CAPITOLO 2

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Pietra Preziosa


"Di lei più di tutto non reggo gli occhi.

Nei suoi occhi un presagio d'amore divora il cielo."

(Poesia di #Sanlordseastate - libro_prosa, Instagram)


Cesur

A pochi passi dalla piazza, di fronte al Municipio della città, c'è un piccolo chiosco che si chiama, per l'appunto, Chiosco al Castello ed è lì che, dopo aver parcheggiato in Via Francesco Crispi e aver imboccato Via Dante, la vedo. Rallento il passo quasi fino a fermarmi. Sta prendendo qualcosa dalle mani di uno dei ragazzi dietro al bancone, capisco che ha chiesto una Pepsi quando intravedo la lattina nella sua mano. Fa un cenno con la testa per ringraziare, lui le sorride, lei va via.

Con i suoi immancabili occhiali da sole scuri a coprirle gli occhi, zainetto in spalle, bibita in una mano, libro nell'altra, si incammina verso la scogliera. I suoi capelli neri oscillano ad ogni passo sul suo cappottino color sabbia. Riprendo a camminare anche io, senza fretta, seguendo i suoi passi misurati, delicati e saltellanti come quelli di un bambino. Raggiunge la transenna, la sorpassa e comincia a scendere gli scalini, io resto su, mi appoggio alla ringhiera e la guardo.

Il mare oggi è una tavola. Forse è per questo che lei ne approfitta e, una volta arrivata giù, si siede su uno dei massi più vicino all'acqua, si libera dalle scarpe, solleva appena i jeans arrotolandoli alle caviglie e, come se non fossimo nel mese di marzo, immerge i piedi nell'acqua che, in questo periodo dell'anno, sarà di sicuro congelata. Subito dopo apre la Pepsi, solleva lo sguardo davanti a sé e beve.

Io tremo al posto suo, ho freddo solo a guardarla. Ma lei sembra completamente a suo agio, non dà segni di congelamento nemmeno quando dopo un'ora è ancora nella stessa posizione.

Inizio davvero a chiedermi se quella ragazza laggiù, sia reale. Forse è solo il frutto della mia immaginazione, uno scherzo ideato dalla mia mente. Sarà per questo motivo che un attimo prima sto pensando di avvicinarmi a lei per togliermi ogni dubbio e quello dopo sto già scendendo le scale che portano alla scogliera.

Solo quando sono a pochi passi da lei mi fermo e mi prendo qualche istante per pensare. Le cose sono due, adesso. La prima: io mi avvicino, dico qualcosa e se lei non esiste non riceverò alcuna risposta, quindi la questione si chiuderebbe così... con me che ho le allucinazioni. La seconda: mi avvicino e mi accorgo che invece esiste. Ecco, in quel caso cosa farei? Che spiegazione potrei darle per giustificare il fatto che mi sono avvicinato a lei senza un apparente motivo?

Okay, Cesur, tornatene su e resta con il dubbio.

Lo penso sul serio, sto davvero per farlo, ma una forza più grande di me pianta le mie gambe sulla pietra lavica e da lì non mi schioda. Mi dice di non andarmene, di proseguire e io mi ritrovo ad ascoltarla. Riprendo a camminare finché non le sono alle spalle.

Schiudo le labbra e pronuncio la prima cosa che mi viene in mente. 

«Senti ancora i tuoi piedi?»

Il mio tono è talmente basso che fatico io stesso a sentirmi. Lei, però, mi sente. Mi sente eccome, perché sobbalza così tanto dallo spavento che la Pepsi le scivola dalle mani e finisce per svuotarsi tra le pietre e il libro sulle sue gambe rischia di cadere in acqua. Lo afferra con un gesto veloce e se lo stringe al petto. Sento appena uno sbuffo, ma lei non si volta.

«Perdonami, non volevo spaventarti» mormoro, sinceramente dispiaciuto. Niente. Nessun movimento da parte sua. Mi decido e faccio qualche altro passo, quelli che bastano per trovarmi di fianco a lei. «Solo che... ti guardavo da lassù» indico la ringhiera in alto, alle nostre spalle, mentre mi siedo accanto a lei e incrocio le gambe. «E mi chiedevo come può una persona stare per così tanto tempo con i piedi immersi nell'acqua fredda senza perderne la sensibilità.»

