緑-Green-Verde

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Rumori ovattati, umidità, oscurità, senso di oppressione, viscerale ansia ma soprattutto solitudine: sensazioni alle quali il piccolo Sanji non poteva sottrarsi. Quasi non voleva, pensiero derisorio verso la sua persona? Probabilmente sì, ciononostante smettere di provare anche una di queste voleva dire perdere qualcosa. Perdere l'ennesima cosa, magari perdere definitivamente. La sanità mentale, la speranza, le emozioni, il respiro e, infine, la vita.

Per quanto la visione di ritrovarsi finalmente in pace, magari tra le braccia calde ed amorevoli della sua dolce defunta madre, lo tentasse fino al concepimento di pensieri macabri, si era ripromesso di non assecondarli. La concezione di arrendersi e di buttare al vento il sacrificio della madre, gli provocava nausea e delusione verso se stesso. Sora lo aveva protetto, aveva preferito avvelenarsi per farlo nascere umano, nonostante sapesse cosa le avrebbe riservato il destino. Lo aveva cresciuto, per quei pochi anni, con una dolcezza infinita, sempre pronta a rivolgergli parole di conforto. Sempre pronta a mangiare ciò che il suo adorato bambino le preparava con amore, giacché i risultati fossero scadenti ed imbarazzanti. Non le era mai importato, qualsiasi cosa le portasse da mangiare diventava il suo nuovo piatto preferito. Il tutto adornato da sorrisi amorevoli, brillanti quanto il sole, e da complimenti spropositati. 'Sarai un ottimo Chef, il migliore!' il volto serio, sincero, ma sempre con la sua delicata morbidezza. A seguito lo avrebbe trascinato, come da prassi, in un lungo e caldo abbraccio e lui si sarebbe sciolto per l'ennesima volta. Odorando il profumo che più gli regalava conforto, rintanandosi in quel calore luccicante come i capelli meravigliosi della madre. Felice di averli ereditati, felice di portarla sempre con sé nel suo stesso aspetto, si ripromise di non tagliarli.

Questi erano gli unici ricordi che gli provocavano sollievo, che riuscivano ad alleggerire la sua miseria.

Doveva resistere, essere caparbio nonostante la vita gli fosse avversa, nonostante la luce del sole fosse ormai un ricordo quasi surreale. Da quanto era rinchiuso? Per quanto ancora sarebbe dovuto rimanere lì? In una cella, trattato come se si meritasse ogni singola punizione infertagli da uno dei suoi fratelli o, perché no, da tutti. Un criminale senza colpa alcuna, uno scarto della società.
Era solo un bambino...quali potevano essere le sue colpe? La voglia di sopravvivere? Di trovarsi degli amici? Un amore con cui condividere il resto della vita? Di essere uno Chef?

La solitudine gli faceva male, non scontata come costatazione considerando chi erano le poche persone a palesarsi di tanto in tanto. Ma non avere nessuno accanto voleva dire rimanere solo con i propri pensieri e se voleva sopravvivere doveva avere la forza di oscurarli. Idee come tagliarsi la gola con un utensile del pasto successivo portatogli, erano ricorrenti e particolarmente ostinate.

Uno scricchiolio lontano riuscì a farlo rinsavire, cercò dunque di concentrarsi per poter identificare da dove provenisse. Con quella sottospecie di elmo che gli comprimeva il viso, era difficile sentire, vedere e anche respirare. Quella gabbia di metallo era più grande e pesante del suo stesso corpicino e lo costringeva ad assumere una pessima postura per quanto pesasse. Sentiva i tessuti della pelle strapparsi quando si muoveva bruscamente, le pareti quasi come un guanto fuso con il volto.

Ma non riusciva a respirare non solo per la morsa che gli copriva la bocca, ormai aveva realizzato che si trattasse anche di una sensazione alla quale, però, non sapeva dare un nome. Riusciva solo a distinguere dei momenti da altri, nella sua breve vita, nei quali questa sensazione si faceva presente e lo opprimeva fino a rendergli corto il respiro. Nessuno di questi, era estremamente sicuro, conteneva sua madre.

D'un tratto sentì una porta di legno sbattere prepotentemente al muro: era quella all'ingresso di quel sotterraneo. Sapeva già cosa ci sarebbe stato ad attenderlo di lì a poco: nulla di buono e di sicuro non un pasto.

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