𝒸𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 7

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I giorni passano in fretta.

Columbia non è più solo un nome altisonante che mi mette soggezione, ma un intreccio di strade familiari, di aule che riconosco al primo sguardo, di angoli nascosti che diventano rifugi nei momenti di solitudine. Eppure, ogni volta che mi fermo a guardare l'immensità del campus, il brulicare incessante di persone che sembrano sapere esattamente dove stanno andando, il pensiero ritorna sempre lì.

È troppo.
Troppo grande, troppo pieno di possibilità, troppo per una come me.

Eppure, mi piace.

Amo le finestre alte della biblioteca, il modo in cui la luce pomeridiana filtra tra gli scaffali polverosi. Amo il rumore delle pagine sfogliate, il ticchettio dei laptop, il suono ovattato delle voci che si muovono piano, come se tutti condividessero un segreto.

E amo che, tra quei tavoli e quelle lampade soffuse, ci sia Megan.

Non siamo amiche, non ancora. Ma c'è una comprensione tacita, un'intesa che non ha bisogno di troppe parole.

Megan ha un modo di stare al mondo che mi affascina. È silenziosa, ma mai nel modo sbagliato. Quando parla, lo fa con precisione, come se ogni parola fosse scelta con cura, senza sprechi. Ha sempre un libro aperto davanti a sé, eppure quando alza lo sguardo verso di me, non ho mai la sensazione di interromperla davvero.

A volte ci scambiamo solo un cenno del capo prima di rimetterci a studiare. Altre volte parliamo a bassa voce tra una pagina e l'altra, di cose che sembrano piccole ma che, in quel momento, riempiono tutto.

"Ti sei abituata alla Columbia?" mi ha chiesto l'altro giorno, con il mento appoggiato al palmo della mano, il libro semiaperto davanti a lei.

Ci ho pensato su. "Sì. Cioè... più o meno."

"Più o meno?"

"Ci sono giorni in cui mi sento a mio agio, altri in cui sembra di essere in un film di cui non conosco la sceneggiatura."

Megan ha sorriso, e non ho capito se fosse divertita o se avesse provato la stessa cosa anche lei. "Ci vuole tempo," ha detto semplicemente, tornando alle sue pagine.

Ci vuole tempo.

E io ho paura che, quando quel tempo sarà passato, scoprirò di non essere mai stata abbastanza per questo posto.

Che rimarrò sempre ai margini, come un'osservatrice silenziosa, mentre il resto del mondo va avanti senza di me.

È un pensiero che mi si attorciglia dentro, proprio mentre chiudo il libro e mi passo una mano tra i capelli. Forse Megan ha ragione. Ci vuole tempo. Ma cosa succede se, alla fine di quel tempo, non cambia nulla? Se resto comunque... questa?

Non ho il tempo di rispondere a me stessa, poiché la voce di Alissa risuona tra gli scaffali della biblioteca, spezzando il silenzio ovattato in cui ero immersa fino a un secondo fa.

"ABBY. TREVOR. IL BIONDO. MI HA INVITATA A UNA FESTA."

Sbatto le palpebre, ancora un po' stordita dal fragore improvviso. Attorno a noi, qualche testa si gira, sguardi infastiditi lanciati nella nostra direzione.

"Alissa," sussurro in tono di rimprovero, abbassando immediatamente la voce, "puoi non urlare? Siamo in biblioteca."

Lei mi ignora completamente, avanzando a grandi passi fino al mio tavolo, gli occhi che brillano come se avesse appena vinto alla lotteria. "Trevor. Il biondo. Quello che sembra uscito da una pubblicità di Calvin Klein. MI. HA. INVITATA."

"Okay, ho capito, ma puoi dirlo più piano?" le sibilo, lanciando un'occhiata nervosa verso la bibliotecaria che già ci osserva con sospetto da dietro il bancone.

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