatamente», replicò James. La sua cerchia di consumatori stava assumendo contorni più definiti, con l'acquisizione di clienti abituali, e si allargava ogni giorno di qualche unità. Grazie all'apporto della sua compagnia di skater, qualcuno che ruotava attorno allo skatepark gli si era fatto avanti interessato a rifornirsi. Il suo telefono di casa squillava più spesso del solito e ogni volta un accento diverso faceva la sua comparsa dall'altra parte del filo, chi alla caccia di qualche grammo a basso costo, chi intenzionato a richiedere informazioni di carattere generale, come il prezzo o la qualità dell'erba.

«Solo un piccolo impedimento con una vecchia tossica, poco propensa a pagare...», appuntò.

Gli era capitato infatti che una signora l'avesse chiamato per procurarsi della sostanza. Il punto d'incontro concordato, un parchetto incassato tra i palazzi e nascosto da folti salici, era distante, non raggiungibile a piedi, così si era spostato per il labirinto di strade della città con il bus. Nel tragitto aveva tenuto alta la soglia di attenzione, spostando gli occhi freneticamente da una parte all'altra per esser certo che non ci fosse polizia alle sue tracce o nei paraggi. Mark gli aveva intimato che se fosse stato colto in flagrante non gli conveniva spifferare il suo nome, e lui avrebbe adottato ogni accorgimento per non cacciarsi in quella circostanza sgradevole.

«Dunque, mi sono avvicinato a lei e ho chiesto i soldi che mi doveva. Aveva un aspetto poco raccomandabile, malandato... pupille spalancate, sudorazione intensa, corpo scavato e irrequieto: con buona probabilità era in astinenza da droghe pesanti. Voleva che prima le dessi l'erba, che poi avrebbe tirato fuori i soldi... diceva di non fidarsi, che temeva che fuggissi con il denaro.»

«Spero tu non ci sia cascato, fratello... è un trucco comune», sentenziò Mark.

«Le ho intimato che senza pagarmi poteva pure smammare. E qui ecco il colpo di scena: mi ha agitato davanti un coltellino e mi ha minacciato di farmi del male, se non le avessi dato la roba gratis.» Era stato previdente e anche in quell'occasione si era attrezzato per evitare situazioni spiacevoli. Riponeva sempre in una tasca interna del suo zaino un coltello a serramanico, come arma di difesa da utilizzare in caso di necessità.

Summer 98Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora