Capitolo 5 - Jean

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Incastro il telefono tra l'orecchio e la spalla mentre verso l'acqua calda nella mia tazza rossa preferita.
Non per scaramanzia, ma ogni volta che bevo il tè verde in una tazza diversa, la giornata è una merda.

Mia cugina continua a muoversi e parlare frettolosamente, raccontandomi di come suo fratello, Nathan, ha scoperto di essere stato tradito.

Sospiro piano e provo a calmarla.
«Kim, rallenta» la ammonisco sorridendo.
Lei sbuffa sonoramente e batte le mani.
«Non ce la posso fare, Jen!»

Attivo il vivavoce e abbasso il volume della chiamata. Non ha una voce particolarmente acuta, ma la alza di molte ottave quando è arrabbiata. Cosa che capita sovente, da quando sono partita per l'università.
Ero la sua valvola di sfogo, ed ora può avermi solo al telefono.

«Lo so, ma spiegami tutto con più calma. Non posso arrabbiarmi se non capisco cosa è successo» le dico con tranquillità.
Potrei arrabbiarmi lo stesso, in realtà. Infastidita lo sono di certo, ma devo capire prima di reagire.

Kim sospira e sento le sue dita tamburellare su qualche superficie per calmarsi e ricominciare a raccontarmi di Nathan e la sua ex ragazza.

Ci chiamiamo spesso, durante la settimana. Ci teniamo aggiornate su tutto e parliamo di qualsiasi cosa. È bello sapere di avere una cugina su cui poter contare.

Abbiamo vissuto insieme per molto tempo.
Io e Joanne siamo le uniche ad essersi trasferite per l'università, tutti gli altri cugini vivono ancora insieme, nonostante gli studi.

Io e Kim siamo sempre state unite, sin da quando siamo bambine. Ha un anno in più di me e suo fratello maggiore ha sempre fatto i dispetti a entrambe.
Non avevo nemmeno un'amica, ai tempi, ma la presenza di Kim non me lo ha mai fatto pesare. Non mi sono mai sentita come se nella mia vita mancasse qualcosa, perché avevo lei. E quello sfigato di suo fratello.

Sorseggio il mio tè con calma, soffiando sulla superfice, increspando l'acqua colorata.
Mi siedo e mi metto comoda sul piccolo divano, nell'attesa che lei ricominci a parlare.

«Erano ad una festa e lui stava cercando Rebecca» riprende dall'inizio, riassumendo.
Mi spiega di come Nathan abbia visto la sua ragazza, Rebecca, baciare un suo amico in una delle camere della confraternita in cui erano.
Avete mai sentito un racconto meno originale? Io no.

Quando conclude mi porto una mano al petto. Nonostante la banalità, mi sento male per Nate.
Lo chiamerò, dopo.

I minuti successivi non sono fatti di silenzio o compassione per il fratello tradito, Kim vomita una serie di insulti mai sentiti prima d'ora.
Prima Rebecca è una stronza, poi un'oca civettuola e, per concludere, un'ippopotamo con una sindrome rara che colpisce il cervello e le articolazioni. Cito testualmente: "colpito da furminatopismo". Credo che se lo sia inventato.

«Le spaccherei i denti contro il frigorifero, se potessi, Jen!» sbraita Kim dall'altro capo del telefono.
La capisco, non ha idea di quanto vorrei fare lo stesso.

Sospiro prima di rispondere.
«Nathan come sta?» le chiedo, preoccupata.
So che ci teneva davvero a quella ragazza.
Kim sbuffa e continua a picchiettare le dita, facendo rumore. Strizzo gli occhi e prendo un bel respiro. È fastidioso, ma so che lei ha bisogno di muoversi in qualche modo, perciò non le dico nulla.

«È chiuso a chiave in camera sua, non lascia entrare nemmeno Pill» mi risponde, nervosa.
Pill, il cui vero nome sarebbe Paul, è un'altro dei miei cugini. Nate e Pill dividono la stanza, la situazione deve essere davvero grave se persino lui ha l'accesso vietato.
E poi, perché lo chiamiamo tutti "Pill"?

Poggio la fronte sulla mano chiusa a pugno e osservo la tazza di tè fumante, per poi prenderne un sorso e lasciarmi riscaldare. Il calore rincuorante mi porta a chiudere le palpebre e rilassarmi per qualche secondo.

Il mio RiscattoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora