Esco di casa correndo. Sono in ritardo, come al solito. Cazzo. Sento le palpebre pesanti e gli occhi mi bruciano a causa del sonno. Fa freddo, troppo freddo per essere novembre. Sembra debba piovere da un momento all'altro. Avrei potuto svegliare mio padre, farmi accompagnare alla fermata della corriera, e sinceramente inizio a pentirmi di non averlo fatto. Ma non ho avuto il coraggio di disturbarlo anche questa mattina. Se solo mi fossi svegliata 10 minuti prima, ora non starei ansimando con le orecchie congelate e il collo umido di sudore. Ma al ricordo del letto caldo che ho da poco lasciato mi sfugge un gemito di lamento. L' allenamento di ieri sera è stato così stancante, e ora sento tutti i muscoli bruciare mentre corro nell'aria gelida sbuffando piccole nuvolette dalla bocca semi-aperta. Ogni minuto che passa l'agitazione che ho dentro cresce sempre di più. Se non mi sbrigo perderò la corriera. Dopotutto però non sarebbe così grave. Ma il pensiero di dover entrare sola in classe, dovendo giustificare il mio ritardo, mi fa passare un forte brivido lungo tutto il corpo, ormai velato da un sottile strato di sudore. La vista della fermata in lontananza mi distrae dai miei ragionamenti. Tiro un sospiro di sollievo e finalmente mi concedo di rallentare un poco. Ma appena lo faccio, la mia corriera svolta l'angolo facendomi sussultare. Accelero spaventosamente buttandomi in una corsa a perdifiato. Cerco disperatamente di raggiungerla in tempo, sento il cuore battere all'impazzata, e finalmente l'autista mi vede e riapre le porte che erano ormai state chiuse. Salgo trafelata e terribilmente accaldata.
– Il biglietto?-
L' autista mi guarda storto, e io rispondo balbettando di aspettare un secondo. Tuffo la faccia nello zaino stipato, cercando il mio abbonamento. Sono sicura di avercelo, ma non lo trovo. Cazzo. Cazzo, cazzo, cazzo! Dopo vari minuti di ricerca mi vedo costretta a svuotare l'intero contenuto del mio zaino sul sedile libero più vicino. Ancora non lo trovo. Non so più che fare. Tutti mi fissano e sto entrando nel panico. Poi all'improvviso una consapevolezza mi fulmina, metto le mani nelle tasche, frugando, e quando ne riemergono, portano con loro il mio abbonamento. Abbasso lo sguardo, consapevole di essere completamente rossa per l'imbarazzo, mentre porgo quel maledetto pezzo di carta al conducente, che mi fissa con biasimo. Dio che vergogna. Finalmente la corriera parte, e io vengo sballottata di qua e di là, mentre cerco di rimettere i libri in cartella. Ho ancora gli occhi di tutti puntati addosso. Con molta fatica infilo le mie cose di nuovo dentro, e trascino lo zaino attraverso lo stretto corridoio. Non ci sono altri posti liberi oltre a quello che ho usato per cercare l'abbonamento, ma non se ne parla assolutamente che io torni indietro. Mi sono svegliata da appena un' ora e mi sento come se fosse passata un'intera giornata. Mollo lo zaino per terra e mi aggrappo alla maniglia più vicina. Fa davvero caldo qui dentro. Sento i vestiti umidi appiccicati al mio corpo. Spero che il deodorante basti per tutta la giornata. Mi sfilo il giubbotto pesante, ma fa ancora troppo caldo. Davvero troppo caldo. Cerco di pensare a qualcos'altro a parte il caldo, le gambe che tremano, l'imbarazzo di stare in piedi davanti a tutti, perlopiù sudata, spettinata e assonnata. Non voglio neanche immaginare quanto il mio aspetto sia terribile in questo momento. Oggi non ho nessuno con cui parlare, distrarmi. Linda e Ginevra, le mie migliori amiche, entrano un'ora dopo di me. Mi ricordo che oggi dovrò fare una verifica di greco. Vocaboli da declinare. Grandioso. Ripasso mentalmente le parole che mi ricordo, e mi accorgo di non saperne abbastanza, e abbastanza bene. Ed ecco l'agitazione per la verifica aggiungersi a tutti gli altri miei problemi mattutini. Sono cosi tremendamente stanca. Stanca e stressata. E l'unica cosa che mi fa scaricare, la pallavolo, è la stessa che rinnova questo circolo vizioso, rendendomi ogni giorno sempre più stanca. E più stanca sono, più divento stressata e irritabile, più le persone mi evitano. Più io stessa inizio a non sopportarmi.
