𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟏.

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Da lontano, la base militare McDavon veniva colorata dalla luce dell'alba alle ore 5:44

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Da lontano, la base militare McDavon veniva colorata dalla luce dell'alba alle ore 5:44. Alle nostre spalle si poteva ancora scorgere la linea di confine tra il giorno e la notte e l'area circostante si svegliava cullata dalla voce tenace e ingombrante dei motori dei caccia F-18. Era una musica che ti faceva danzare le viscere più profonde e ti spingeva a un irrefrenabile desiderio di toccare con mano quella lontana linea di orizzonte che sembrava disegnare la speranza di un domani migliore.

Scorsi pigramente le gote di Alexander tingersi di rosso e legarsi rapidamente il ciuffo in un codino disordinato ma che gli permetteva di indossare il casco senza problemi. Nonostante fossero le prime ore del giorno, il vento non sembrava disturbare il mare che si estendeva intorno a noi, lo cullava dolcemente regalandoci un'aria calda che si appiccicava alla nostra pelle come una seconda tuta. Abbassai le maniche della mia uniforme di volo e camminai al centro della portaerei per raggiungere il mio controllore.

«Se questo gioiellino torna a casa anche con un solo graffio, la prossima manutenzione mi aiuterai a farla usando la lingua, mi hai capito Ainsworth?»

Crawford, che era un Air Wing Plane Captain - ovvero il capitano che si occupava della supervisione degli aerei - mi guardò dall'alto in basso con un ghigno prepotente sul viso, indossava occhiali da sole a goccia con lenti verdi molto scure e la luce mi impediva di vedere i suoi occhi castani sciogliersi per l'agitazione e la commozione. Mi rivolse una pacca sulla spalla che ricambiai, gonfiò il petto per mostrarmi la pettorina colore marrone che mi ricordava chi fosse il vero capitano e che se quel giorno avessi volato su un aereo perfettamente funzionante, il merito sarebbe stato solo suo.

«Molte persone farebbero follie per vedermi lavorare con la lingua.»
Gli feci un occhiolino mentre la sua mano mirava prontamente il lato posteriore della mia testa.

Rise sistemandosi gli occhiali e si fece serio poco prima di ricordarmi che lassù non potevo essere prepotente come mio solito. Peccato non fosse così.
Portai rapidamente e rigidamente la mano destra tra l'arcata sopraccigliare e la tempia, lui ricambiò il saluto militare per poi sparire e andare a controllare un altro aereo.

Per la mia mente disturbata esistevano due momenti fondamentali che caratterizzano l'inizio di un'esercitazione di volo: la prima era la salita al posto di guida.

La salita della scaletta per raggiungere il posto di comando, era il mio personale distacco dalla realtà. Molte persone non si accorgevano nemmeno del cambiamento d'aria, io lo respiravo nella sua intera essenza: il vento che soffiava ancora addormentato mi svestiva di quella gabbia dorata nella quale mi ero imprigionato anni fa e che, ad oggi, rivestiva ancora un ruolo fondamentale nella mia vita. La salita era un momento di pace, il respiro tornava a regolarizzarsi abbastanza da soffocare i pensieri.

Il secondo momento era il raggiungimento del posto di comando: nulla diventava più nitido che la voce canzonatoria di Jonathan che risuonava nelle mie orecchie e mi ricordava che non c'era spazio nè per l'esibizionismo né per la mia insana voglia di superare quel limite in più. Quella era l'ultima occasione di vincere quell'unico brandello di pace che ci eravamo promessi di portare a casa, poco meno di due anni prima.

𝐁𝐥𝐚𝐜𝐤𝐛𝐢𝐫𝐝Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora