capitolo 1

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Il viaggio di Clorinda verso la capitale iniziò all’alba, quando il cielo era ancora colorato da una
sfumatura rosata che si confondeva con il primo grigio della luce del mattino. Le montagne si
stagliavano imponenti all'orizzonte, imbiancate di neve sulle vette più alte, mentre ai loro piedi si
stendevano fiumi che tagliavano la terra con riflessi argentei. L'aria era pungente, e la ragazza,
avvolta in una mantella di lana pesante, si sistemava scomoda sul sedile della carrozza di
famiglia. Il rumore delle ruote di legno sul terreno sconnesso era l'unico suono che le faceva
compagnia.
Stava partendo dal paesino rurale che aveva chiamato casa per tutta la sua vita. Casa sua,
sebbene lontana dal cuore del regno, era lussuosa per gli standard locali. La sua famiglia era una
delle più ricche della zona: possedevano terre a perdita d’occhio, bestiame, e le loro proprietà si
estendevano fino ai confini della città. Tuttavia, quella prosperità non era mai stata abbastanza per
Clorinda. Era consapevole che la sua ricchezza non le garantiva la libertà che desiderava.
La decisione di portarla in città per organizzare il matrimonio con il suo cugino lontano era stata
presa con una tale leggerezza, come se il suo futuro non le appartenesse, come se fosse solo
un’altra proprietà da gestire. Clorinda ricordava nitidamente il giorno in cui sua madre, con un
sorriso dolce ma privo di empatia, le aveva annunciato la notizia. La giovane aveva sentito un
nodo stringersi nel petto, un’inquietudine che non riusciva a dissipare. Sapeva che la sua vita
stava cambiando, e non poteva farci nulla.
La campagna era sempre stata il rifugio sicuro, un luogo dove l’infanzia si era dilatata tra prati
verdi, alberi rigogliosi e l’odore dolce del grano maturo. Le giornate scorrevano lente, scandite dai
ritmi della natura, lontane dalle pressioni di un mondo che stava appena iniziando a scoprire. Era
stata una vita fatta di corse tra i filari, di risate semplici e di sogni senza confini, ma anche di
aspettative silenziose, mai dette apertamente ma ben presenti. Era cresciuta sapendo che un
giorno sarebbe stata costretta a fare una scelta, o meglio, che la scelta sarebbe stata fatta per lei.
Il matrimonio era sempre stato lì, una presenza lontana ma inevitabile, un sigillo su un futuro che
non le apparteneva del tutto.
La spensieratezza dell’infanzia le scivolava tra le dita come sabbia, ogni decisione presa per lei,
ogni dovere familiare la spingeva verso un cammino che non desiderava. Le serate passate a
osservare il cielo stellato dalla finestra della sua stanza, immaginando un futuro diverso, erano
ormai un ricordo lontano, come i campi che lasciava alle spalle. Sapeva che non sarebbe più tornata alla sua vecchia vita. Il mondo che conosceva stava scomparendo, sostituito dall'ombra di
una nuova realtà che non le avrebbe più permesso di essere la ragazza che correva libera tra le
colline.
«È per il tuo bene, Clorinda,» le aveva detto sua madre, Lisandra, accarezzandole i capelli. Era
una donna di rara bellezza, una figura eterea con lunghi capelli biondi e occhi azzurri, freddi come
il ghiaccio. «Conoscerai il tuo futuro marito. È un buon partito, e ha bisogno di una moglie che
possa assicurargli un'eredità.»
Quelle parole avevano risuonato come un destino già segnato, e Clorinda aveva provato un moto
di ribellione interiore, una rabbia silenziosa. Non era mai stata la figlia perfetta, quella che sua
madre avrebbe voluto. I suoi capelli castani e ricci, con riflessi rossicci che brillavano solo sotto la
luce giusta, contrastavano nettamente con il modello di purezza e delicatezza che le veniva
imposto. I suoi occhi castano scuro non avevano la luminosità della madre, e i suoi lineamenti,
troppo duri e decisi per la sua età, la rendevano diversa dalle giovani nobildonne a cui era stata
abituata a paragonarsi.
