Circa cinque mesi prima
Un pulmino verde militare si fermò davanti al gabbiotto della fermata vicino all'accademia militare Giorgio Almirante di Roma. Ad attenderlo c'erano un gruppo di quarantacinque nuovi cadetti freschi di accademia. Salirono sul mezzo dopo aver caricato i loro bagagli. L'autista aspettò col motore acceso che l'ultimo passeggero avesse preso posto per poi ingranare la marcia e partire. Dirigendosi verso la periferia imboccò l'entrata nell'Anello Stradale Anulare, fece il giro per dirigersi verso sud e poi si immise nella strada a lunga percorrenza del sole, i cui lavori di realizzazione sono iniziati verso la fine degli anni '30 e che parte da Milano e, al momento, terminante a Napoli. Arrivato nei pressi di Frosinone il veicolo passò sotto un portale in pietra maiella e tufo i cui fasci littori di ottone ornavano gli stipiti mentre dodici aquile imperiali nere di piombo svettavano sul cornicione ad ali spiegate. Al centro della trabeazione c'era un medaglione tondo con lo stemma imperiale dipinto in modo da essere ben visibile e risaltare rispetto al materiale circostante, da essere la prima cosa visibile. Era diviso in tre sezioni recanti ciascuno un simbolo diverso: in una sezione c'era una papalina grigio perla su sfondo bianco, in un'altra tre scritte uguali in stampato color oro su sfondo blu e nell'ultima un'effigie biancastra di Mussolini attorniata da cinque stelle su sfondo rosso. A completare il tutto un tondino posto al centro dello stemma con uno stellone bianco a cinque punte su sfondo azzurro. Tale stemma stava lì a rimandare alla memoria di grandi glorie. «È l'aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende». Giorgio Gerardi vide queste parole scritte sul drappo di uno stendardo scolpito in un bassorilievo su una lastra di metallo incollata col cemento su una porzione di muro che lesse ad alta voce. Il veicolo passò sotto l'arco addentrandosi nel cuore della campagna ciociara. ̶ Che monumento imponente! ̶ Commentò Romano Gerardi, suo fratello di un anno più giovane rispetto a Giorgio.
̶ Eh sì! Davvero bello.
̶ Ho un dubbio: qe per caso sai cosa rappresentano in simboli sullo stemma imperiale? ̶ Chiese Romano.
̶ Ma qe non hai imparato proprio niente? ̶ Disse sorpreso Giorgio. ̶ Eppure è semplice: Le cinque stelle attorno all'effige di Mussolini rappresentano le quattro colonie italiane in Africa e il protettorato del Tabarsaràn, la scritta FERT ripetuta tre volte è il motto dei regnanti di Savoia e la papalina rappresenta la chiesa. Qe ti è tutto chiaro adesso, Romano?
̶ Sì, adesso mi ricordo. ̶ Ribatté Romano. ̶ Però a proposito di chiesa: so che quest'arco è stato edificato in onore delle politiche agricole promosse dal governo nel basso Lazio e nell'alta Campania, iniziative che hanno ottenuto l'approvazione e l'appoggio del papa Pio XII che ha persino benedetto la struttura il giorno della sua inaugurazione.
̶ Figuriamoci!... ̶ Disse Giorgio. ̶ Questi papi starebbero ancora in Vaticano imbalsamati se non ci fosse stato il nostro Duce a tirar fuori Pio XI dal suo buco per esporlo al mondo.
̶ E anche alla vita politica, alle alleanze, alla guerra, ai genocidi, ... ̶ Insinuò Romano.
̶ Scherza con i fanti, ma lascia stare i santi! ̶ Intervenne dal posto dietro a loro Giulio Gerardi, loro fratello di un anno più vecchio rispetto a Giorgio, poiché aveva colto il dissacrante riferimento al mutismo assunto dalla chiesa nei confronti dei crimini nazisti commessi durante la Seconda Guerra Mondiale, sanguinoso conflitto scoppiato nel 1939 e finito nel 1944, quando una serie di morti importati avevano portato alla decapitazione del partito nazista. ̶ Certe insinuazioni lasciatele agli anticlericali degenerati. Parliamo un po' di noi piuttosto: a me mi mandano trai miliziani di Tripoli. E voi? A quale sezione siete stati assegnati?
̶ Qe sul serio? ̶ Rispose Romano stupito.
̶ Ma dai! ̶ Rispose Giorgio incredulo.
̶ Ebbene sì. ̶ Rispose Giulio mettendo la mano dentro il taschino interno della camicia nera da cui tirò fuori un foglio ripiegato che porse ai fratelli. ̶ Se non mi credete date un'occhiata qui.
Afferrato il documento, Romano lo lesse e così si rese conto che era una lettera di reclutamento stampato proprio dal Ministero delle Colonie di viale Terme di Caracalla. ̶ Cavoli! ̶ Esclamò Romano. ̶ Proprio in mezzo ai beduini del deserto ti hanno dovuto mandare.
Giulio riprese il foglietto e lo ripose nel taschino interno. ̶ Che ci volete fare... ̶ Rispose Giulio con filosofia. ̶ C'è bisogno di sorveglianza anche in mezzo al deserto.
̶ E voi ditemi. ̶ Chiese Giorgio. ̶ A quale sezione siete stati assegnati?
̶ A me mi hanno assegnato ad Andria. ̶ Rispose Romano. ̶ Quando scendo a Napoli prenderò un autobus interregionale per Barletta e da lì mi dirigerò ad Andria dove mi incontrerò con il mio futuro capo sezione.
Dicendo questo Romano si mise a frugare nel suo zaino per prendere il foglio di collocamento e mostrarlo ai suoi fratelli. ̶ Io, invece,vado in Abcasia, sul Mar Nero. ̶ Disse Giorgio un po' a malincuore.
̶ Così lontano!? ̶ Esclamò Giulio.
̶ Certo, Giulio. ̶ Incalzò Giorgio. ̶ Ho studiato russo all'accademia altrimenti non mi ci mandavano, no?
̶ Forse volevi dire "non mi ci avrebbero mandato". ̶ Lo corresse Giulio.
̶ Comunque sia, guardate qui se non mi credete. ̶ Rispose Giorgio tirando fuori la lettera di assegnazione del Ministero della Guerra che provava il suo trasferimento perprestare servizio in Abcasia.
̶ Questo significa che non ci rivedremo per un bel po'! ̶ Intervenne Romano in fine. Giulio cercò di consolare i suoi fratelli.
̶ Allora cerchiamo di passare queste ultimeore insieme, va bene?
Romano prese l'iniziativa e tirò fuori dallo zaino un quaderno con la copertina rigida per prendere il suo documento di assegnazione ma gli cadde di mano per una smessa finendo sulla gamba di Giorgio. ̶ Scusa, questo che cos'è? ̶ Chiese Giorgio incuriosito.
̶ È il mio quaderno di memorie. ̶ Rispose Romano. ̶ Lo uso per scriverci qualche appunto. Romano lo mostrò ai suoi fratelli e questi videro una serie di articoli di giornale ritagliati, piegati e incollati nelle pagine, appunti scritti a matita, foto e cartine geografiche. Tra le altre cose i due videro anche interi spezzoni di testo scritti a matita.
̶ Da dove hai ricopiato questi passaggi? ̶ Chiese Giorgio a Romano.
̶ Li ho presi da Diario di Prezzolini, un libro che ho letto di recente.
̶ Quale? Quello che parlava del soggiorno americano dell'autore?
̶ Sì, esatto!
̶ Una lettura molto interessante. Ma non parlava anche della Terza Guerra Mondiale... in riferimento all'alleanza tra americani e italiani?
̶ Proprio così. ̶ Confermò Giulio. ̶ Per noi italiani è stato traumatico, e un po' lo è ancora oggi. Avere per alleati degli americani... Altro mondo, altro modo di pensare... e quel che è peggio nessuna tradizione. Se la decisione di non intervenire nella Seconda Guerra Mondiale appare come una decisione sofferta per il nostro Duce, non lo fu mai quanto quella di scendere in campo, dal 1946, con i militi americani nell'operazione inopinata.
̶ E perché decise di allearsi con loro, secondo te? ̶ Chiese Romano a Giulio.
̶ Evidentemente perché aveva di fronte agli occhi il declino del Reich, visione che fu in parte scongiurata con il pronunciamento dell'agosto del '44, quando il neo-führer Göring trattò la resa con gli alleati. A circa un mese dall'attentato di Rastenburg in cui Hitler e Goebbels persero la vita. Un vile attentato di cui Himmler fu accusato e quindi condannato a morte.
