Capitolo 01

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La pioggia cadeva senza tregua su Noct, martellando le strade annerite e scivolose. Non era mai una pioggia pulita: portava con sé residui tossici, scorie industriali che si depositavano sui palazzi e sui corpi di chi viveva abbastanza in basso da essere colpito. Daniel camminava con il cappuccio tirato sopra la testa, le mani infilate nelle tasche del suo vecchio giubbotto. Sotto i suoi piedi, i marciapiedi sbiaditi erano un mosaico di crepe e pozzanghere oleose, riflessi distorti delle luci al neon che si estendevano sopra di lui come cicatrici luminose.

Era una notte come tante altre. Aveva appena terminato una consegna per uno dei tanti piccoli criminali che si arrangiavano nei bassifondi di Noct, vendendo droghe sintetiche o componenti tecnologiche rubate. Non era il lavoro che aveva sognato, ma non era nemmeno il peggiore. Daniel si limitava a fare quello che doveva per sopravvivere. Una corsa qua, un messaggio là, niente di troppo rischioso. Tenere un basso profilo era la chiave per sopravvivere in una città come quella.

Noct era una giungla di acciaio, un insieme di livelli sovrapposti che separavano i ricchi, che vivevano nei grattacieli sfarzosi sopra le nuvole, da quelli come Daniel, relegati nei bassifondi, nei vicoli dove il sole non arrivava mai. Lì, al piano terra della città, si muovevano i dimenticati, i disperati, quelli che cercavano di trovare un senso in un mondo che sembrava averli abbandonati.

Daniel alzò lo sguardo verso l'alto, oltre i tetti scrostati, verso l'infinita colonna di costruzioni che si stagliava contro il cielo scuro. Le pubblicità olografiche volteggiavano tra i grattacieli come spettri colorati, promettendo una vita che lui non avrebbe mai potuto permettersi. "Una nuova vita con Hirako," recitava uno degli slogan, accompagnato dall'immagine sorridente di una famiglia perfetta. La megacorporazione controllava tutto: i servizi, la sicurezza, le informazioni. Se qualcosa si muoveva a Noct, era perché la Hirako lo permetteva.

Ma per Daniel, quella era solo un'illusione. Noct non cambiava mai davvero. Era sempre lo stesso ciclo: lavori sporchi, paghe misere, e un'altra notte spesa a cercare di non pensare troppo a cosa sarebbe stato il futuro. Non c'era futuro, non qui sotto.

Arrivò finalmente al suo appartamento, se così si poteva chiamare. Una stanza umida e spoglia, con pareti sporche di muffa e una finestra minuscola che dava su un cortile pieno di rifiuti. Tolse il cappuccio, lasciando che l'umidità gli appiccicasse i capelli scuri alla fronte, e si buttò sul letto sfatto. Un'altra notte, pensò, come tutte le altre.

Ma quella notte non era come le altre.

Dopo qualche ora passata a fissare il soffitto, incapace di prendere sonno, decise di uscire di nuovo. Non sapeva cosa lo spingesse, forse solo il desiderio di sentirsi vivo in una città che ti prosciugava l'anima. Uscì di nuovo nei vicoli, senza una direzione precisa, camminando a caso tra le ombre e i rumori lontani delle macchine che si muovevano sopra di lui, nel cuore ricco della città.

Fu allora che la vide.

Il vicolo era stretto, nascosto tra due edifici abbandonati. Un posto come tanti altri, dove nessuno si sarebbe fermato a guardare. Ma Daniel lo fece. Tra i mucchi di spazzatura, un riflesso metallico catturò la sua attenzione. Si avvicinò lentamente, con cautela, gli stivali che schiacciavano i pezzi di vetro e plastica sul pavimento.

All'inizio sembrava solo un cumulo di rottami, un'ennesima vittima della città che aveva gettato via tutto ciò che non le serviva più. Ma quando si avvicinò di più, capì che non era così.

Era una figura. Il corpo di una donna, o almeno sembrava tale a prima vista. La pelle, dove non era strappata, sembrava incredibilmente reale, troppo reale per essere un semplice automa da lavoro. I vestiti strappati lasciavano intravedere danni meccanici: cavi spezzati, parti mancanti, circuiti esposti. Eppure, nonostante le ferite evidenti, c'era qualcosa di straordinario in quel corpo.

Daniel si bloccò, il cuore che batteva più forte del solito.

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