3-Vecchi ricordi

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Non avevo programmato di vederla così sorridente e indaffarata a servire i suoi clienti che guardava con aria compiaciuta, o perlomeno, non pensavo che vederla potesse essere così devastante. Un vero colpo al cuore.

Fu come vederla di nuovo per la prima volta.

Bella da togliere il fiato, anche con addosso quella divisa da caffetteria e con quell'aria un po' selvaggia che per fortuna aveva ancora cucita addosso. Anzi ero enormemente sollevato che non l'avesse persa durante tutto questo tempo.

Avevo impiegato mesi, anni e molto altro per arrivare a conoscere il luogo dove si era trasferita. Ci avevo impiegato veramente tanto, forse troppo, ma appena la vidi ebbi la conferma che ne era assolutamente valsa la pena. Lo avrei fatto altre cento volte.

Mi ritrovai a sorridere nel parcheggio da solo come un imbecille.
«Proprio da lei» sussurrai al vento.

Southbeach sembrava essere stata fatta apposta per Diana. Piccola, tranquilla e solare. La osservai rapito da lontano. Perso ed incantato come un adolescente alle prese con la sua prima cotta. Era stupenda.

Uno schiaffo avrebbe fatto meno male.

Erano passati quattro fottuti anni.

Quattro fottuti anni che non la vedevo, non sentivo il profumo della sua pelle e soprattutto non la toccavo. Non ammiravo più le costellazioni che creavano quelle sue meravigliose lentiggini sul viso.

Quattro anni che mi era fottutamente mancata come l'aria.

Non avrei negato che le mie prime intenzioni erano state quelle di riprendermela e di riconquistarla subito. Fremevo dalla voglia di farlo.

Ma in questi anni ero maturato e cresciuto. Non ero più il ragazzino di una volta.

Ora ero un uomo. Un uomo adulto. Non avrei fatto lo stesso errore.

L'avrei sedotta. Pezzo dopo pezzo.

Dovevo ammettere che prima di prendere il primo aereo per Southbeach, un pensiero aveva preso vita nella mia testa. Una possibilità a cui volevo rifiutarmi categoricamente di credere. «Non si è rifatta una vita. Non si è dimenticata di te.» mi ero ripetuto più volte su quella maledetta poltrona dell'aereo che sembrava volermi stritolare.

Dire che avevo vissuto in questi anni sarebbe stato un eufemismo. Piuttosto avrei potuto dire di essermi trascinato avanti a peso morto, per poter sopravvivere e cercare di andare avanti. Ma non ce l'avevo fatta.

Appena avevo saputo qualcosa da chi di dovere, avevo prenotato il primo biglietto aereo disponibile sul primo sito a caso in cui ero capitato.

Sul momento non me ne era importato molto. Sarebbe bastata anche una sola scintilla di speranza a farmi alzare il culo da quella sedia nello studio, che ormai avevo sformato, a forza di rimanere lì immobile.

Avevo fatto i salti mortali per prendere quel biglietto e non avevo intenzione di tornare indietro tanto presto.

La mia casa era sempre stata lei, non quel postaccio inaccogliente e insipido da cui ero scappato. Forse, prima della partenza avrei potuto ragionarci sopra un po' di più, valutare i pro e i contro, capire dove avrei dormito, cosa avrei mangiato...cosa avrei fatto. Ma avevo l'assoluta certezza che nemmeno questo sarebbe bastato per smorzare il bisogno impellente di rivederla.

Quando l'avevo immaginata nella mia testa l'ultima volta i suoi contorni avevano iniziato a sbiadire. A dissolversi. Mai in vita mia avevo provato sulla mia pelle una sensazione di vuoto e di perdita così grande.

Probabilmente quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso e farmi ritrovare qui. In mezzo alla spiaggia, nel parcheggio dove speravo di poterla vedere di nascosto e su cui ero anche quasi riuscito a farmi beccare.
Per fortuna che stava cercando qualcosa nella borsa. «Sbadata come sempre» sussurrai accucciato dietro al furgone. Imbarazzante. Il Rhys di qualche anno fa mi avrebbe preso in giro a vita.

«Dio Rhys! Adesso ti nascondi» mormorai a me stesso. Iniziavo seriamente a preoccuparmi per la mia salute mentale. Ero sconvolto. Da me stesso, da lei e da tutto.

Sì, forse avrei dovuto farlo con più freddezza. Non sapevo da dove poter iniziare.
Ma ormai ero qui, avevo fatto la mia scelta e avrei cavalcato l'onda fino all'ultimo, anche a costo di ribaltarmi più volte. 

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