̶ È un vero peccato. ̶ DisseGiorgio. ̶ Avremmo potuto essere buoni alleati se lecose fossero andate diversamente. Forse se tra gli ideali nazisti non ci fosse stato anche il progetto di persecuzione degli ebrei.
̶ Già. In compenso il nostro Duce intuì le potenzialità dell'alleanza con gli americani e ne colse le opportunità per l'Italia.
̶ Vuoi tu dire la tecnologia al servizio della tradizione? ̶ Chiese Romano.
̶ In un certo senso. ̶ Rispose Giulio. ̶ Mussolini capì che si trattava di un popolo giovane, intraprendente, un po' ingenuo forse, ma possessore di idee, di grandi doti e notevoli potenzialità. D'altronde quelli che si fanno chiamare americani, non sono i veri americani...
̶ E chi sarebbero i veri americani? ̶ Chiese Giorgio a Giulio.
̶ Penso che si riferisca all'elemento autoctono. ̶ Disse Romano a Giorgio.
̶ Esatto. ̶ Confermò Giulio. ̶ L'elemento autoctono, cioè il pellerossa. Loro sì che possiedono una tradizione. Hanno abitato il continente americano prima degli occidentali e certamente hanno potenzialità guerriere e spirituali superiori rispetto ai loro colonizzatori che li assimilarono.
Questa affermazione ci fu un silenzio assertivo. Poi Giorgio soggiunse: ̶ Sarà per questo che il Duce ha saputo intendersela bene con gli islamici?
̶ Probabile... ̶ Rispose Giulio. ̶ Anche gli islamici hanno buone potenzialità spirituali e guerresche. Queste potenzialità andrebbero valorizzate. Sarebbe una grandiosa opportunità per il popolo americano, li aiuterebbe a ritrovare l'interiorità perduta.
La conversazione fu interrotta quando un carabiniere passeggero incitò tutti gli altri a guardare fuori dal finestrino giusto in tempo per vedere quello che aveva visto su un cartellone pubblicitario al lato della strada. Si trattava di un vecchio manifesto propagandistico della Terza Guerra Mondiale, di quelli cronologicamente molto più tardi. Lo si capiva perché, oltre alla figura a mezzo busto del Duce Mussolini, vi era anche quella del re Umberto II di Savoia, salito al trono d'Italia succedendo a suo padre Vittorio Emanuele III di Savoia morto nel 1947. Queste due figure erano incorniciate all'interno di tondini e piazzate ai due lati del manifesto mentre al centro si vedevano le sagome di un gruppo di soldati dall'aspetto indistinto intenti a issare un pennone con un tricolore italiano in cima a una montagnola fatta di macerie e insegne sovietiche. L'immagine di re Umberto era stata imbrattata da una striscia di vernice rosa volta a formare una stella a cinque punte racchiudente la foto del monarca e accanto era stata scritta la parola stellassa. Tale termine era il soprannome dato proprio a re Umberto II da coloro che credevano alle dicerie che volevano l'attuale re d'Italia essere un omosessuale. Il cartellone passò davanti agli occhi dei passeggeri sparendo alle loro spalle assieme ai chilometri di strada percorsi. Al pensiero di un monarca omosessuale i fratelli ebbero un fremito mal celato di ilarità. ̶ Oh ragazzi! Meno male che gli italiani erano troppo virili per essere omossessuali! ̶ Disse Giorgio.
̶ Già! ̶ Rispose Romano. ̶ Forse è una tendenza della regia armata farsi venire il vizietto!
̶ Scusate, cos'è che vorreste insinuare? ̶ Chiese un carabiniere dal posto dietro ai tre fratelli che aveva sentito la conversazione.
Allora Giorgio, mosso a spavalderia, si alzò dal posto e parlò del cartellone che avevano passato poco fa. Dopo la spiegazione il carabiniere ebbe un fremito di rabbia e inveì contro i miliziani: ̶ Vedi di lasciarle ai rotocalchi scandalistici queste insinuazioni ché in fatto di virilità noi carabinierinon siamo secondi a nessuno.
I tre miliziani assunsero un'aria di sufficienza a quelle parole. E allora il carabiniere, vedendo sminuita la veridicità della sua affermazione, soggiunse: ̶ Cosa vi fa pensare che non siate voi miliziani a farvi venire il vizietto?
A quella frase Romano si alza dal suo posto e rispose. ̶ Se i miliziani sarebbero tutti omosessuali com'è che sono andati a combattere durante l'ultima guerra mondiale?
