CAPITOLO QUATTRO

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Due occhi neri come l'onice e profondi in un modo incomprensibile mi stanno scrutando.

Il mio sguardo cade subito verso la sua bocca, credendo di riuscire a "leggere" qualsiasi cosa stia dicendo. Peccato però che non stia dicendo proprio un bel niente. Se ne sta lì semplicemente a fissarmi, impassibile e inespressivo, finché i suoi occhi si spostano dai miei per notare il mio piccolo "impiastro metallico" tra i capelli. Nella rabbia del momento devo essermi tirata i capelli indietro, lasciando scoperta, così, proprio quella zona che odio tanto.

Alzo la testa per inquadrarlo meglio. Cazzo. Non avrei dovuto farlo.

I suoi capelli ricadono intorno al viso in modo spettinato, rendendolo decisamente attraente.
Cosa. Cazzo. Mi. Prende.

Percepisco uno strano brivido nel punto esatto dove mi sta toccando. Mi affretto a spingerlo via da me, in modo che le sue fottutissime mani lascino le mie spalle.

Lui sembra indecentemente impassibile e abbassa le braccia quel tanto che serve per iniziare a comunicare con me.
Con la lingua dei segni.

«Scusami per prima, non era previsto uno scontro frontale davanti alla porta del bagno, degli uomini tra l'altro», si ferma e poi continua, «stai bene?»

Mi prende alla sprovvista, lo ammetto.

Nessuno ha mai fatto una cosa del genere. Non ho mai incontrato persone che non siano stati dottori o insegnanti specializzati, che conoscessero l'uso dei segni. Lui rimane lì, tranquillamente in attesa di una risposta e soprattutto, senza l'espressione di pietà stampata in faccia.

Commetto l'errore di guardargli nuovamente la bocca per vedere se stia dicendo qualcosa e, non appena mi rendo conto che è ancora in silenzio e in attesa, i miei occhi registrano un accenno di sorriso nello stesso momento in cui riprende a gesticolare.

«Non devi vergognarti. Parlo molte lingue, compresa questa».

Dio, le sue labbra sono fottutamente perfette. Distolgo lo sguardo scuotendo la testa ma la situazione non migliora dato che i miei occhi cambiano obiettivo.

Osservo spudoratamente le sue mani, non tanto per capire quello sta dicendo, quanto per ammirare i moltissimi tatuaggi che sbucano dalla manica della camicia e arrivano fino alla prima falange di ogni dita della mano destra, decorate ciascuna impudentemente con anelli. Non sono disegni specifici, ma dei motivi che alternano geometrie a sinuose curve.

Ahia, questo è un colpo basso per me. Due a zero per lui, me ne rendo conto. Ma questo lui non lo saprà mai.

Devo ritornare in me.

Mi passano per la mente tante possibili risposte, felici e infelici, ma nessuna di queste mi sembra quella giusta. Grazie. Molto gentile. Fatti i cazzi tuoi.

Perciò faccio un respiro profondo e, prima di girarmi, faccio semplicemente quello mi che mi viene meglio quando sono incontrollabile: il gesto più semplice nella lingua dei segni. Mi porto l'indice piegato al mento, tipo uncino, mentre le labbra si piegano in un sorriso forzato: vaffanculo.

Non vedo nemmeno la sua reazione perché mi chiudo nel bagno sbattendo la porta nello stesso istante del mio gesto.

Ma chi cavolo si crede di essere? Solo perché conosce la LIS, devo per forza stare lì a fare due "chiacchiere"? Non ci penso nemmeno, dato che non devo distogliermi dall'obiettivo della serata e cioè come salvarmi da Susan.

Non so quanto rimango chiusa lì dentro, a volte perdo la cognizione del tempo quando sono arrabbiata. Come se rabbia e tempo di recupero fossero direttamente proporzionali: più sono nervosa, più tempo mi occorre per calmarmi.

INREVERSE - La RotturaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora