Capitolo III

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Dorotea, seduta sul tram, con le cuffiette nelle sue orecchie, era impegnata ad osservare i passanti che, frettolosi, si dirigevano a lavoro o a scuola. La fermata dove lei saliva era la prima della tratta, quindi poteva godersi per qualche minuto il silenzio dato dai pochi passeggeri che si trovavano sul mezzo insieme a lei.

Quel silenzio durava sempre troppo poco, a mano a mano che il tram si riempiva. Attendeva con ansia il momento in cui sarebbe giunta Alessia, la sua migliore amica e compagna di giornate universitarie. Si conoscevano dalle elementari e da allora non si erano mai separate: finito il liceo scientifico, avevano deciso di intraprendere corsi diversi, ma, fortunatamente, le sedi erano poco distanti tra loro, così avevano la possibilità di pranzare e studiare insieme.

Finalmente notò la chioma rossiccia della ragazza che, sorridente, in fretta occupò il posto che le aveva tenuto.
«Allora, mi vuoi raccontare bene di questo Duccio?» Dorotea alzò gli occhi al cielo, non aspettandosi che l'amica tirasse subito fuori l'argomento. La sera prima, sfinita dalla giornata, si era dimenticata di spiegarle come fosse andata la vicenda in negozio.

«Quindi? Non sei rimasta con lui a parlare?»
«No, te l'ho detto! Dovevo andare a fare la spesa con mia nonna» Rimarcò il dettaglio che Alessia non aveva captato.
«Amo, ma perché?! Non poteva andarci tuo fratello?»
«Sì certo, Edo ha sedici anni ed è senza patente»
«Giusto... tuo padre?» La riccia scosse la testa con uno sguardo pieno di rammarico.

«Ieri doveva fare un'operazione importante che gli ha richiesto più tempo del previsto» Suo padre era un chirurgo pediatrico, uno dei medici più facoltosi dell'ospedale Meyer di Firenze. Spesso aveva dei turni talmente lunghi da restare giornate intere in reparto o in sala operatoria e Dorotea si ritrovava a dover mandare avanti la casa praticamente da sola, essendo sua nonna Anna ormai anziana.

«Dobbiamo scendere» Si accorse che erano arrivate, così alzandosi in fretta, uscirono dalle porte del tram.
«Ci vediamo dopo a pranzo» Si salutarono con un bacio e ognuna si diresse al proprio dipartimento. Il polo scientifico dell'università di Firenze era in una zona che lei, personalmente, odiava: Rifredi era un quartiere così spoglio e freddo. Tuttavia, doveva accontentarsi, pur di studiare ciò che voleva.

La facoltà di chimica era stata la sua prima e unica scelta, amava quella materia da sempre. Sapeva benissimo che, col suo aspetto, poteva passare per una appena uscita dall'Accademia di Belle Arti o dal corso di design e moda: chiunque rimaneva stupito quando diceva ciò che faceva all'università, ma, da quasi due anni, aveva imparato a conviverci.

Spesso le veniva chiesto se qualcuno l'avesse obbligata a intraprendere quel percorso di studi e ogni volta rimaneva sconcertata. Era vero che aveva uno stile particolare, decisamente fuori comune per una studentessa di materie scientifiche, ed era anche vero il fatto che lavorasse in un negozio di abiti vintage, però quella era una sua passione, una passione che le permetteva anche di essere indipendente da suo padre, ma che non avrebbe sostituito ciò che voleva fare nella vita come futuro lavoro.

Quella mattina andava ad assistere al primo appello dell'esame che avrebbe dato qualche giorno dopo. Chimica industriale era un esame che non la spaventava più di tanto, si era preparata meglio che potesse e perciò era fiduciosa. Non vedeva l'ora che passasse la sessione così da poter riprendere i corsi in laboratorio, quello che preferiva in assoluto.

Arrivata vicino all'aula, si ritrovò di fronte Davide, suo collega di corso.
«Hei Dora, anche tu ad ascoltare le domande?»
«Proprio così» Annuì sorridendo ed insieme entrarono nella stanza.
«Pensavo domande peggiori in realtà» Esordì uscendo dall'aula, seguita dal ragazzo con gli occhiali.
«Per te che sei brava sono facili, io penso di bocciare» Rise nervoso.
«Non ci credo»
«Credici!» Asserì convinto, mentre si dirigevano verso la mensa, dove sarebbero stati raggiunti da Alessia.

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