UNO

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Emily stringeva la mano di suo fratello, la sua pelle così sottile e fredda che sembrava sul punto di spezzarsi. Gli occhi, un tempo vivaci, erano ormai persi, velati dalla sofferenza.
Ogni respiro era un rantolo.
"Emily.." la sua voce era appena un sussurro, lei si chinò su di lui con il cuore in frantumi.
"Se solo mamma e papà fossero qui" tossì, cercando di parlare di più ma il dolore lo zittì.
Emily trattenne le lacrime pensando a quanto il destino fosse stato infame portandole via prima i genitori e ora suo fratello.
"Loro sono sempre qui..ora non pensarci, riposa" lo pregó ma nel frattempo sapeva che non ci sarebbe stato altro tempo.
Lui la guardó un'ultima volta, prima di chiudere gli occhi per sempre.

Il suono del monitor che segnava la fine di tutto, riempì la stanza.

Emily si svegliò di soprassalto, il cuore le batteva forte nel petto, la gola secca come se il dolore di quel giorno fosse ancora lì, presente e tangibile. Si passó una mano sul viso, asciugandosi le lacrime che neanche si era accorta di aver versato.
Ogni notte lo stesso sogno, ogni notte quell'incubo che la teneva ancorata ad una vita che non riconosceva più.

Si sedette sul letto, fissando il soffitto della sua piccola stanza. Le pareti scrostate, il mobilio vecchio e malandato erano tutto ciò che aveva potuto permettersi.
Un minuscolo appartamento in periferia, lontano dalle luci sfavillanti di Manhattan, lontano da quella vita che aveva sognato per se stessa. Si alzó e si avvicinó alla finestra, trascinando i piedi nudi sul pavimento freddo.
Fuori, il cielo era grigio, carico di nuvole minacciose. Le foglie autunnali coprivano i marciapiedi, danzando nel vento che soffiava tra i palazzi malandati.
Quel quartiere in autunno era desolante, eppure c'era qualcosa di stranamente familiare in quel paesaggio spoglio. Sembrava riflettere il vuoto che sentiva dentro.

Con gesti lenti, accese la macchinetta del caffè, il suono del liquido bollente che riempiva la tazza era l'unico rumore nella stanza. Prese la tazza tra le mani, lasciando che il calore le scaldasse le dita, e si sedette sul davanzale.
Il profumo amaro del caffè la portó alla realtà, mentre il suo sguarda vagava tra i rami spogli.

Controlló il suo cellulare. Le 7:00. Tra poco avrebbe avuto il colloquio. L'occasione di entrare nell'azienda farmaceutica più potente del paese e forse avrebbe trovato le risposte che cercava.
Eppure sentiva un nodo allo stomaco, un misto di ansia e speranza.

Si alzò lentamente, e dopo una doccia veloce, si avvicinò al piccolo armadio nell'angolo della stanza. C'erano pochi abiti appesi, ma sapeva già cosa avrebbe indossato. Tirò fuori un completo, quello di sua madre. Non era alla moda, anzi, il taglio antiquato e il colore beige sbiadito raccontavano una storia di tempi migliori. Era tutto ciò che aveva, in qualche modo indossarlo la faceva sentire vicino alla donna che l'aveva cresciuta e che lei aveva tanto amato. Si infilò la giacca troppo stretta e la gonna che le arrivava appena sopra al ginocchio. Raccolse i suoi lunghi capelli castani in uno chignon spettinato, lasciando cadere qualche onda per nascondere le lentiggini che le puntinavano il viso.
Non era perfetta, ma andava bene così.

Prima di uscire il suo sguardo si posò sullo specchio, i suoi occhi nocciola pieni di lacrime avevano uno scintillio di speranza.

"Te lo prometto" sussurrò tra sè prima di voltarsi e chiudere la porta.

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