Ciao

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Sono ancora capace?
Hans se lo è chiesto un'infinità di volte. Sono ancora capace di fare una valigia? Sono ancora capace di prendere un aereo? Di fare un viaggio, di stare seduto su un aereo, di volare?
L'ultima volta che è partito da qualche parte, è stata New York. Ed era a pezzi, stanco, debilitato, smagrito, ferito.
Però.
Sembra che vada meglio.
Ora respira. Non sempre, d'accordo. Alle volte deve ricordarlo a se stesso – arriva prima il dolore dei polmoni che bruciano, del petto pieno d'aria, poi la consapevolezza bruciante di doverla lasciar andare. Però respira.
Ora riesce a uscire di casa. Ad andare a cena con Fjor e Ren, al cinema. Ha persino videochiamato Laurits.
Ed è stata una scena un po' dolce un po' strana, vederlo piangere dallo schermo del telefono, dire grazie a Dio sei tornato.
Sapere che Laurits vive una vita speculare alla sua, in Australia, ma nella sua linea temporale, nel suo tracciato, le cose sono andate bene e basta.

Sono ancora capace?
Hans se lo è chiesto prima, mentre attraversava l'aeroporto, le mani strette attorno alle bretelle dello zaino. Mentre saliva a bordo.
Quando lo steward e la hostess all'accoglienza gli hanno sorriso, si è chiesto anche: si accorgeranno che c'è qualcosa che non va? Che sono terrorizzato, che ho troppa paura di impazzire da un momento all'altro, che sono appena salito ma già vorrei essere arrivato? E non è paura di volare.
È paura di stare male davanti agli altri. Che tutti si accorgano veramente di chi è e non lo accettino. Che non lo facciano neanche salire.
Però.
Dall'altra parte c'è James. E James vale la pena ogni minuscolo. Tentativo. Di. Normalità.
Così è salito – ha deglutito, ha sorriso, ha guadagnato il suo posto e il viaggio è stato veloce e buffo e che strano ricordarsi che c'è un mondo intero fuori da un oblò minuscolo di cui Hans ha visto solo una piccola parte.
Strano, anche, che sembri sempre così piccolo. Non è mai abbastanza. Perché?
Perché ho ancora questa fame, questa voglia, perché dentro di me c'è quel frammento minuscolo che non si arrende mai ma fa tutto questo casino? Perché la speranza lotta così tanto?
Hans se lo chiede in continuazione. Quando è da solo, le domande non lo lasciano mai in pace.
James è tornato a Canterbury da solo un mese e già il suo cervello è tornato a riempirsi.
Nonostante le chiamate su Facetime fino a tarda notte, i messaggi del buongiorno, nonostante la presenza amorevole dell'altro nella sua assenza. James sa come esserci. In ogni istante.
Ma Hans ha un bisogno diverso. Ha bisogno di sentire il suo corpo, il suo calore, il suo profumo. Ha bisogno di stringersi a lui, di sentirsi fragile tra le sue braccia, che sono il luogo in cui tutto passa.

Adesso.
Quando l'aereo atterra a Londra-Southend, l'aeroporto più vicino a Canterbury, Hans non vede l'ora di scendere. L'adrenalina ha sostituito l'ansia. Ha il cuore in gola e gli sembra assurdo che ci voglia così tanto – anche se tanto è una manciata di minuti – per aprire i portelloni.
Per fortuna non deve fermarsi a prendere la valigia. Ha infilato tutto nello zaino, dicendosi: se mi servirà altro, lo prenderò lì. Dicendosi anche: non so davvero quanto fermarmi.
E anche James è stato d'accordo. Ha scosso le spalle, ha detto fermati quanto vuoi. Nessuno dei due ha dato un limite all'altro.
L'aeroporto è piccolo, ma a Hans sembra infinito. Il tempo dalla pista alla navetta, dalla navetta all'uscita, dall'uscita a –
James.
Che è lì fuori.
Ed è sempre James.
Che cammina avanti e indietro e quando lo vede si ferma. E sono i suoi capelli ricci i suoi occhi grandi le sue fossette quando sorride la sua aria serena la sua giacca di tweed a quadri rossi e neri i suoi jeans le sue sneakers il suo zaino da studente la sua pelle chiara le sue mani grandi il suo mondo tutto lì, con lui.
Hans neanche aspetta. Non ha cognizione di com'è e di chi è. Di Londra intorno a lui, della pioggerellina che scende fitta fitta, del cielo grigio, dei rumori della città, la fila di taxi, la gente che gli si muove intorno.
Non lo sa ancora, che tutto intorno a lui c'è il paesaggio di una nuova avventura.
Il mondo inizia e finisce con gli occhi di James, con il suo sguardo rassicurante, con la sua punta d'urgenza, che poi è la stessa che ha lui.
Hans gli corre incontro.
Si aggrappa alla sua giacca, nasconde la testa contro la sua spalla, vorrebbe infilarcisi dentro, vorrebbe vivere dentro James, sempre. Il suo profumo lo stordisce e quanto gli è mancato, realizza, quanto lo ha cercato tra le lenzuola, negli asciugamani, nella felpa che gli ha rubato per dormire.
James gli bacia le tempie, la guancia, la bocca. Una, due, tre, dieci volte. Gli bacia tutto il viso e Hans ride, è così felice, fa altrettanto, si ferma un po' di più sulle labbra, cerca un po' di calma.
Sa di averne bisogno. È posseduto da troppe emozioni contemporaneamente, sceglierne una è troppo difficile.
«Ciao,» gli dice piano James.
«Ciao,» risponde Hans, e chiude gli occhi quando l'altro lo bacia sul naso.
Lì, sul marciapiede trafficato, appena arrivato, con lo zaino e l'impermeabile e un po' di freddo, con James, si sente a casa.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 30 ⏰

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