☀️🔥PROLOGO🌙🍷

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Athena

Tutto iniziò con la scoperta della verità. Finii in un ospedale psichiatrico dove mi strapparono dal grembo della morte, e oggi sono qui. Ho passato molto tempo a prendere psicofarmaci, ma la parte più dura non è ancora arrivata: la psicoterapia.
Oltre i test per la schizofrenia, non ho mai fatto alcun tipo di seduta. Nemmeno una semplice chiacchierata con i medici. Il mio disturbo mi è stato diagnosticato esattamente un mese fa, e hanno avuto bisogno che mi tagliassi le vene per prendermi sul serio. Non ho mai desiderato morire realmente, bensì far capire agli altri quanto stessi male. Solo che non so se mi sia convenuto farlo.
Insomma, sono uscita dal reparto circa una settimana fa e sinceramente non sento di star ricevendo abbastanza attenzioni. Odio sembrare una mocciosa o una viziata, il mio intento è urlare, far sentire la mia voce ed essere amata. Ma come posso esserlo senza soffrire?
"Come stai, Athena?"
Dicono che il mio nome mi sia stato dato perché quando nacqui avevo l'aria di essere una piccola guerriera, ma si sbagliavano.
"Fate tutti le stesse domande?"
La psicologa non sembra essere infastidita dalla mia risposta scortese, anzi. Pare fiera, fa un sorrisetto e mi guarda negli occhi.
"Beh, evidentemente c'è un motivo, ed è anche molto semplice"
Tento una risposta.
"Forse perché c'è scritto nei vostri manuali?"
"Ritenta, sarai più fortunata"
"Perché sperate in una risposta positiva?"
"Noi non vogliamo una risposta positiva, ma sincera. Dato che proprio non ci arrivi, o meglio non vuoi arrivarci, te lo dirò io"
La dottoressa fa una pausa, quasi nella speranza che io mi faccia avanti. Io, piuttosto, sfrutto il silenzio per osservarla. Capelli biondi, occhi scuri, alta più o meno 1,65 metri, carnagione tipica dell'Italia meridionale. Non sembra newyorkese, forse viene dall'Europa. Visitai l'Italia e fu un'esperienza unica. Ci andai con la scuola, in terza media. Girammo per Venezia e altre città del Veneto, avevo tante amiche su tempi e stavamo sveglie tutta la notte per spettegolare dei nostri odiosi compagni.
"Facciamo questa domanda perché è importante che voi pazienti sappiate come state"
"So come sto, e non ho bisogno di parlarne con lei"
Tocco nervosamente una ciocca dei miei capelli ramati, la giro attorno al dito e tiro facendomi male alla nuca. È l'unico modo per distrarmi. Nel mentre, la dottoressa affonda i suoi occhi nei suoi, mescolando un elegante marrone ad un glaciale azzurro.
"Credo che tu sia qui per stare meglio, non per parlare. Possiamo trovare molti altri modi per comunicare. Ti piace scrivere? Disegnare?"
"Nessuno dei due."
"Hai delle passioni?"
Se fossi al suo posto, dottoressa, scapperei. Sono marcia, non troverà niente.
"Beh, forse... la recitazione" È una passione che coltivo autonomamente sin da bambina, anche se non la definirei esattamente un hobby piacevole. Sono molto ambiziosa, per cui ogni errore è punibile con...beh, il dolore. Non puoi sbagliare, Athena Blake deve essere perfetta.
"Hai mai fatto dei corsi per portare avanti questo percorso?"
"Non vedo futuro, quindi perché lavorare su esso?"
Forse sono stata troppo diretta, ma c'è una cosa che ho appurato in questo mese passato tra medici e psichiatri, è che loro non si stupiscono di nulla.
"Cos'è che ti impedisce di costruirlo?"
"Non posso uccidere i miei demoni, sono troppo forti"
"Ma tu non sei sola, e posso c'è una domanda che vorrei porti: hai mai provato a sfidarne uno?"
