Prologo - La prima cosa

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SEDICI ANNI PRIMA

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SEDICI ANNI PRIMA

Avere un microonde in ufficio è una salvezza, soprattutto in inverno. La mia selezione di tazze in ceramica decora gli scaffali bianchi ben fissati alla parete, dando quel tocco personale alla stanza. Sospiro allungandomi verso l'alto con un piccolo relevé per prendere la tazza rosa decorata con una scritta rossa all'interno che cita "Nonna, sei la migliore!".

Verso un po' d'acqua da una bottiglia di plastica. Imposto il microonde e adagio la tazza sul piatto al suo interno per scaldarne il contenuto.

Guardandola girare illuminata da una luce gialla fioca, penso a quanto poco tempo mi resta qui dentro: poco più di un anno e dovrò lasciare il ruolo da direttrice della mia Accademia di danza classica. L'aria di nostalgia è già ben diffusa in tutta la scuola perché la notizia si è sparsa molto rapidamente all'inizio dell'anno accademico. Da un lato mi fa piacere che i miei studenti siano anche solo un pochino tristi del mio pensionamento, dall'altro vorrei non andarmene mai, anche se è giunto il momento per me. La mia Accademia rimarrà per sempre una casa, ma è giusto che ora sia qualcun altro a prendersene cura perché sento che non ho più le giuste forze per portarla avanti, e la morte di mio marito gioca la sua parte. Ormai sono due anni che ha lasciato questo mondo, eppure lo percepisco ancora così vicino a me che a volte mi sembra di sentirlo parlare e anche accarezzare le mie guance con le sue dita, come ha sempre fatto da quando eravamo ragazzini. Forse è proprio questo che mi destabilizza: non essere ancora riuscita a lasciarlo andare.

Facendo attenzione a non scottarmi, infilo le dita nel manico della tazza e l'appoggio velocemente sul ripiano. Vi immergo una bustina di tè alla rosa, il mio preferito. Da quando ho scoperto questa, non ho mai bevuto altre fragranze di tè, forse perché il profumo delle rose mi ricorda la mia mamma. Era una fioraia e le rose erano le sue preferite, in particolare quelle bianche. Diceva che sono simbolo di purezza e innocenza, ma anche di spiritualità. In casa non mancavano mai e, se il vaso di vetro rimaneva vuoto anche solo per un paio di giorni, allora c'era qualcosa che non andava. Tendenzialmente succedeva quando mancavano le rose bianche in negozio, dunque nulla di tragico, ma, nel peggiore dei casi, indicava che qualcosa era andato storto, ma non capivo mai cosa. Spesso la mamma si dimenticava di svuotarlo dall'acqua sporca quando ne toglieva le rose appassite, e mi ricordo che solamente l'odore mi metteva tristezza. Solo quando mio padre morì molto giovane compresi che le volte in cui i fiori non ornavano il vaso erano i giorni in cui mamma avvertiva che papà si stava allontanando da noi a causa della malattia.

Quel vaso rimase vuoto per anni. La mamma non aveva nemmeno le forze per spolverarlo, e io non mi azzardavo a farlo. Ma un giorno, quando io ero ormai un'adolescente e lei mi permetteva di passeggiare da sola, incontrai un bel cespuglio di rose bianche. Ne raccolsi alcune e mi punsi anche nel farlo, ma ero talmente felice di averle viste, così belle e profumate, che tornai a casa saltellando. Alla vista dei fiori la mamma si mise a piangere, e da lì non passava giorno in cui non ne portava a casa dei mazzolini dal suo negozio.

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