̶ Qe solo loro? ̶ Sopraggiunse un carabiniere che aveva sentito la conversazione dal posto davanti a Romano e Giorgio. ̶ Ma qe vi pensate che solo voi sapete essere dei veri uomini? Credete che i nostri del Regio Esercito siano andati in Russia a ballare sotto la neve?
̶ Giusto! ̶ Intervenne un altro carabiniere dal posto a lato di Giulio Gerardi che aveva seguito anche lui la conversazione dei tre fratelli miliziani. ̶ Un minimo di riconoscimento, no?
̶ Non arruffate la cresta, gente! ̶ Controbatté un miliziano. ̶ Fosse dipeso dal vostro re saremmo diventati una colonia anglofona!
Da questo partì un'accesa discussione su quali tra Milizia e Regio Esercito fossero meglio o peggio, una discussione che a poco a poco si allargò a tutti gli altri passeggeri diventando sempre più chiassosa e furibonda. Fin dagli anni'20 in Italia si stabilì una diarchia basata su un governo retto sia dal Duce che dal Re. Col tempo questo sistema diarchico aveva finito col riflettersi anche nell'apparato militare e nelle forze dell'ordine in generale: da una parte i Carabinieri e dall'altra la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, da una parte i reparti della Decima Regia Armata Nazionale e dall'altra i Battaglioni M, in una parte i Bersaglieri e nell'altra la fanteria leggera, e così via. Le funzioni delle due forze militari erano così riassunte: i miliziani proteggevano il Duce e le istituzioni fasciste mentre il Regio Esercito proteggeva le istituzioni monarchiche. Però al di là di questa ripartizione i vari corpi delle forze dell'ordine avevano quasi tutti le stesse competenze. Perciò capitava spesso che fra loro sorgessero delle diatribe, una volta per motivi di giurisdizione, altre volte per accavallamento di ruoli o addirittura dispute territoriali magari per violazione di terreno della corona che allo stesso tempo erano di pertinenza podestale. Intanto il rischio che questa degenerasse in un'azzuffa tra fronti opposti per salvare l'onore dei loro stendardi andò via via aumentando. Allora Giulio si sollevò dal suo posto e urlò più che poté per calmare i militi. ̶ Calmi ragazzi! ̶ Gridava Giulio a più riprese.
Ma niente da fare, il baccano era troppo forte. A un certo punto alcuni iniziarono a tirar fuori i coltelli e allora Giulio pensò che andando avanti così la cosa sarebbe degenerata finendo in tragedia. Allora Giulio tirò fuori la beretta dalla fodera e sparò un colpo in alto lasciando un buco sul tetto del mezzo di trasporto. A quello sparo l'autista sbandò spaventato per un breve tratto di strada e tutti si zittirono volgendosi verso Giulio. L'autista non era intervenuto prima a sedare il baccano perché con un gruppo di giovani armati non era il caso di esporsi troppo e quando quel colpo di beretta fece zittire tutti fu rincuorato nel vedere che il baccano era finalmente cessato. ̶ Adesso basta bisticciare! ̶ Gridò Giulio con una certa risolutezza. ̶ Il nostro ordinamento non ammette esternazioni pubbliche di omosessualità né l'omosessualità stessa! Non è possibile che ci possano essere froci fra noi! Quindi smettiamo di azzuffarci! Siamo pur sempre italiani! Serviamo una sola Patria! Quelli che andarono a combattere nella guerra sono stati tutti bravi soldati, di entrambi le parti. I vice-regni non sorsero mica con niente! L'attacco congiunto delle nazioni alleate in parti diverse dell'ex-Unione Sovietica mise a durissima prova le difese staliniste che si sono trovate a combattere su molteplici fronti e alla fine l'imminente arrivo dell'armata italiana a Mosca spinse Stalin a fuggire a est facendo perdere le sue tracce sui monti Urali. E così, alla fine della guerra, noi italiani riuscimmo a diffondere il nostro credo rivoluzionario allo stesso modo in cui i romani diffusero la civiltà in Europa. Nessuno può negarlo... ̶ Da questo punto tutti gli altri passeggeri, poco per volta, si aggiunsero ai tre miliziani e ai sei novelli carabinieri per seguire il discorso di Giulio con interesse. ̶ ...Parlando di "colonizzazioni" Mussolini è sempre stato coerente con sé stesso e ha perseguito l'obbiettivo della terza via sino in fondo. Non so se ci sia riuscito in pieno però ha collaborato con l'America americanizzando l'Italia il meno possibile. E ottenne dei risultati... i rapporti diplomatici fra i due paesi ne sono la dimostrazione. Gli Stati Uniti cominciarono a finanziare l'Italia fin dagli anni '40, potenziando la nostra industria bellica e fornendole armamenti e finanziamenti a iosa. Il nostro Duce si servì di tutto ciò che l'America poteva offrire di utile senza vendersi. Del resto gli americani avevano bisogno della nostra collaborazione per ottenere stabilità nel Mediterraneo e l'Italia era una delle poche nazioni europee a non aver subìto i guasti del Secondo Conflitto Mondiale. È così che ha rafforzato il regime. ̶ In sua risposta ci furono applausi e parole di assenso da entrambe le parti seguito dascambi di battute tra i passeggeri. ̶ Il Duce riuscì a far rivaleggiare l'Italia con le grandi potenza mondiali. ̶ Diceva uno.
̶ Con la sconfitta di Mosca l'Italia ottenne un posto di rispetto fra le potenze del pianeta. ̶ Diceva un altro.
̶ La vittoria aprì la strada del fascismo nell'Est europeo. ̶ Aggiungeva qualcuno.
A un certo punto iniziarono persino a intonare canti militari e patriottici. Quanto ai tre fratelli, questa situazione richiamò alla loro memoria quello che videro nei documentari sulla Terza Guerra mondiale, finita nel 1949 grazie anche al ricorso alle bombe atomiche da parte italiana e statunitense. Ricordarono specialmente le immagini delle pianure innevate della Russia disseminate di corpi e di resti dei mezzi bellici di entrambi gli eserciti e i luoghi delle grandi battaglie. Come quelle campali estive che portarono l'esercito italianoa lottare contro i sovietici a Tiblisi, Yerevan, e da lì verso il bassopiano sarmatico, a Stavropol, Rostov-na-Donu, Voronez, fino a Mosca. E quelle navali nel Mar Nero come quella di Sebastopoli... posti nei quali il loro padre, Amedeo Gerardi, poteva esserci passato o magari averci perso la vita. Questo pensiero fece dipingere sui volti di Giorgio e Romano un'aria di tristezza e nostalgia; aria che non sfuggì a Giulio il quale, per consolarli come poteva, disse: ̶ Fatevi forza ragazzi. Se nostro padre fossequi sarebbe molto fiero di noi, di quello siamo diventati.
̶ Qe davvero, Giulio? ̶ Sospirò Romano. ̶ Nostro padre combatté in Russia dalla parte dei nazisti assieme a centinaia di altri.
̶ Pagò cara la pelle per una guerra in cui l'Italia non ha nemmeno partecipato. ̶ Sottolineò Giorgio.
̶ Nostro padre... ̶ Rispose Giulio. ̶ ...non è mai stato sostenuto dal nostro paese ma nessuno gli ha mai impedito di scegliere di andare a combattere in Russia con le legioni nere. Ha solo seguito i suoi ideali.
̶ D'accordo. ̶ Rispose Romano. ̶ Ma che mi dici del fatto che il nostro paese partecipò a un'altra guerra? A volte mi chiedo se era davvero necessario rispondere alle provocazioni dei sovietici. Specialmente per l'Italia per cui sono morti in oltre 200.000 nella campagna di Russia del biennio '47-'48. In fondo Stalin ha cercato di conquistare dei territori che sono appartenuti alsuo paese fino a quando i nazisti non l'hanno attaccata negli anni '40!
̶ Fummo costretti dagli eventi. ̶ Rispose Giulio. ̶ Dopo la morte di Hitler e la conseguente fine della Seconda Guerra mondiale le cose sul fronte occidentale si erano calmate. Ma il nodo del fronte orientale restava insoluto. Tra l'altro ai sovietici era stato promesso il controllo su territori in Europa che poi gli furono tolti alle conferenze di Jalta e Potsdam. Aggiungici l'Abissinia convertita allo stalinismo, i comunisti jugoslavi che minacciavano Albania e i nostri alleati ex-jugoslavi e il fatto che la nostra Patria era praticamente l'unica nazione europea stabile e ci si può rendere conto di quanto fosse inevitabile per noi trovarsi costretti a intervenire.
̶ Ma io sapevo che in Italia ci fosse un interesse trasversale per l'Unione Sovietica. ̶ Ribatté Romano.
