Quella sera, lo stadio Artemio Franchi era pieno di tifosi, più del solito, di tutte le età e di tutti i generi. Bambini, accompagnati dai nonni o dai padri, vivevano per la prima volta quello che sarebbe stato l'amore di una vita. Negli occhi di ognuno di loro si accendeva la passione per quella squadra, la squadra in cui riponevano i loro sogni, che non sarebbero mai svaniti, custoditi nei ricordi più felici dell'infanzia.
Anche Duccio aveva iniziato ad andare allo stadio da piccolo, affezionandosi giorno per giorno al calcio. Se prima seguiva le partite con suo padre e suo zio, con gli anni, la compagnia era diventata quella dei suoi amici, fan ancora più sfegatati di lui, tanto da essere spesso trascinato anche quando non ne aveva particolarmente voglia, come quel giorno.
Dati i vari impegni di lavoro, Marco aveva dovuto abbandonare il suo passatempo preferito, cioè recarsi allo stadio ogni qual volta ne aveva la possibilità. Dopo settimane di astinenza, era riuscito a prendere i biglietti per lui, Gherardo e Barto; aveva provato a convincere Duccio, il quale si era rifiutato per restare a casa e impegnarsi sulla sua musica, o, almeno, così sperava. All'ultimo minuto, Ghera aveva dato buca e no, Marco non avrebbe lasciato a casa quel sacro biglietto che si era sudato con fin troppa fatica.
«Da quando non ti piace più venire allo stadio?» Il platinato si lamentava, mentre saliva i gradoni degli spalti, stringendo tra le mani la sua birra e le patatine comprate per non morire di fame.
«Quando mai ho detto che non mi piace più? Semplicemente si avvicina Sanremo e dobbiamo provare» Il ragazzo si girò stizzito verso l'amico che lo seguiva. Per primo si sedette sulla poltroncina di plastica, seguito dagli altri due.«Vabbè dai, abbiamo provato anche ieri. Vedrai che ne varrà la pena» Marco, con voce elettrizzata, era fiducioso per quella partita, si sentiva che sarebbe andata bene. Duccio sorrise scuotendo la testa e, insieme a Barto, iniziò a scroccare le patatine dal sacchetto del platinato posto al centro tra loro. Mancava ancora un po' al fischio di inizio, gli spalti colorati di viola risaltavano nel tipico buio freddo di una sera di gennaio.
«Oh, mi avete rotto i coglioni, andatevele a comprare!» Spazientito, il platinato tirò via il suo cibo dalle mani avide degli amici.
«Va' Duccio!» Il ragazzo paffuto lo indicò prontamente, suscitando la sua reazione indignata.
«Ma perché io?!» Alzò le braccia al cielo.
«Tu non hai pagato il biglietto»
«Che cazzo vuol dire?! Mi avete chiamato un'ora fa per rimpiazzare Ghera, non ho avuto neanche il tempo di ripagare il biglietto al posto suo!»
«Gne gne, tutte scuse» Barto gli fece il verso.Quando Duccio capì che l'amico non era intenzionato ad alzarsi e sentendo il suo stomaco brontolare, si rassegnò. Iniziò a risalire gli scalini e, arrivato al piano dell'area ristoro, dall'alto vide i due sorridere a sfottò e, camminando di spalle, puntò il suo dito medio verso loro. Solo, non aveva tenuto conto che, di norma, si dovrebbe camminare guardando avanti.
«Cazzo!» Un urlo risuonò dietro di lui, l'urlo della persona che, sfortunatamente, non era riuscito ad evitare e contro cui si era scontrato rovinosamente.«Coglione, guarda avanti quando cammini!» Duccio si girò di scatto, notando una cesta di capelli ricci agitarsi sotto di lui.
«Scusami, davvero, sono mortificato» Cercò di scusarsi, realizzando il disastro che aveva causato. La ragazza si era chinata a raccogliere quelli che pochi minuti prima erano due gustosissimi panini al lampredotto. Cercò di aiutarla, ma lei fu più veloce a bloccarlo bruscamente all'istante.
«Fermo! Hai già fatto abbastanza» Recuperò quello che poté per buttarlo nel cestino.Senza degnarlo di uno sguardo, tornò sui suoi passi, con l'evidente intento di ricomprarsi quel che doveva essere la sua cena.