"Certo, ma non funziona"
"Cos'è per te un demone? Descrivimi come è fatto e come ti fa sentire averlo dentro di te"
Non ribatto immediatamente, inizio a pensare ad una risposta sensata. Per me il bene è equivalente al male che intendono gli altri, però c'è una cosa che credo sia logorante per chiunque.
"Il mio mostro è..."
Perché parli con lei? Non vedi che ti hanno tradito e abbandonato tutti? Lei farà lo stesso. La dottoressa è come lui, come tuo padre.
"Non serve a nulla!" sbraito all'improvviso.
"Cosa?" risponde pacata. È sempre così calma, e il suo sguardo penetra la mia pelle lacerando i polmoni. Non respiro.
"La seduta! Non parlerò mai con lei!"
"Te l'ho già detto, Athena, non devi per forza parlare. Puoi scrivere, disegnare, o se vuoi stare in silenzio. Questa, da ora in poi, è la tua stanza"
Non mi ero ancora soffermata sul guardare lo studio. È pieno di quadri colorati, c'è una poltrona e le pareti sono di un bianco panna. Sembra la stanza di un manicomio per bambini, cazzo.
"Facciamo una cosa, dato che ti piace recitare, potresti inventare un personaggio"
"Recito, non sono un regista"
"Hai ragione, ma se dovessi interpretare qualcuno, chi sceglieresti?"
"A me piacciono le opere omeriche, per cui Elena"
"Cosa apprezzi di questa donna?"
"Il coraggio. Si è ribellata ad Afrodite dopo il duello tra Menelao e Paride, è stata vittima di un falso amore mandato dagli dèi. Eppure, lei si vede come una poco di buono, una cagna"
"In cosa ti rivedi?"
Penso se rispondere o meno, poi a quello che ha detto la dottoressa.
Opto per il silenzio, le rivolgo uno sguardo e scuoto la testa. Lei annuisce e passa alla prossima domanda.
"Ti va di parlarmi di te? Anche superficialmente, non m'importa che ciò che dici sia profondo o strutturato, raccontami tutto quello che credi importante"
"Ho diciotto anni, non frequento l'università e soffro di disturbo post traumatico da stress"
"Perché proprio 'non frequento l'università'? Cosa ritieni importante nello specificarlo?"
"Andavo molto bene a scuola, prima di..."
Dillo, dì che sei una puttana. Se hai le palle, raccontale la verità. "Io ero un genio, solo che ora non riesco a studiare più come una volta. Ho completato il liceo, mi sono diplomata con il massimo dei voti, poi il buio più totale"
"Pensi sia colpa tua?"
"E di chi sennò?"
"Non esiste solo il nero o il bianco, può anche esserci un grigio, o addirittura gli altri colori. La colpa può essere di nessuno, bisogna vedere cosa ha scatenato tutto, ma non per forza bisogna attribuirgli una colpa" Penso a lui, a quel volto, e riesco solo a pensare quanto mi meriti ciò che mi è successo.
Io ho permesso che accadesse. Controllo l'orario nervosamente e mi accorgo che sono le cinque di pomeriggio inoltrate.
"La seduta è terminata quattro minuti fa"
"D'accordo, ne parleremo il prossimo venerdì"
Mi alzo di scatto e mi dirigo verso la porta. Esco dallo studio e la dottoressa mi accompagna fino all'uscita.
"Arrivederci, dottoressa"
"Ciao, Athena"

Casa dolce casa. Torno finalmente in camera mia dopo una giornata sfiancante: scuola, compiti, verifiche, corso opzionale...
Sono finalmente qui, nel mio caldo letto, pronta per riposarmi un po'. Mentre chiudo gli occhi, qualcuno bussa alla porta.
"Avanti!"
"Ciao, tesoro"
Mio padre è sempre stato molto dolce con me, ma negli ultimi tempi è davvero smielato. Amo i padri premurosi, ma così è davvero troppo!
"Papà puoi smetterla di perseguitarmi?" dico scherzosa.
"Lo sai che sei la mia vita?"
"Sì, me lo hai ricordato tre volte tramite WhatsApp!"
Papà entra in stanza, spostandosi dallo stipite della porta, ma c'è qualcosa che non va. La chiude a chiave, credo sia solo per parlare, giusto?
Si siede sul bordo del letto ed io mi metto seduta. Ammetto che il cuore mi batte forte, come le percussioni di un tamburo.
"Sei bellissima, Athena"
Rispondo con un sorriso, ma il mio petto è al limite, sta per implodere. Perché fa così?
Papà mi sposta una ciocca dietro l'orecchio, nel mentre gli scende una lacrima.
"Che succede papà?" dico preoccupata.
"Mi dispiace tanto, piccola"
Che sta succedendo? Perché sta piangendo?
Sono molto confusa, non ho il tempo di reagire. Mi scopre, sposta le coperte, mi afferra dalle braccia e mi spinge a muro.
"Papà, ti prego!"
Mi dimeno, urlo finché non mi fa male la gola. L'uomo che ho davanti continua a tenermi immobile, e ad un certo punto non c'è più alcun bisogno. Inerme, mi affido al destino.
Papà prende il suo cellulare dalla tasca e apre la fotocamera. Posiziona la telecamera in modo che riprenda entrambi e si sfila la cintura. Forse non ho capito, o più probabilmente non voglio farlo.
Mamma non è casa, sono sola.
"Sta tranquilla, piccola"
Mi ha sempre chiamata così, sin da quando conservo ricordi.
Papà si spoglia completamente. Ho avuto rapporti con uomini, ma non sento alcuna eccitazione. Vedo il suo membro, e mi viene da vomitare e piangere allo stesso tempo. Ma non faccio nulla di tutto questo, mi limito a stare zitta.
"Spogliati"
Non rispondo, non voglio farlo. Mi convinco che è solo un uomo come tutti gli altri. Penso che sia un ragazzo della mia età desideroso di vedere la mia merce. Ma perché la cosa non mi alletta? Forse perché quello di fonte a me è mio padre?
"Ho detto spogliati!" sbraita. Con paura, mi sfilo i pantaloni. Ascolto ogni cosa che dice, come una schiava. Perché è questo che sono, solo la millesima Medusa della storia. Tolgo anche la maglia, poi l'intimo. Il mio seno non è mai cresciuto, le mie labbra sono incapaci a baciare, ma tutto questo non lo ferma. Rivolgo lo sguardo verso la telecamera.
"Se mi riprende, forse avrò delle prove" penso. Ma poi rifletto...a cosa servono le prove dopo essere stata spezzata, sbattuta, privata della vita? Dopo che mio padre ha fatto scivolare parte del suo corpo dentro di me come fossi sua moglie. Dopo essere stata strozzata, mutata, trattata come carne da macello.
Essere stata squartata partendo dall'anima, disintegrando ogni organo compreso il cuore. E dopo che la mente è stata toccata, punita, marchiata dalle fiamme dell'Inferno, come possono gli angeli raggiungerla?

"A cosa pensi?" mi domanda Celia. Sì, proprio Celia, la figlia di una delle scrittrici più famose d'Italia. Se vi chiedete come sia finita qui, a New York, è molto semplice: per lavoro. Sua madre, Noah, le ha trasmesso la passione per la scrittura e ora studia in una delle università più importanti di lettere. L'ho conosciuta per caso, in un bar, molto tempo fa.
"Se hai dei ripensamenti..."
"No, assolutamente no. Andiamo"
Il bosco è sempre stato uno dei miei posti preferiti: natura, pace, silenzio. È tutto perfetto. Sento il cinguettio dei canarini e lo scorrere del fiume. Mi fa entrare in estasi questo posto. La parola "estasi" ha un significato molto profondo, che quasi nessuno sa con precisione. Etimologicamente, deriva dal greco e vuol dire "uscire fuori di sé". Descrive la sensazione che si prova durate un'elevazione mistica della mente. È come...entrare in paradiso. È così che mi sento quando vengo qui, con una pistola in mano: al sicuro.
Celia è andata a preparare il tutto, aspetto solo che mi chiami.