̶ Questo giustificherebbe il patto italo-sovietico di amicizia e non aggressione del '33.
̶ È vero. ̶ Rispose Giulio. ̶ Ma un comunista resta sempre un nemico da abbattere per noi fascisti. Pure se stalinisti. Ed è proprio intervenendo che abbattemmo gli stalinisti. Molti vendettero cara la pelle però alla fine i sovietici furono sconfitti. Così l'Italia ottenne l'influenza sulla Russia europea dopo la Conferenza di Smolensk, in cui l'URSS fu smembrata e spartita fra le nazioni vincitrici, dopo di che abbiamo messo l'ultima compagine rimasta della famiglia Romanov al governo della Russia creandoci un alleato più affidabile a presidio dei confini orientali del continente europeo. È oltrepassando il confine oltre la città di Fiume che abbiamo salvato i croati ei montenegrini dalla minaccia titina e ridato la Serbia al suo legittimo sovrano. E così fu per i sarmati, i circassi, gli abcasi, gli armeni, gliazeri, osseti e le altre popolazioni del Caucaso. È dilagando negli altipiani montuosi dell'Ogaden che riuscimmo a scacciare i comunisti dall'Abissinia come loro fecero con il negus. Di noi si può dire qualsiasi cosa men che fummo noi a cercare la guerra.
̶ Sì, ma cosa è venuto di buono per noi dalla neutralità nel Secondo conflitto mondiale? ̶ Ribatté Giorgio.
̶ Cosa ne è venuto di buono per noi dallaneutralità al Secondo conflitto mondiale? ̶ Esclamò Giulio sbarrando gli occhi. ̶ E l'influenza diplomatica che l'Italia riuscì a estendere nei Balcani negli anni della neutralità? E l'Eptaneso che l'Italia ottenne dall'arbitrato di Fiume del '44? Hai tu scordato le atrocità e le magagne che la Germania ottenne in quella guerra? Hai tu scordato dell'onta che gli abissini inflissero agli italiani più di cinquant'anni fa e che solo tre anni fa riuscimmo a vendicare? Qe hai dimenticato l'effetto devastante delle bombe atomiche sganciate in Kamciacca dagli statunitensi nella Terza Guerra mondiale? Cosa avresti voluto? Che le avessero sganciate qua in Europa?
Questa ultima domanda fece zittire i due fratelli. A quel punto si sentiva soltanto il baccano dei militi che cantavano canti patriottici e si riconciliavano dopo la rissa scongiurata. Baccano che aveva provveduto a coprire i discorsi di Giulio così da non essere uditi da nessuno all'infuori dei tre fratelli. La prospettiva di un'Italia alleata di un paese sconfitto brutalmente come la Germania hitleriana fece riflettere più a fondo i due fratelli di Giulio. ̶ Be'... da questo punto di vista... ̶ Esordì Romanoalla fine. ̶ ...è una fortuna che le cose siano andate come sono andate.
̶ In effetti,sì. ̶ Rispose Giorgio. ̶ La Jugoslavia è sempre stato un paese instabile tanto da avere avuto ben due guerre civili. Guerra civili da cui sorsero nuovi Stati in cui i Savoia hanno messo a governare un paio di loro regi membri.
̶ Vero! E poi con la spartizione della fu-Unione Sovietica l'Italia ha ottenuto il controllo sul bassopiano sarmatico fino agli Urali e al fiume Ural creando dei confini politici precisi all'Europa. ̶ Rispose Romano.
̶ Infatti! ̶ Rispose Giulio. ̶ Non siamo rimasti completamente con le mani in mano. Tutto sommato non ci possiamo lamentare delle decisioni prese nel Secondo conflitto mondiale e degli esiti del terzo che ne seguì.
̶ Puoi dirlo forte. ̶ Disse Giorgio. ̶ Dio solo sa come sarebbero andate le cose se l'Italia si fosse alleata con la Germania nazista. Lasciandosi pure sconfiggere, magari!
̶ Anch'io ci ho pensato di tanto in tanto ma non riesco a farmi un'idea: la mia mente si rifiuta!
̶ Meglio smettere di pensare a certe cose, allora... ̶ Disse Giulio. ̶ ...e ringraziamo il Cielo e il Duce che ciò non sia accaduto e che noi siamo ancora qui a parlarne.
