Really?

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I sapori si combinavano perfettamente senza scontrarsi, sovrastare l'uno sull'altro. I colori davano piacere, cullavano gli occhi accompagnandoli alla scoperta delle forme, delle posizioni. Gli odori ti catturavano, rapivano la tua persona e la trasportavano, sicuri, alla scoperta di nuovi mondi, nuove realtà.
Janissa, per la prima volta, venne a contatto con la passione nascosta di suo fratello: la cucina.
Sul tavolo non c'era più spazio per appoggiare un altro bicchiere: era pieno di pietanze.
Solo un invitato non si era ancora presentato, l'ospite speciale: il gusto.

Stavano aspettando tutti l'arrivo della madre per sedersi a tavola e mangiare insieme.
L'ultima volta che si erano riuniti attorno a quel rettangolo di legno é stata a Capodanno, ma stavolta aveva cucinato Audrey Henderson: Felix giocava ancora a nascondere le sue passioni.

Si sentì suonare il campanello. Janissa si precipitò subito ad aprire mentre il fratello perfezionava gli ultimi dettagli.
-Mamma!- le cinse il collo con le braccia.
-Janissa! Figlia mia! Quanto mi sei mancata!
-Jany, lascia respirare la mamma che la stai soffocando- sbucò fuori dalla cucina Felix.
-Sempre i soliti voi due? Mi siete mancati, lasciatevi abbracciare.

Si sistemarono tutti in sala da pranzo e consumarono tra le chiacchiere ogni cosa si trovasse sul tavolo.
-Cucini davvero bene. Dove hai imparato?
-É un talento che ho fin dalla nascita, dovevo solo scoprirlo.
-Ma stai zitto- disse Janissa -Che l'unica cosa che sapevi fare era bruciare le uova.
-Tu non parlare- disse in risposta il fratello.
La madre scosse la testa ma sorridendo: era bello tornare a vivere tra le abitudini quando queste ti mancano. Lavorare da hostess era duro per lei: stare lontano da casa, viaggiare sempre era difficile e poteva tornare a casa solo nel weekend, se non doveva sbrigare altre faccende, altrimenti si faceva vedere nelle occasioni speciali o chiedeva permessi.

Dopo pranzo, Audrey andò a riposare e Felix portò le valigie che stavano all'ingresso nella camera da letto.
A Janissa, invece, toccava lavare i piatti: le sembrò che suo fratello l'avesse fatto apposta a cucinare tanto per farla lavorare più del solito. Iniziò a pensare ad una possibile vendetta quando squillò il cellulare.
-Ciao Janissa, ti va di uscire così mi mostri alcuni posti di questa città così grande?
Era Albina.
-Ora avrei da fare, più tardi? Verso le quattro?
-Va benissimo. Ti aspetto di fronte alla casa della signora Rowse, a dopo!
-Al! Lí no...Al?
Aveva chiuso la chiamata. Bel posto dove incontrarsi, davvero bello, pensò.

Finí di lavare e asciugare le stoviglie, poi andò in camera sua a vestirsi. Indossò dei jeans con gli strappi, una maglietta rossa e prese delle scarpe nere dalla scarpiera. Scrisse un biglietto a sua madre dove spiegava in due righe che sarebbe uscita e che sarebbe tornata presto. Glielo lasciò sul comodino di fianco al letto. Felix era uscito senza prendersi alcun disturbo di avvisare qualcuno.

Puntuale, alle quattro, la nuova arrivata si trovava proprio davanti a quella casa piena di misteri. Janissa aveva la pelle d'oca solo a guardare attraverso le sue finestre.
-Che hai?- chiese la tedesca.
-Nulla, andiamo pure.

Dopo venti minuti buoni di camminata per mostrargli alcune strade e grattacieli importanti, presero un taxi per raggiungere 'Grant Park'.
Si sistemarono sull'erba con la pancia rivolta verso il cielo e si misero ad osservare gli aeroplanini telecomandati, parlando della famiglia, della scuola, dei gusti e di ciò che odiavano. Janissa scoprì che Albina aveva una sorella più piccola, di 10 anni e paura dei gatti. Lei le raccontò di suo fratello e delle ultime novità, come sua madre che era appena tornata dopo settimane che non la vedeva.
-Sono felice per te!- disse la ragazza.

