La casa degli affetti ritrovati

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Brian

Sono una persona affidabile. Dovrei essere fiero della stima che la gente che conosco ripone in me. Il fatto è che tutti si aspettano che io faccia qualcosa per loro: che assolva a compiti di responsabilità, situazioni complicate da risolvere, mi incontrano per la strada e sono animati dalla speranza che trovi per loro sempre parole di conforto. Certo, sono un uomo di fede e un frate è il pastore, la guida del proprio gregge. Una metafora scontata, ma la gente è proprio così che mi vede: un punto fermo, un faro che rischiara la loro buia notte.

Non mi sono sempre preso cura dell'animo umano, quando ero giovane preferivo la compagnia della solitudine, per pensare, leggere, cercare di capire come mi sarei dovuto comportare con conoscenti e amici, in particolare da quando un pensiero, dapprima appena accennato, divenne sempre più consapevolezza e anelito verso un totale cambiamento della mia vita. Un'esistenza proiettata verso il sostegno al prossimo e già i presupposti li avevo iniziati a vedere a scuola, quando qualcuno mi chiedeva un aiuto, ero sempre pronto ad offrirglielo, senza chiedere mai nulla in cambio. Ma avrei dovuto combattere contro le resistenze che si sarebbero alzate, come insormontabili palizzate, da parte della mia famiglia, in particolare di mio padre, che già stava intessendo una rete di conoscenze, per aiutarmi a trovare una giusta collocazione nel mondo del lavoro.

La mia affidabilità, unita alla fermezza nei miei propositi e alla sicurezza di qualunque lavoro condotto a termine, convinse evidentemente mio padre a parlarmi senza mezzi termini di occuparmi in futuro di Alison. Il ricordo di quella sera è ancora vivido dentro di me: aveva aspettato che tutti raggiungessero le loro stanze e quando finalmente anch'io mi ero deciso ad andare a coricarmi, con un cenno della mano mi invitò a sedermi accanto a lui davanti al caminetto.

Con movimenti lenti, misurati riempì la pipa di tabacco, l'accese, ne aspirò una boccata e rimase per un istante a guardare fisso un punto della stanza. La casa era già silenziosa e, senza guardarmi negli occhi, ma tenendo lo sguardo fisso verso la fiamma, iniziò a parlare di Alison, che non gli piaceva che avesse troppi grilli per la testa, era una femmina e doveva avere più rispetto del suo ruolo. Aveva accennato alle sue amicizie alquanto discutibili e a quel suo desiderio di conoscere il mondo. Quella ragazza diventerà la vergogna della famiglia, se non ci sarà qualcuno che si prenda cura di lei oltre a noi genitori. Queste parole risuonano ancora dentro di me come un monito.

Una profonda tristezza mista ad un senso di smarrimento trapelava dal suo sguardo lievemente velato, che ora cercava il mio con insistenza, come un segugio che fiuta e rincorre la sua preda. E quel qualcuno ero proprio io, sì, mio padre mi aveva designato quale tutore di mia sorella e perché non lo deludessi o eludessi la sua richiesta, mi fece promettere che mi sarei preso cura di lei in ogni momento della mia vita, finché non avesse trovato quel giusto equilibrio in un buon matrimonio, che mi avrebbe dispensato dal mio incarico.

Lo giurai, nonostante avvertissi la gravità del mio incarico. Avrei dovuto vegliare su mia sorella, senza destare in lei il seppur minimo sospetto, come se fossi il suo angelo custode. Promisi ancora di onorare con solerzia il mio impegno e un guizzo di gioia rasserenò quel suo cupo sguardo. Ma non era facile seguire Alison nel suo spericolato percorso, pur essendo una ragazza intelligente era sola e si fidava troppo degli altri.

Sarò vicino a lei durante questo cammino tortuoso, ma non subito e non sempre, in fondo non posso evitarle quelle esperienze che l'avrebbero costretta a crescere, fortificandole il carattere, ma le sarò accanto quando meno se lo aspetterà.

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