Cosa stiamo facendo? È da quando ci siamo conosciute che abbiamo una passione in comune: i film d'azione. E non solo quelli, condividiamo anche il bisogno di sfogare la rabbia. Celia, ogni volta che veniamo qui, prepariamo dei bersagli in legno da appendere sugli alberi.
"Sono pronti!"
Prendo la pistola dalla tasca e corro seguendo il suono della voce di Celia.
"Inizi pure signorina Blake..." dice muovendo il braccio per mostrarmi il suo lavoro.
Alzo la pistola, la punto verso il bersaglio e, appena sono sicura di centrare la parte rossa, sparo. Cerco di colpire l'altro bersaglio, e l'altro ancora... Finché al posto di quel pallino rosso, c'è la me bambina.
"Come va con la psicologa?" domanda Celia.
"Beh, sembra brava, ma non mi piace"
"Se è brava perché la odi?"
"Punto numero uno: non ho detto che la odio. Punto numero due: ci sono molte altre qualità che deve avere la psicologa oltre essere brava" Celia mi guarda con le sopracciglia alzate e uno sguardo che urla: "Non mentirmi!"
"Okay... Semplicemente non mi piacciono le psicologhe. Però lei è così...odiosa. Fa sempre un sacco di domande!"
"Io credo che non ti piaccia solo perché cerca di aiutarti. Forse è troppo brava e hai paura che possa far venire a galla verità troppo profonde..."
Visualizzo il suo volto, della dottoressa. Sembra un diavolo vestito da angelo. I suoi tratti sono così delicati, ma la ingannano gli occhi da felino. Non posso negare che è davvero bella, una delle donne più belle che abbia mai visto.
"Può darsi, ma ne dubito"
Dubiti sia la verità o della tua falsa verità, Athena

Non avrei mai pensato di ritrovarmi qui, in questo studio. Ero convinta che la mia decisione sarebbe stata sempre la stessa: scappare dai problemi. Ma per qualche assurdo e bizzarro motivo, ho deciso di non ripetere i miei errori. C'è qualcosa in quegli occhi color nocciola...mi attirano come una calamita.
"Come stai, Athena?"
"Bene, lei?"
"Non sei tu a doverti preoccupare del mio benessere e salute, ma io. Quindi, ripeto la domanda, come stai?"
"Bene, grazie. Va meglio?"
"Ti piace la recitazione, ed è una bella cosa, ma qui dentro non devi seguire un copione"
"Io non seguo alcun copione"
"A me non sembra"
"Invece a me pare che lei non abbia un buon intuito"
La dottoressa si sofferma ad osservare il mio viso. Cosa sta guardando? Le occhiaie o le mie iridi? Si dice che gli occhi siano lo specchio dell'anima. È questo che sta facendo? Studiare la mia anima?
"L'avviso che nei miei occhi non troverà nessuna risposta o soluzione ai suoi problemi"
"Non sono io a dover risolvere dei problemi"
Cazzo, colpita e affondata. Non credevo che una psicologa potesse rispondere in questo modo, ma la cosa mi piace. Non ho mai conosciuto nessuno che mi tenesse testa, fino ad ora.
"Non sto benissimo, ma non credo che a lei gliene importi granché"
"Cosa te lo fa pensare?"
"Il fatto che lei sia qui per soldi?"
"Tu reciteresti per soldi o perché vuoi trasmettere qualcosa ai tuoi spettatori?"
"Nessuno dei due" dico e la metto a spalle al muro.
"Perché allora ti piace recitare?"
"La risposta è molto semplice, dottoressa. Può arrivarci da sola..." la provoco.
"Perché non mi dai una mano? Magari risparmiamo tempo"
Inizio a sentire caldo, così tolgo la giacca. Faccio fatica a deglutire, sto per dargliela vinta.
"Perché voglio dimostrare qualcosa a me stessa" mento.
"Non credo sia questa la verità, anzi, ne sono più che convinta. Io, piuttosto, sono dell'idea che a te piaccia vivere la vita di qualcun altro per dimenticarti della tua"
"Si sbaglia!" tuono.
"Allora perché ti scaldi? Ti senti forse scoperta?"
"No, vede? Si sbaglia di continuo!"