Finalmente la corriera svolta nel parcheggio davanti alla scuola. Raccolgo tutte le mie cose tra le braccia e infilo lo zaino sulle spalle prima di scendere. Non ho fatto in tempo a rimettere il giubbotto, così presa com'ero a deprimermi, e mi do mentalmente della stupida per essermene dimenticata, visto che inizio quasi subito a tremare per il freddo. L'unica cosa positiva è che i miei vestiti si stanno asciugando. Percorro la strada che mi separa dall'entrata a passo spedito, e tiro un sospiro di sollievo quando entro finalmente a scuola. Sono stanca, molto stanca, e non so come farò a sopportare tutte quelle ore di latino e greco. La campanella suona e mi avvio verso le scale , come tutti gli studenti. Entro in classe e saluto gli altri con voce flebile, e loro quasi non si accorgono della mia presenza. Continuano a parlare tra loro ridendo. Io vado al mio posto, poso la cartella a terra vicino al banco, il giubbotto sulla sedia, e mi siedo. Li osservo, mentre loro continuano a parlare di sciocchezze di cui tutti sanno ma di cui io sono, come al solito, all'oscuro. So che molti di loro non mi sopportano, gli altri semplicemente non mi considerano. La maggior parte del tempo ci sto male, ma alcune volte, come adesso per esempio, mi spunta un involontario sorriso sulle labbra. Li sento come persone che non centrano totalmente niente con me, e mi sembra di osservarli come fossero in un acquario. Li vedo come piccoli pesciolini che nuotano in un mondo di finzione. E mi fanno tenerezza.
A volte vorrei essere anche io un pesciolino come loro, essere felice. Ma sento quell'acquario troppo piccolo per me. Io ne vedo i limiti, e non posso fare a meno che desiderare di superarli. Non posso essere semplicemente un pesce fra tanti. Così vivo fuori da quel mondo. E' terribilmente difficile a volte. Qui fuori bisogna essere forti, non si può essere felici a lungo, e soprattutto, non c'è nessuno con te. Sono sola in un freddo mondo che tenta di schiacciarmi. Ma dio, quanto mi sento viva da questa parte. Il dolore non è forse l'emozione più umile che si possa provare? Quella più vera, pura? Cos'è l'amore in confronto all'odio? Un misero sentimento fatto da finzione e tradimento. No, in questo mio mondo l'amore non esiste, non può esistere. Ma il dolore, quello puro, vero, pungente, quello si, è sempre presente. E così la paura, l'ansia, l'indifferenza. Ma talvolta sentimenti buoni, flebili germogli primaverili destinati a spezzarsi alla prima gelata, spuntano da questa disperazione. Allegria, spensieratezza, tenerezza. Ma il peggiore è senza dubbio la speranza. La speranza che io mi stia sbagliando. Che in realtà qui fuori ci sia qualcuno, qualcuno che come me ha scelto di starne fuori. La speranza di non essere l'unica. Essa è il bocciolo più forte. Non ha la forza di fiorire, non riesce a trovarla in mezzo a tutto questo buio. Ma non è come gli altri, che muoiono e rinascono all'improvviso. Ogni giorno che passa diventa sempre più piccolo, debole, ma non muore. Non riesco a farlo morire. A volte riesce a ingrossarsi, ed è in questi momenti che il dolore diventa quasi insopportabile, per riuscire a ristabilire il controllo. In quei giorni mi sento così pesante, sento di emanare oscurità e tristezza da ogni poro. Mi sento nera. E quando tutto finisce, l'indifferenza lava via ogni cosa, e non rimane altro che un senso di vuoto. Questa sono io. Troppo debole per vivere, troppo forte per morire.
STAI LEGGENDO
Gli Shinigami mangiano solo mele
RomanceAvete mai incontrato una di quelle persone che se ne sta in un angolo della stanza senza mai aprire bocca? Una di quelle persone insignificanti, che le noti soltanto quando non ci sono più? Una di quelle persone con gli occhi pieni, pieni di parole...