Tortura Spicologica (Respost)

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(Ecco il nuovo testo modificato e aggiornato. La prima parte è pressoché guale apparte con qualche piccola modifica qua e là. La seconda della riunione è rifatta totalmente. Tranquilli, "In vino veritas" ci sarà e sarà la prossima, ma avevo bisogno di gettare una base con questa. Ho paura che sarà un po' più lunga di questa quindi forse la dividerò in due parti. Si vedrà! Buona lettura!)

Da quanto era lì?
Almeno da quando era finita la guerra. L'ultima cosa che ricordava era lo stivale di Urss che si abbatteva sul suo viso.
Non c'è la faceva più. Voleva uscire di lì, voleva andarsene da quell'inferno.
L'avevano rinchiuso in una stanza totalmente bianca, forse da...giorni? Mesi? Anni? Quanto tempo era passato? Non lo sapeva, non sapeva più niente.

I muri erano bianchi, il tetto era bianco, il pavimento pure. E c'erano delle stramaledette luci al neon sul soffitto, anch'esse pallide, che impedivano la proiezione della sua ombra ovunque. Non aveva più un contatto con sé stesso. Non aveva più nulla.
La stanza era completamente insonorizzata, non c'era nessun suono, salvo quando mettevano della musica a tutto volume da degli altoparlanti posti in qualche parte nascosta della stanza, che lui non riusciva a raggiungere. Non importava che si rannichiasse in qualche angolo tappandosi le orecchie e urlando di fermare tutto, la musica andava avanti.
Poi la spegnevano, di colpo, lasciandolo solo con il debole eco per qualche minuto.
Oppure, facevano cadere dal soffitto dell'acqua insaponata gelida o bollente per lavarlo, bagnando spesso e volentieri tutta la stanza, una volta adirittura la allagarono. L'acqua gli arrivava quasi fino alle caviglie. Aveva dovuto svuotarla da solo, lavorando non si sa per quanto con due bicchieri alla volta. Dopo era sfinito.

Era anche sicuro di star perdendo lentamente l'udito. La vista era già andata da un pezzo. Vedeva solo bianco. Bianco ovunque. Indossava solo vestiti bianchi, delle volte troppo caldi o troppo freddi in compenso alla temperatura della stanza.
Doveva orientarsi tastando il muro con le mani, ed erano più le volte che cadeva che i passi che riusciva a fare. L'unica certezza che aveva e che la stanza era di forma rettangolare, salvo per il bagno che si trovava in una cavità quadrata nel muro, vicino al letto. C'era solo un bidet e un gabinetto. Nient'altro.
Anche il gusto iniziava ad essere provato. Dal primo momento in cui si era risvegliato sul suo letto pallido, lo avevano nutrito solo due volte al giorno: Gli lasciavano due porzioni di riso in bianco insapore e tre bicchieri d'acqua, e doveva farseli bastare per tutta la giornata. Probabilmente lo drogavano pure visto che gli era già capitato di svenire all'improvviso e risvegliarsi sul freddo pavimento, e anche quando andava a dormire, forse tramite qualche gas. Non sentiva mai quando gli portavano il cibo.
Anche la bocca era diventata inutile.
Gli restava solo il tatto, il suo unico e ultimo contatto con il mondo. Toccava tutto di continuo: Il pavimento, il tetto, i suoi capelli, i vestiti. Lottava per non perdere quell'ultimo appiglio alla sanità mentale.
La sua mente...era ormai così devastata.
Tutta quella situazione surreale, mista ai momenti in cui dagli autoparlanti foriuscivano i suoi dei bombardamenti, le registrazioni propagantisitche di quei mostri di Goebbels e Hitler, i discorsi che la Germania si era arresa fatti dai capi delle altre potenze, e una misteriosa voce femminile che descriveva le atrocità perpetrate nei campi di concentramento.
Ma forse il peggio non era neanche quello, ma quando tutt'attorno risuonavano le voci dei suoi familiari, delle altre nazioni e altro ancora: Ungheria che gli dava dello sporco nazista; Austria che gli diceva che lo odiava; Liechtenstein che lo voleva fuori dalla sua vita; Cecoslovacchia e i suoi genitori che lo insultavano; Olanda che gli diceva che meritava di essere giustiziato; Polonia che gli dava del maiale; Stati Uniti che gli diceva quanto tutti lo schifassero; Regno Unito e Francia che assieme gli gridavano contro; I suoni della sua cagnolina e dei suoi cuccioli mentre venivano soppressi; Belgio che lo minacciava; Le urla delle vittime dei campi di concentramento e così via. Uno a uno, li aveva sentiti tutti. Per crudeltà avevano poi iniziato a trasmettere le voci tutte assieme, in una matassa di suoni informi e allucinanti. E lui piangeva e urlava.
Una parte di lui sperava li avessero costretti, l'altra diceva che tutto quell'astio genuino era giusto.
Più i giorni passavano, più pregava di essere ucciso. Il peggio arrivò quando svegliandosi la mattina, trovava sparse al piedi del suo letto le foto degli orrori dei campi. Dei cadaveri e di tutte le altre stragi di cui il suo esercito si era macchiato.
E ancora piangeva, e un po' rideva e gridava di nuovo: il tumulto emotivo e le cristi isteriche erano diventate normali. Succedevano sempre. Potevano durare finché non si addormentava nuovamente.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 28 ⏰

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