"E ti reca così fastidio correggermi?"
"Continua a psicoanalizzarmi!"
"Se non vuoi essere psicoanalizzata... Perché sei qui?"
La domanda spezza la continuità del discorso, facendo cadere ogni parola nel cassetto del silenzio.
"Perché..." Le parole rimangono sospese per aria, cercando con rapidità il sostegno della mia solita sicurezza. Ma essa viene a mancare, e con lei ogni litro di rabbia che avevo in corpo, perché forse lei ha ragione. Perché cazzo sono qui?
"Non lo so, davvero, non ne ho idea"
"Forse sei semplicemente in cerca d'aiuto, o comunque ne è una parte di te. Sai, è come se il tuo cervello fosse diviso a metà: una parte che grida salvezza, e l'altra che si nasconde sotto un piccolo pezzo di stoffa. Ma in ogni caso, in modo diverso, ogni centimetro del tuo cervello sta chiedendo attenzioni, e il tuo corpo ne risente" dice guardando la mano piena di tagli. Inutile mentire, o giustificare tutto come un incidente. Lei sa.

Tornata a casa, mamma sta cucinando la pasta con i broccoli. Ne avverto l'odore.
"Tornata a casa?"
"No, quella che vedi davanti a te non è tua figlia, ma un fotogramma!"
"Sempre spiritosa e cordiale, vero Athena?"
Annuisco con ilarità. Mamma mi è sempre stata vicina, nonostante i miei molteplici problemi. Conservo solo bei ricordi con lei: gite nei boschi, picnic al parco e lotte con i cuscini.
"Come ti senti?"
"Nervosa, irritabile, fottutamente psicopatica... Vuoi che continui?"
"Ti sta almeno aiutando?"
"Mamma! C'è il segreto professionale!"
"Smettila di fare la spiritosa" ribatte seria.
Scocciata, mi dirigo verso camera mia. Ma prima di entrare e buttarmi nel letto, decido di usufruire del mio jolly.
"E comunque sono maggiorenne!" urlo e chiudo la porta prima che mia madre risponda.
Giro la chiave, e...
La chiave gira e gira, finché la porta non è completamente chiusa. Nemmeno l'aria passa, sennò non si spiega la mia difficoltà nel respirare.
"Sta tranquilla, è come l'altra volta. Obbedisci e finirà presto, comportati male ed io ti spacco la testa"
Sapevo che non stava mentendo, ne era capace. Come da prassi, toglie tutti i suoi vestiti buttandoli sul pavimento. Sento un brivido, poi mi viene da piangere, ma non lo faccio.
Non ci riesco. È come se le mie emozioni fossero sepolte dentro di me e non potessero uscire. A seppellirle, c'è la paura di essere punita o reputata sbagliata per averle espresse.
"Che fai? Pensi che io possa scoparti da vestita? Spogliati, cazzo!"
Guardo un punto fisso, cercando di distogliere lo sguardo dalla sua erezione.
Papà prende il telefono e lo poggia al solito posto, sopra il comodino, davanti la lampada.
"Toccalo"
Mi volto verso di lui, e capisco che si riferisce al pene. So che non posso rifiutarmi, o finirà male. Così, tra conati e lacrime, lo prendo fra le mani.  È bagnato e duro, proprio come se fosse eccitato nel vedere sua figlia nuda.
Non muovo la mano, e lui inizia ad urlare.
"Devi muovere la mano cazzo! Su e giù!"
Lo faccio lentamente, ma lui mi ordina di farlo più veloce e più veloce ancora.
"Oh, sì... Continua piccola mia"
Corro sotto le lenzuola, e proprio come se fossi coperta da un piccolo pezzo di stoffa, piango. Forte, per farmi sentire, ma mamma canticchia di là la canzone che viene riprodotta in televisione.
Mentre io, canto il dolore di una vita distrutta. Non vivrò mai come desidero, forse perché non lo merito. Ma avrò mai modo di saperlo? Esiste destino dove Athena sia felice?
E soprattutto, dove Athena non ami suo padre come se fosse ancora la sua piccola e dolce bambina?

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