l'eredità del dolore - metamorfosi e redenzione di un'identità travagliata

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We all yearn for happy endings / A time when smiling comes easily, I / Used to want and chase that blue sky / Now I'm scared I've forgotten / How to fly through darkened storm clouds

Gli occhi ridenti rivolti al cielo, seduto sulle spalle del padre e abbracciandone il volto, il piccolo Reiji assapora l'inconsapevole temporanea felicità dell'eterno presente. È tardo pomeriggio, il sole cala pigramente portando via con sé l'afosa calura estiva, permettendo così a una timida brezza serale di accarezzare dolcemente le folte chiome degli alberi circondanti il campo da calcio in cui i due - padre e figlio - avevano passato una quantità incommensurabile di tempo a giocare. Le membra sono stanche, ma i cuori traboccanti di fervente entusiasmo: l'entusiasmo per il calcio, per lo sport che dà forma e direzione alla vita di chi lo pratica, per lo sport che - limpida linfa vitale - ogni giorno dona senso all'esistenza di Reiji e di suo padre, il calciatore giapponese di fama nazionale Kageyama Tougo. 

«Papà, credi che un giorno diventerò un calciatore bravo come te?» chiede Reiji al padre, nei cui confronti prova un'ammirazione e un amore sconfinati: è lui l'eroe più valoroso che conosca, colui che è sempre pronto a dispensare silenzioso affetto e sostegno alla moglie, al figlio, agli amici a prescindere dal suo stato emotivo e nonostante i suoi duri tratti del viso, appesantiti dall'inevitabile scorrere del tempo, suscitino, a primo impatto, una sorta di timore reverenziale nell'animo di chi incrocia il suo sguardo; infine, è lui ad aver riversato nel figlio, come per via di vasi comunicanti, la passione per il calcio e ad avergli insegnato tutte le sue conoscenze a riguardo. «Ma certo, Reiji...» risponde Tougo, facendo scendere il figlio dalle spalle. «Oggi mi hai dato del filo da torcere eh!» esclama, dandogli una leggera pacca sulla schiena. «Di questo passo, temo che dovrò ritirarmi dal campo prima del previsto per lasciar spazio a una nuova stella!». Non mente del tutto: Tougo crede genuinamente nelle abilità calcistiche del figlio, ma soprattutto nella sua costantemente consapevole percezione dello spazio e dei movimenti dei suoi compagni di gioco. Negli angoli più reconditi del suo cuore, tuttavia, teme che proprio questo suo talento diverrà, prima o poi, esca allettante per l'avidità altrui. Tougo scuote il capo, risoluto. No, mio figlio non cadrà preda delle mani sbagliate. «E vincerò tutte le partite, proprio come te?» Reiji guarda il padre con quegli occhi fini tanto simili ai suoi, con quello sguardo colmo di fiducia che gli scalda e raggela il cuore nello stesso momento. «Lo sai bene, Reiji, vincere non è tutto. Finché a muovere le tue gambe in campo sarà l'amore per il calcio, non importa quanti ostacoli ti fermeranno o quale sarà l'esito della partita... La vera vittoria è poter condividere questa passione con i propri compagni di squadra». Tougo sorride al figlio, lo prende per mano e i due si incamminano verso casa. Impaziente di raccontare alla mamma quanti goal abbia segnato quel pomeriggio, Reiji accelera il passo, strattonando piano il braccio del padre: «Andiamo, papà! Certo che sei proprio lento!» lo provoca, irriverente, mentre ridacchia, pronto ad affrontare la consueta lotta di solletico in cui i due erano soliti confrontarsi. Sentendo le risate cristalline del figlio inondare di vita l'ambiente circostante, Tougo fa una promessa a se stesso. No, mio figlio non cadrà preda delle mani sbagliate. Gli errori passati non si tramanderanno di padre in figlio come effetti di una maledizione indissolubilmente legata al nome dei Kageyama. O perlomeno, questo è ciò che spera. Ma la semplice speranza, a volte, non basta a contrastare una maledizione...

I used to live within a safe lie / Familiar darkness keeping me alive, now / My art feels like it's not mine / Do I know how to fight, even when the enemy is on my side?

Le nefaste conseguenze degli errori dei padri finiscono cosiffattamente per divorare, nelle loro fauci più oscure, la luce. Le tenebre più tetre dilagano tra i prescelti come peste nera. E di color pece è anche il cielo, che nelle rimembranze lontane appare così ceruleo da sembrare finto, mentre nella cruda realtà è perennemente pregno di plumbea, sordida essenza. Rimembranze lontane e rimpiante, quelle dell'uomo chiamato Kageyama Reiji, rimembranze accuratamente sepolte all'ombra del monte del passato ormai rinnegato. Scordatevi l'immagine del piccolo, ridente Reiji mano nella mano col padre, perché è questa la sventurata sorte a cui tale immagine è andata incontro: la rabbiosa condanna all'imperituro oblio.
Reiji ha solo cinque anni quando si trova costretto dal beffardo destino a portare da solo, sulle proprie spalle, il gravoso peso della morte. La vista delle migliaia di tifosi imprecanti che lanciano in campo qualunque tipo di oggetto a portata di mano - avanzi di cibo, cartacce, sassolini - al fine di umiliare il padre, passato dallo status di celebrità a quello di delusione di un'intera nazione nel giro di una manciata di minuti, gli provoca una lancinante stretta allo bocca dello stomaco. Impotente, stringe i pugni e piange sommessamente. Le ingiurie avvelenate rivolte dai tifosi a colui che fino a poco tempo prima acclamavano, riverberano incessantemente nel suo cervello, inducendolo a tapparsi le orecchie, come se con questo semplice gesto possa evitare l'inevitabile: l'idolo è rovinosamente caduto a terra, l'eroe della sua vita è stato annientato e con lui anche la sua stessa esistenza. Perché non è la semplice sconfitta in campo a lasciare una ferita incicatrizzabile nel cuore del figlio di Tougo, ma le sue fatali ripercussioni. Ogni tessuto del suo corpo è ancora intriso dell'intruglio delle strazianti angosce provate in quei giorni vissuti all'insegna dell'abbandono: conclusasi la partita decretante l'epilogo della vita del padre, uscito dallo stadio, Reiji si ritrova smarrito in mezzo a una folla di persone festeggianti la vittoria del loro nuovo feticcio: Endou Daisuke. Eccolo laggiù, in fondo alla strada, il portiere più amato e indiscusso del momento, colui che da qui a poco Reiji decreterà come fautore di tutte le sue disgrazie. Solo, tra la moltitudine indistinta di ipocriti esseri umani, il ragazzo attende il padre, ma invano: di Kageyama Tougo non si scorge neanche l'ombra. Perché Kageyama Tougo non tornerà mai. Kageyama Tougo è scomparso per sempre. Reiji corre a rotta di collo verso casa, ne varca precipitosamente l'uscio e riferisce alla madre quanto accaduto. Inutile l'intervento delle forze dell'ordine, sprecati gli annunci sui giornali e in tv, inefficaci le preghiere del figlio. Papà non tornerà mai. Papà se n'è andato per sempre.
Lacerato nel profondo dell'animo dalla luttuosa perdita, chiuso nella sua camera, raggomitolato tra le lenzuola, Reiji perde la percezione del tempo. Inizialmente è la madre ad assicurarsi che il figlio abbia a disposizione tre sostanziosi pasti caldi al giorno, ma quando la salute di lei comincia a vacillare, è il figlio a farsi forza e ad occuparsi di lei e della casa. Così avrebbe fatto papà. Seduto al capezzale del letto in cui dorme la madre, dopo la consueta visita serale del medico, il ragazzo poggia la testa sulle braccia incrociate e chiude gli occhi, abbandonandosi, spossato, alle braccia di Morfeo.
Il mattino seguente, un gran frastuono lo obbliga a tornare alla realtà: figure anonime vestite di bianco, irrotte nella stanza non si sa come né quando, lo allontanano dal letto e si apprestano a caricare il corpo della madre, inusitatamente pallido, su una brandina. Levatosi il sonno dalle palpebre, Reiji scatta in piedi: «Fermi! Mamma! Dove la state portando?» chiede urlando a gran voce, pur conoscendo già la risposta. La sirena dell'ambulanza scorta dalla finestra e la celerità dei movimenti dei medici incamiciati non hanno lasciato presagire nulla di buono fin dall'inizio. Salito sull'ambulanza e giunto all'ospedale, il ragazzo siede per quelle che lui percepisce come lunghe, interminabili ore sulle scomode sedie della sala d'aspetto. Gli occhi fissi sul portone d'ingresso, attende che un medico, un infermiere, qualunque persona abbia visitato la madre gli riferisca notizie a riguardo. Finalmente dei medici gli si avvicinano: un flebile moto di speranza lo anima per un istante, ma si spegne quando incrocia lo sguardo dei pochi medici capaci di sostenere il contatto visivo con lui. È finita, anche mamma se n'è andata. Reiji guarda a terra per nascondere le lacrime che gli inondano gli occhi, appannandogli la vista. Una donna gli accarezza il capo come per consolarlo, il ragazzo alza lo sguardo ad incontrare quello di lei, colmo di commiserazione. Lui sente la rabbia ribollirgli nel petto e le mani prudere di stizza: Non me ne faccio niente della vostra stupida compassione. E le lacrime cominciano a sgorgagli copiosamente dagli occhi.

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