Si sentirono le urla. Poi i pianti.
Si voltarono e trovarono una bambina dall'aria smarrita. Ciò fece pensare che si fosse persa.
-Hey, ciao. Perché stai piangendo? Dove sono mamma e papà?- chiese Albina.
Spiegò che non ne aveva idea e che si era persa. Janissa chiese di descriverle i genitori e provarono a cercare nei dintorni, ma niente. Iniziava a farsi tardi e con la bambina con loro non sapevano cosa fare. A chi potevano rivolgersi? Alla polizia?
Forse la stavano già cercando i genitori e si erano solo allontanati troppo. La bambina sembrava pensare.
-Ma come ti chiami? E a cosa stai pensando?- domandò Janissa.
-Mi chiamo Nadia. Sto cercando di ricordare l'indirizzo di casa. Ci sono!

Erano già seduti nei sedili posteriori di un taxi. La strada dove si trovava la casa della bambina non era un luogo davvero sicuro. Janissa tremava. Ad Albina aveva spiegato la situazione, ma lei aveva detto che non c'era nulla di cui preoccuparsi.
L'autista continuava a guardare male le due ragazze. 'Con che coraggio', continuava a ripetere.
Scesi dal taxi, Albina chiese perché il tassista avesse avuto per tutto il tragitto quell'espressione di disgusto gurdando Janissa e Nadia, che li rimproverava tutti e tre.
-La gente si deve ancora abituare a vedere gente 'di colore' insieme a dei bianchi. É una mentalità che si deve ancora evolvere in molti. Le persone lanciano brutte occhiate, o ancora peggio, insultano. Me l'ha spiegato la mamma- disse Nadia.
Ecco cosa turbava Janissa.

La zona era a maggioranza nera: i pochi bianchi che avevano residenza lí se ne stavano chiusi in casa. E uscivano solo se necessario.
Dovevano fare in fretta, trovare la casa e andarsene via il più presto possibile.
Appena messo il piede nella zona, un gruppo di ragazzi in lontanza, che stava rivolgendo le spalle ad un pick up, iniziò a venire nella loro direzione. Janissa iniziò a mordersi nervosamente il labbro inferiore fino a farlo sanguinare. Temeva che andasse a finire male.
-Nadia! Ma dove ti sei cacciata?? Tua madre ti stava cercando ovunque!- urlò uno dei ragazzi del gruppo.
Jeans larghi, maglietta larga, scarpe larghe, tutto largo. Portava una bandana blu intorno alla testa. Janissa riuscì a notare una cicatrice che gli attraversava orizzontalmente la guancia sinistra. Chissà come se l'era procurata.
-E questa bianca chi é?- chiese una ragazza.
Bianca. Come il suo nome.
-Lei e Janissa mi hanno trovata al parco e mi hanno riportata qui. State tranquilli- rispose la bambina al posto suo.
-Davvero? Bene amica, ti é andata bene. Se non fosse per questo enorme favore te la saresti vista male. Attenta a non girare da queste parti, bellezza- continuò la ragazza di prima.

'Scortati' dal gruppo, Janissa e Albina si presentarono davanti alla porta di casa della famiglia che aveva smarrito la bimba. Aprì una dolce signora con i capelli raccolti in una coda di treccine. Anche Janissa li aveva così, solo che ora erano sciolti.
-Grazie, mille. Davvero. Non so come potrei ringraziarvi più di così. Avete riportato la mia essenza di vita. Ve ne sarò grata per sempre. Volete entrare a prendere una tazza di caffè e dei biscotti?
-No no, grazie mille ma dobbiamo andare- rispose Janissa per entrambi.
-Sí é fatto tardi. É vero. Vi prego di venirmi a trovare spesso. Ho un grandissimo debito che voglio saldare. Grazie ancora.

Si aprì la porta semichiusa alle sue spalle e il colpo. Un corpo a terra. I sapori, i colori e gli odori si mischiarono a formare un'unica cosa: sangue.

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É il 5° capitolo e spero che la storia inizi a piacervi. Ci sono tantissime sorprese in arrivo e a partire da qui tutto inizierà a cambiare: spetta a voi capire cos'é il 'tutto'!
Per gli ignoranti, ci tengo a sottolineare che questa storia non ha come fine l'istigazione al razzismo, quindi date pace alle vostre dita se avrete intenzione di accusare e, continuando a leggere, forse, capirete meglio.
Quindi nulla, spero di aggiornare presto e votate! (Anche i capitoli precedenti se non lo avete fatto). E soprattutto, commentate! (Si accettano critiche COSTRUTTIVE).
A presto ;)

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