-Capitolo 1-

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Strusciando le scarpe sul marciapiedi, con la schiena curva e le braccia ciondolanti, Valerio si trascinava verso la fermata dell'autobus che lo avrebbe portato al liceo. Avrebbe iniziato il suo nuovo ciclo di studi con una nuova classe, nuovi insegnati e nuove materie. Era emozionato, certo, ma furioso al contempo. Era il suo primo giorno di scuola, ma anche il suo compleanno, e nessuno dei suoi compagni lo conosceva, quindi non avrebbe ricevuto nessun augurio di buon compleanno. Ogni anno lo stato gli faceva quel bel regalo: l'inizio della scuola. Si passò una mano tra i capelli spostandosi il lungo ciuffo castano dagli occhi verdi e alzò lo sguardo all'orizzonte sperando di scorgere l'insegna dell'autobus all'angolo della strada, ma come sempre era in ritardo. Roma si stava svegliando nell'afosa giornata settembrina: le tapparelle si alzavano cigolando; i negozi accendevano le insegne e scoprivano le vetrine e gli studenti ritardatari, che come lui si accingevano a tornare a scuola, correvano fuori dai portoni. Sbuffando e sferragliando l'autobus comparve da dietro la curva e subito Valerio si parò in mezzo alla strada per farlo fermare. I suoi amici lo credevano matto per il suo sprezzo nei confronti del pericolo, ma secondo lui era il solo modo per evitare che gli autisti, assonnati e intontiti dai turni notturni, saltassero la fermata. E infatti, con sguardo agitato, l'autista frenò fermandosi a mezzo metro da Valerio esattamente sulle strisce gialle della fermata. Le porte si aprirono con lentezza snervante e, appena Valerio salì, il conducente gli urlò -ehi ragazzo, ma sei matto? Vuoi farti investire?-. senza curarsi del suo sguardo allibito e spostando lo zaino sulla spalla sinistra Valerio rispose con non curanza - buon giorno a lei-. Poi camminò ciondolante verso il fondo della vettura e si lasciò cadere su uno dei sedili scorticati. Si passò una mano in faccia pigiandola forte sugli occhi nel vano tentativo di svegliarsi, ma fu inutile. Alzò lo sguardo: l'autobus si era riempito di bambini chiassosi che si preparavano ad affrontare il primo giorno delle scuole medie e, qua e la, spuntava qualche ragazzo più grande, magari del liceo come lui. Non poté non notare che ognuno di loro chiacchierava con un amico, si battevano il cinque, ridevano. Lui non aveva mai avuto un migliore amico e i suoi amici erano pochi; era sempre stato selettivo con le amicizie e tutti i suoi amici erano strani come lui: non seguivano le mode e si dichiaravano "diversi". E senza nemmeno saperlo affermavano il vero. Distolse lo sguardo e si mise a guardare fuori dal finestrino. Gli edifici di Roma si intervallavano a piccole aiuole e parchi per bambini. Per le strade ormai pullulanti di vita le madri portavano a scuola i loro figli tenendoli per mano, le tapparelle si richiudevano mentre i padroni di casa andavano al lavoro e le macchine si affollavano sulla stretta via. Valerio guardò l'orologio dell'autobus. Le 8:15. Entro venti minuti sarebbe dovuto essere a scuola e con rammarici pensò che quattordici anni prima, di lì a tre ore, sarebbe nato. Il suo quattordicesimo compleanno sarebbe passato inosservato fino alla sera, quando con familiari e amici avrebbe festeggiato in un ristorante del centro. Riconobbe la scuola e fece cenno all'autista che doveva scendere. Con un fischio dei freni il mezzo pubblico si fermò e Valerio scese l'alto gradino. Cinque minuti più tardi era seduto nell'aula magna su una sedia di plastica in prima fila. Gli alunni più grandi si sedettero in fondo alla sala e i suoi coetanei, a poco a poco, si sedettero dietro e vicino a lui. Il preside salì sul piccolo palco e iniziò a parlare con voce lenta e boriosa dilungandosi in un discorso che durò quasi due ore. Dopo le prime parole Valerio già non lo ascoltava più. Si mise a pensare a quando era piccolo, alle avventure che si immaginava prima di dormire. Incrociò le braccia e ripensò alle sue avventure: si vedeva come un re imbattibile, sempre accompagnato dal suo migliore amico, un amico immaginario. Non era un pensiero particolarmente felice ... le sue avventure rispecchiavano tutto quel che lui non aveva: le ali, una corona, libertà assoluta e ... un migliore amico. Il suo nome gli echeggiò nelle orecchie. Il preside lo stava chiamando e allungava il collo cercandolo nella sala. Chiamò di nuovo il suo nome e Valerio si alzò imbarazzato per raggiungere un gruppo di ragazzi raggruppati accanto alla porta. Mentre camminava un vocio sommesso si alzò dalla folla e lui girò con uno scatto la testa fissando le persone con sguardo assassino pensado, e a ragion veduta, che ridessero di lui. Raggiunse i suoi compagni e un'insegnante li accompagnò in una classe molto vicina all'aula magna. Anche la nuova professoressa fece un discorso introduttivo e anche in quel caso Valerio si distrasse dopo le prime parole. Fissava assorto l'orologio sul muro dietro la donna. Solo dieci minuti e sarebbe stato ufficialmente il suo compleanno. La professoressa prese a fare domande ai nuovi studenti per conoscerli meglio. Cinque minuti. Guardò il suo compagno di classe: stava rispondendo a una domanda e si contorceva le dita per il nervosismo. Due minuti. -ciao! Tu sei ?- disse la professoressa portandosi davanti al suo banco -Valerio - rispose il ragazzo. Un minuto. -piacere, Valerio. Da che scuola vieni?-. tempo scaduto. Era il suo compleanno. Valerio fece per rispondere ma si fermò vedendo l'aria spaventata della professoressa. -che succede ai tuoi occhi?- chiese con la sua voce acuta. - i ... i miei occhi prof. ?-. la donna corse alla cattedra e trasse un piccolo specchietto da trucco dalla borsa. -ecco guarda- disse porgendoglielo. Valerio lo prese e lo fissò. I suoi occhi verdi erano segnati da linee rosso sangue che si espandevano come olio dalla pupilla. Il suo compagno di banco lo guardava eccitato. -guardate cosa fa! È incredibile!- un capannello di ragazzi e ragazze si creò intorno al giovane guardandolo con aria eccitata. Sullo specchio Valerio intravide il ciuffo di capelli che puntualmente gli copriva l'occhio sinistro. Le punte stavano diventando di un rosso acceso e velocemente il colore si stava spargendo verso la cute. La pelle leggermente brunita divenne bianca come latte e la vecchia cicatrice che gli copriva il braccio destro quasi interamente da bianca tornò rossa, come fosse recente, ma ci era nato! I compagni applaudirono con eccitazione, qualcuno cacciò un gridolino sorpreso, ma la professoressa disse severa -senti signorino, se questa è una specie di scherzo io ... - non poté finire la frase. La maglietta di Valerio si strappò e due ciuffi rossi di piume spuntarono dalle sue scapole. Valerio lasciò cadere lo specchietto che si frantumò in una miriade di pezzi cadendo a terra e allontanò il banco con uno spintone. Si piegò a terra per il dolore e i ciuffi di piume crebbero e crebbero ancora. Uno scricchiolio abominevole, come quando si frantumano delle ossa, accompagnava la crescita delle piume. Ora gli alunni non ridevano più, anzi gridavano e la professoressa si copriva la bocca con una mano. Lentamente il piumaggio si irrobustì mentre le ossa e i muscoli scivolavano nelle ali. Valerio si contorse e poi, con un urlo, piegò le ali e alcune schegge bianche, schegge di ossa probabilmente, caddero sulle mattonelle della classe. La sua maglia era ridotta in brandelli e, mentre si rialzava, scivolò piano a terra. Il torace nudo era imperlato di sudore e piccoli rivoli di sangue colavano dalla giuntura delle ali. Una ragazza gli corse incontro e lo prese per le spalle. Aveva lunghi capelli biondi e occhi dorati. Con sorpresa Valerio notò che anche i suoi occhi stavano cambiando colore, diventando marrone scuro. Tra le ciocche di capelli stavano sbocciando piccoli fiori dorati. - Giulia! Allontanati da lui subito! E tu buffone, esci subito e va in presidenza! Ti faccio vedere io come ci si comporta a scuola!- Valerio, allibito, uscì dalla classe barcollando per il peso delle ali e mandandole a sbattere ovunque muovendosi goffamente. Attratti dalle urla provenienti dall'aula, professori e ragazzi delle classi attigue usciti a vedere cosa accadesse lo osservavano con stupore e bisbigliavano. Uno strano sentimento prese forma in Valerio: uno strano senso di superiorità e di invincibilità. Con voce cupa, quasi ringhiasse, gridò - zitti!-. immediatamente professori e studenti tacquero e la loro curiosità divenne paura. Con immensa difficoltà si chiuse le immense ali intorno al torace nudo e le piume lo avvolsero completamente strusciando per terra per l'eccessiva lunghezza. Anche i bidelli lo osservavano sbigottiti e attoniti ma non osavano parlare. Il suo urlo aveva raggiunto ogni angolo della scuola. Un normale umano avrebbe avuto la gola dolente per l'enorme sforzo, ma la sua gola era sanissima e sentiva di poterlo fare ancora. La professoressa bussò alla porta della presidenza e poi gli fece cenno di entrare guardandolo schifata. Valerio posò i suoi occhi rossi in quelli neri della donna e pensò adirato " non guardarmi così bestia". Come se le fosse stato ordinato a voce, la donna chinò il capo come fosse pentita del suo gesto irriverente e si fece da parte per farlo entrare. Il preside stava rigidamente seduto su una sedia a braccioli girevole. La professoressa entrò dietro di lui e chiuse la porta. -signor preside, direi che non serva che io spieghi. È evidente che abbia fatto uno scherzo di cattivo gusto e ha anche osato zittire alunni delle altre classi e dei professori che si chiedevano cosa fosse successo-. Il preside, con gli occhi sgranati disse - come ti chiami?- - Valerio - rispose con voce sicura. -ah sì. Mi ricordo di te. Oggi non ti sei alzato subito quando ti ho chiamato, vero? Dimmi, dove credi di essere? In un circo forse?-. Valerio spalancò la bocca con stizza e replicò -io sono in una scuola! E non sono un buffone come lei ha osato insinuare! E ... -
-osato?- lo interruppe il preside adirato - TU stai osando troppo! Come ti permetti di rivolgerti così a un professore? -. Valerio chiuse gli occhi e si avvicinò alla scrivania di metallo lasciando che le ali gli scoprissero il torace muscoloso - secondo lei io posso tingermi gli occhi e poi i capelli e poi farmi spuntare le ali? È questo che pensa?-. il preside si alzò e batté una mano sulla scrivania e avvicinando il suo naso a quello di Valerio gridò -non ti azzardare a rivolgerti a me così!-. Valerio batté con violenza la mano destra sulla scrivania facendola vibrare. Intorno alla sua mano si creò un contorno nero e la scrivania iniziò a scaldarsi. Di nuovo pervaso dal suo senso di onnipotenza spinse il naso contro quello del preside sporgendosi col busto sulla scrivania e facendo indietreggiare l'anziano uomo. -io mi azzardo e come!- gridò . la scrivania era diventata rossa incandescente e le carte che vi erano posate prendevano fuoco mentre il telefono di plastica si scioglieva spargendo un'orribile puzza di bruciato -quella donna, se così si può chiamare, mi ha insultato ingiustamente e lo stesso sta facendo lei. Non mi importa assolutamente niente di chi diavolo sia lei, fosse anche il Papa deve rispettarmi, o io non rispetto lei. Chiaro?- Valerio scandiva le parole con rabbia crescente tenendo gli occhi ferini puntati in quelli del preside. -chiaro?- ripeté Valerio urlando e scaraventando via con la mano quel che restava del tavolo. Il preside annuì e disse: -professoressa faccia venire qui i genitori di questo mostro. È espulso dalla mia scuola-. Valerio si ritrasse e i suoi occhi divennero interamente rossi. Era sparita la pupilla e con essa la parte bianca degli occhi. La scrivania, rossa incandescente, buttata sul muro li accanto, iniziò ad accartocciarsi lambita da lingue di fuoco scoppiettanti. Il preside rimase con gli occhi sbarrati a guardare impotente la sua scrivania liquefarsi, mangiata dalle fiamme.
La professoressa corse terrorizzata verso la segreteria e raccontò l'accaduto alla madre di Valerio. Si rendeva conto di quanto la sua storia apparisse irreale, ma alla fine convinse la donna a venire a riprendere il figlio. La povera donna per poco non svenne quando vide Valerio, che fino a quella mattina era un normale adolescente, distendere le ali rosse, con i capelli e gli occhi color sangue. Lo portò subito via e lo fece sedere sui sedili posteriori della sua auto. Lui si sedette non senza difficoltà, incapace di controllare l'ingombro delle ali. -che diavolo ti dice il cervello? Ma che ti sei inventato stavolta? Tu sei matto! Che diavolo hai fatto ai tuoi occhi e ai tuoi capelli? E quelle ali?-. la donna era fuori di se. Valerio non parlava, ma nemmeno ascoltava la madre. Pensava a quanto fosse orribile quel compleanno, ma al contempo quanto fosse bello. Aveva le ali! E era riuscito a fondere una scrivania di alluminio senza far altro che toccarla. La madre continuava a sbraitare rimproveri, ma il figlio più che ascoltarla, pensava a quanto sarebbe stato bello se avesse avuto un migliore amico con cui condividere tutto quello che gli era successo, ma non lo aveva. Continuava a chiedersi se esistesse qualcuno come lui, e cosa fosse. Si domandava se le sue ali gli permettessero di volare, o fossero come quelle dei pinguini. Mentre rifletteva era arrivato sotto un grosso palazzo in cui lavorava il padre. L'uomo scese trafelato e, dopo aver salutato la moglie, salì in macchina e iniziò anche lui a rimproverare il figlio mentre guidava verso casa. Anche in quel caso Valerio non ascoltava e non replicava, e la cosa era strana, dato che era solito replicare a tutto quel che gli si diceva rispondendo con astio. Nessuno sapeva spiegarsi cosa fosse accaduto.
La famiglia arrivò a casa e, salendo le scale continuarono a borbottare sull'accaduto. A casa però li aspettava una sorpresa spiacevole. Aperte le serrature i tre entrarono e nel salotto trovarono due figure nere incappucciate. -salute sire- disse uno dei due. -chi siete? Fuori di qui subito!- gridò il padre di Valerio. Una delle due persone si abbassò il cappuccio e si fece avanti -io sono figlio di colei che a tutto pone fine. Sono qui per uccidere colui che ritenete vostro figlio, ma che vostro figlio non lo è affatto-.
-ma che dici, idiota? Fuori di qui!- ribatte la madre.
-temo che non sia possibile signori. Ho un ordine preciso. Uccidere il re di Arcania-. La figura avanzò di nuovo e entrò in un cono di luce. Era completamente pelato e non aveva ne muscoli ne grasso: la pelle grigiastra aderiva come carta bagnata alle ossa contorte e i suoi occhi infossati e completamente neri parevano due pozzi. -qui non c'è nessun re. Vattene immediatamente mostro schifoso e porta l'altra bestia con te- abbaiò il padre stringendo i pugni. -non siete educato signore. Lasciate che vi spieghi: oggi l'incantesimo che nascondeva vostro ... figlio... sotto forma umana e che ci teneva lontani da lui, si è esaurito. La mia padrona vuole solo lui. Se vi farete da parte, non vi sarà fatto alcun male. Lui non è un umano, è un arcano. Lui non è vostro figlio: eravate dei custodi per farlo crescere fino a 14 anni, ora è adulto, secondo le nostre tradizioni, è pronto a regnare sul regno di suo padre e come lui ce ne sono altri. Molti altri. Io devo ucciderlo, e lo farò-
-dovrai uccidermi- disse il padre a denti stretti. -oh lo farò se ci tieni-. Il padre di Valerio diede un pugno al negromante e subito il suo compagno sopraggiunse per aiutarlo. Valerio ne approfittò e sgusciò in camera sua. Aprì l'armadio e prese la vecchia spada da generale del padre. Appena la impugnò divenne d'oro e fiamme vivide la percorsero. Tornò nel salotto. Sia il padre che la madre erano a terra. I loro toraci, per quel che poteva vedere senza i suoi occhiali, erano immobili. Sguainò la spada mentre lacrime rosse uscivano copiose dai giovani occhi di Valerio. Abbatté la lama sul cranio di uno dei due aggressori che gli dava le spalle e poi colpì col fodero l'altro. Non li aveva uccisi. Si ritirò in un angolo della casa mentre le due creature abominevoli si facevano avanti. Temette fosse la fine e si strinse nelle ali ma proprio in quel momento apparve una terza figura incappucciata, ma interamente vestita di bianco. Imbracciava una vistosa mazza ferrata e le mani erano guantate di metallo. Ingaggiò un duello feroce con le due figure pallide che alla fine svanirono come fumo. Si girò verso Valerio. Aveva un elmo sottile sotto il cappuccio e il volto non si intravedeva tra le sottili fessure. -sono sir Aligar, ciambellano di vostro padre. Fidatevi di me, vi trarrò in salvo-. Valerio era paralizzato dalla paura non si mosse, così sir Aligar gli si avvicinò e lo prese per un polso. Un bagliore accecante avvolse il giovane alato e la figura bianca e poi, quando si dissolse, i due erano scomparsi.

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