I tre fratelli continuarono a parlare del più e del meno per un'altra ora e poi si addormentarono per circa un'altra ora durante la quale la vettura proseguì per il resto della tratta della Strada a Lunga Percorrenza del Sole, quella che porta nella periferia napoletana. A un certo punto del tragitto il veicolo imboccò l'uscita dalla Strada a Lunga Percorrenza e si diresse verso il centro partenopeo. C'era un traffico che ai tre fratelli camerati non era mai capitato di vedere. Il traffico era dato in gran parte dal fatto che Napoli era sede di uno dei più importanti porti militari e mercantili d'Italia. Se Roma era la capitale politica d'Italia e Milano quella economica, Napoli si poteva considerare la capitale marinara grazie al suo porto con tutti quegli innumerevoli moli che accoglievano mercantili e navi di ogni tipo e dimensione, per non parlare dell'esteso porto militare costruito a Bagnoli considerato da tutti uno dei più rinomati che ci siano nella Penisola. Il mezzo si fece strada nel traffico finoa giungere finalmente alla stazione di Napoli Gianturco. Quando il mezzo si fermò tutti i passeggeri scesero, presero i loro bagagli e si avviarono nella piazza antistante l'ingresso alla stazione. Lì Romano, Giulio e Giorgio si resero conto che erano già arrivati dopo essere stati svegliati dallo stridio del mezzo che si fermava e dopo essere scesi con i loro rispettivi bagagli restarono sul marciapiede con Romano fino a quando non sarebbe arrivato l'autobus per Barletta. Intanto, poco alla volta, attorno a loro i miliziani e carabinieri si avviarono ognuno per la propria strada; chi in direzione del porto, chi su un mezzo urbano su gomma e chi a piedi. Dopo un po' un bus interurbano passò da quelle parti. Romano si avvicinò il mezzo seguito dai suoi fratelli. Il giovane, non appena trovatosi davanti al portello aperto, si sentì come pietrificato. Aveva più o meno la stessa sensazione di quelli che si trovano davanti l'aula della commissione il giorno di un esame importante. Allora i suoi fratelli si accostarono a lui e Romano, avvertendo la loro presenza, si volse verso loro. ̶ Be'... ci siamo. ̶ Disse sommessamente Giorgio. ̶ Il nostro ultimo attimo insieme.
̶ Non buttiamoci giù. ̶ Disse Giulio. ̶ Vedrete che ci rincontreremo un giorno. I cambiamenti saranno oscuri ma... i cambiamenti sono portatori di esperienze importanti e possibilità ancora più grandi.
̶ E se così non fosse? ̶ Incalzò Romano. ̶ Se non ci dovessimo incontrare mai più?
̶ Non ci pensare nemmeno. ̶ Ribatté Giulio mettendogli una mano sulla spalla in segno di incoraggiamento. ̶ Qui non si tratta di sopravvivere in su un campo di battaglia della campagna di Russia come in quella dove morì nostro padre! Si tratta di fare esperienza di quello per cui ti hanno addestrato: dare tutto alla Patria e proteggere i tuoi affetti da eventuali minacce. Servire i valori per cui ci hanno educati a perseguire. Servire il tuo Paese. ̶ Poi si volse a entrambi. ̶ Le separazioni non sono un male. Ci permettono di seguire strade molteplici e quindi di avere una visione d'insieme completa. Quando potremo ritrovarci saremo già arricchiti dalle nostre esperienze di vita e condividendole tra noi potremmo uscirne più ricchi spiritualmente di come ci siamo trovati prima.
Con questo, dopo un abbraccio di congedo, Romano salì sul mezzo, prese posto eprese a salutare i suoi fratelli dal finestrino della vettura anche quando questa si mise in movimento verso Barletta. E così Giulio e Giorgio salutarono Romano e quando la vettura fu fuori dalla loro vista pensarono che era arrivato anche per loro il momento di congedarsi e raggiungere le loro destinazioni; Giulio verso il porto per prendere la nave che lo avrebbe portato tra quelli della milizia coloniale in Libia e Giorgio verso l'aeroporto di Napoli-Capodichino per prendere l'elicottero che lo avrebbe portato tra i miliziani di stanza in Abcasia.
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Il fascio nell'aurora
Ciencia FicciónPrimo libro di una trilogia ucronica ambientata in un'Italia alternativa in cui il fascismo italiano ha governato per cinquant'anni complessivi, un mondo in cui l'Italia si è rimasta neutrale nella Seconda Guerra mondiale, un mondo dove il Secondo C...