La carrozza sobbalzò su una pietra e Clorinda si risvegliò dai suoi pensieri. Il viaggio si stava
prolungando più di quanto avesse immaginato, e la strada era tortuosa, serpeggiando attraverso
le montagne. Ogni tanto, la carrozza si fermava per far riposare i cavalli, e in quei momenti,
Clorinda scendeva, respirando profondamente l’aria fresca e osservando il paesaggio che si
stendeva davanti a lei. Le montagne, maestose e imponenti, la facevano sentire piccola, quasi
insignificante. Sotto di esse, il fiume scorreva lentamente, il suono dell’acqua che s’infrangeva
contro le rocce era l’unico conforto in quella solitudine.
La giovane non aveva mai desiderato la vita di città. Il suo piccolo villaggio, pur essendo isolato,
le aveva sempre offerto un senso di pace. Le grandi foreste, i campi coltivati, il profumo della terra
dopo la pioggia. La capitale, invece, l’aveva sempre spaventata, troppo caotica, troppo lontana
dal suo mondo. Ora, però, quella città sarebbe diventata la sua nuova casa, almeno per un po'.
Clorinda osservava i dettagli del viaggio con un misto di curiosità e timore. Ogni curva, ogni
avvallamento del terreno, sembrava condurla verso un futuro incerto. Sapeva che la sua vita
sarebbe cambiata radicalmente una volta giunta a destinazione, e quel pensiero le provocava un
nodo allo stomaco.
Man mano che la carrozza si avvicinava alla capitale, Clorinda poteva vedere la trasformazione
del paesaggio. Le dolci colline lasciavano spazio a una distesa di pianure fertili, dove campi
coltivati si estendevano a perdita d'occhio. Poi, improvvisamente, le prime abitazioni iniziarono a
comparire all'orizzonte: case di legno semplici, con tetti di paglia, dove contadini piegati dal
lavoro accoglievano la fine della giornata. Era chiaro che stavano entrando nei sobborghi della
città. L'odore dell'aria cambiò, diventando più pesante, intriso di fumo e del sudore della folla.
Finalmente, le alte mura della capitale apparvero in lontananza. Massicce e imponenti,
proteggevano una città che pulsava di vita. Clorinda sapeva che quella era la città del potere,
della ricchezza, ma anche della povertà estrema. I suoi occhi si concentrarono sui particolari: le
torri merlate che si stagliavano contro il cielo ormai serale, le porte di legno rinforzate da metalli
pregiati, e il simbolo della famiglia reale, scolpito in pietra sopra l’ingresso principale.
La capitale era una meraviglia architettonica, ma a Clorinda non sfuggì la contraddizione che la
città incarnava. Dietro l’eleganza dei palazzi dei nobili, nascosti nelle ombre delle viuzze, si
intravedevano figure trasandate e sporche, mendicanti e bambini scalzi che correvano lungo le
strade. Per ogni carrozza dorata che attraversava i viali principali, c'erano decine di persone che
si accalcavano ai lati della strada, cercando di elemosinare qualche moneta. Clorinda osservò
tutto con attenzione, il cuore che batteva forte nel petto. Era consapevole che stava entrando in
un mondo diverso dal suo, un mondo di sfarzo, sì, ma anche di miseria.
Il regno era cambiato molto da quando il giovane principe Achernar era salito al trono. Le voci
sulla sua misteriosa assenza dalle questioni pubbliche si rincorrevano nei salotti dei nobili e nelle
taverne dei poveri. Qualcuno lo considerava un re distante, quasi indifferente, mentre altri
sostenevano che fosse vittima di intrighi di corte. Nonostante tutto, pochi avevano avuto l’onore
di vederlo di persona. Anche Clorinda, pur avendo sentito parlare molto di lui, non aveva mai
potuto formarsi un’idea precisa. Quel mistero, quell’aura di segretezza che circondava la figura di
Achernar, rendeva il suo arrivo nella capitale ancora più inquietante.

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