«Aspetta! Te li ripago» Corse verso di lei, cercando di raggiungerla in tempo. La ragazza non rispose, già fin troppo alterata e infastidita. Bastò un solo tocco sulla sua spalla, coperta dalla giacca in montone vintage, per farla scattare. Si voltò con espressione inferocita, ma gli occhi smeraldo che si incatenarono alle sue iridi scure ebbero un effetto contrario alla sua rabbia.«Perdonami, permettimi di pagartene altri» Il tono di Duccio fece trasparire tutto il suo dispiacere, che arrivò ben chiaro alle orecchie della riccia. Tuttavia, l'enorme orgoglio sovrastò il piacere dato dal comportamento di quello sconosciuto dallo stile un po' eccentrico.
«Ti ringrazio, ma non ce n'è bisogno» Si rilassò ma la serietà non abbandonò i tratti del suo volto. Riprese i suoi passi e arrivò presto alla sua meta.«Signorina, di nuovo qui?» Il vecchio signore dei panini ricordava perfettamente che non era passato nemmeno un quarto d'ora dall'ordine della ragazza.
«Eh, piccolo incidente di percorso» Sorrise imbarazzata, giustificando la sua presenza e mostrando le mani vuote.
«Rifaccio due panini col lampredotto?» Il signore immaginò cosa fosse successo e la risposta positiva alla sua domanda chiarì le sue supposizioni.Una volta pronto, le avvicinò la pietanza, conservata questa volta in un sacchetto ben chiuso.
«Pago io per la signorina» Duccio, con uno slancio, superò la ragazza, impedendole di porgere la banconota. Leggermente stupito, l'uomo incassò il denaro del giovane cantante, sotto lo sguardo sconcertato della riccia.«Ti avevo detto che non serviva» Si allontanarono di qualche metro, dopo che Duccio fece scorta anche del cibo per lui e Barto.
«Ti avrei avuta sulla coscienza per il resto dei miei giorni» Sbuffò ridendo per alleggerire l'atmosfera.
«Esagerato» La riccia scosse la testa divertita.
«Grazie...» Lo fissò aspettando che le dicesse il suo nome.
«Duccio» Le porse la mano che lei strinse velocemente.
«Grazie Duccio... ora io devo andare, mio fratello starà morendo di fame» Sviò a disagio la conversazione e, in un nanosecondo, scivolò svelta tra la gente.Il ragazzo, si ridestò e si ritrovò a rincorrerla una seconda volta, facendo slalom tra i tifosi.
«Hei tu, non mi hai detto come ti chiami!» Provò a richiamarla ma era ormai troppo lontana per sentirlo. Deluso e sconfitto, ritornò alla postazione.
«Quanto stracazzo ci hai messo?!» I due amici lo accolsero con tutta la finezza che avevano in corpo, rincarando la dose di insulti con una manata secca sul collo.
«Ahi! C'era fila» Trovò una scusa, volendo tenere per sé quella strana e improvvisa sensazione di perdizione che gli fece mancare il fiato.«Va bene, faremo finta di crederci» Marco chiuse la discussione, avendo sentito il fischio di inizio. Quella fu una partita sudata, conclusa con un amaro pareggio. Peccato che, però, Duccio non riuscì a godersene neanche un minuto, nonostante, alla fine, si fosse seduto sugli spalti entusiasta dell'opportunità avuta all'ultimo secondo.
Per tutto il tempo di gioco, non era riuscito a scacciare dalla sua mente il viso dolce che le era capitato di fronte, quegli occhi color cioccolato che si abbinavano perfettamente alle guance lisce e rosate, incorniciate dai lunghi boccoli lucenti e scuri, tra i quali risaltavano i grossi orecchini dorati che pendevano dai suoi lobi. Duccio non sapeva chi fosse, non ne aveva la più pallida idea, sapeva solo che avrebbe mosso mare e monti per poter sentire la sua voce ancora una volta.
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Ok, non so nemmeno io perché sia stata colta da quest'impeto di coraggio e io abbia pubblicato questa roba che ho scritto e che aveva fatto le ragnatele nelle bozze, ma vabbe: io loca stasera. Non ho la certezza di quel che sarà, cioè io pubblico il capitolo così senza impegno, magari ne uscirà qualcosa di buono, chissà. Spero che vi possa interessare, fatemi sapere perché sicuramente sarò colta da ripensamenti e avere un riscontro mi farebbe capire se ne vale la pena!
Al prossimo capitolo(se ci sarà)❤️
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Voliamo sui tetti || Piccolo
FanfictionDorotea aveva sempre odiato sentirsi costretta in qualcosa, odiava dover soffocare la sua indole ribelle a causa di chi la circondava e, soprattutto, a causa delle circostanze in cui si trovava. Lei voleva vivere, lo desiderava con tutto il suo cuor...