Giro la testa nella sua direzione nel preciso istante in cui anche lei fa lo stesso. Solleva gli occhiali da sole dal suo piccolo naso e finalmente li vedo. Li vedo e resto senza parole.

Nel corso della nostra vita, incontriamo tantissimi occhi. Ci sono quelli che, guardandoli, non ti trasmettono assolutamente nulla, sono occhi comuni, uguali a tanti altri. Alcuni belli, sì, ma dimenticabili.

E poi ci sono quelli indelebili, quelli che ti entrano dentro, quelli che finiscono per scolpirsi nella tua anima, a incidersi nel tuo cuore e da lì nessuno riuscirà mai più a smoverli. E tu ti rendi conto di essere spacciato perché, nell'esatto momento in cui succede, sei consapevole che nessun altro sguardo sarà all'altezza di... questo sguardo.

Gli occhi di questa ragazza sono di un colore talmente particolare, così singolare, che mi mancano gli aggettivi per descriverli come meritano. Se dicessi che sono solo stupendi, mentirei, sono qualcosa di più di questo. In vita mia non ricordo di aver mai visto occhi simili. Sono scuri come la notte, nerissimi come i suoi capelli, accarezzati da alcune sfumature grigie che, tra tutto quel buio, sembrano brillare come delle piccole stelline argentate.

E sono grandi.

E sono meravigliosi.

E cazzo... mi manca il fiato.

Continuo a guardarla, incapace di smettere. Lei fa lo stesso, mi fissa a fondo e per un attimo sento il cuore uscirmi dal petto. Il modo che ha di guardarmi è da galera. Chi è che ti fissa così, come se volesse strapparti l'anima, senza prendersi il disturbo di metterti in guardia?

Non ho idea di quanto tempo passi, forse un intero secolo o forse solo un secondo. L'unica cosa che so è che riesco a muovermi soltanto quando è lei a distogliere per prima lo sguardo. Sbatto le palpebre, torno in me, ma ho come la sensazione di essermi appena risvegliato da una seduta di ipnosi. 

Poi succede tutto così velocemente da non rendermene nemmeno conto. Lei tira fuori i piedi dall'acqua, si alza e nella fretta quasi scivola sulla parte di pietra liscia e bagnata, ficca il libro nello zainetto, afferra la lattina ormai vuota, raccoglie le sue scarpe, mi volta le spalle e va via. Io la guardo mentre si allontana e mi rendo conto di essere più confuso di prima.

D'accordo, non mi ha parlato, quindi potrei pensare che qualcuno senza voce non sia reale. Tanto meno qualcuno con occhi simili. Però è proprio il pensiero di quelle iridi che mi toglie ogni dubbio. Quella ragazza è reale, non sono impazzito. È reale e ci è mancato poco che nel suo zainetto ci infilasse dentro anche il mio cuore. Ed è proprio su di lui che appoggio il palmo della mia mano. Batte come un tamburo e io sono ancora in debito d'ossigeno.

«Cosa diavolo è appena successo?» chiedo tra me e me.

Mi alzo anche io e, mentre lo faccio, noto qualcosa incastrata tra le pietre che attira la mia attenzione. È una piccolissima bottiglia di vetro, chiusa con un tappo di sughero bucherellato. Infilo la mano in quel punto e la prendo. Dentro c'è un bigliettino, altrettanto minuscolo, arrotolato come una mini pergamena.

Deve essere sua per forza. È forse questo che lancia ogni giorno in mare prima di andare via?

Sono combattuto, non so se aprirla e leggere il contenuto del biglietto, rimetterla dove l'ho trovata, fingendo di non averla mai vista, oppure infilarmela in tasca e restituirla appena la rivedrò.

Se la rivedrò.

Sollevo la bottiglietta tra due dita, la luce ormai mite del sole crea una specie di bagliore all'interno illuminando le ombre dell'inchiostro nero. A quanto pare, in questo biglietto piccolissimo, c'è scritto molto. Eppure l'unica cosa che risalta ai miei occhi sono solo due parole: Pietra Preziosa.

Tutto il resto rimarrà per me un mistero perché infilo la bottiglietta nella tasca del mio giubbotto e decido di non leggere il contenuto. 

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