𝒸𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 8

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Il telefono squilla mentre sono sdraiata sul letto, ancora vestita. Sospirando, lo afferro senza nemmeno guardare lo schermo.

"ABBY SMITH, DIMMI SUBITO CHE SEI SVEGLIA!"

Chiudo gli occhi, già pentita di aver risposto. "Ali... sono a casa da dieci minuti. Che vuoi?"

"CHE VOGLIO? ABBY, TI RENDI CONTO DI COSA È SUCCESSO OGGI?" urla, ignorandomi completamente.

Mi massaggio le tempie. "Non lo so, Ali. Forse hai deciso di abbassare il volume della voce?"

"Molto divertente," sbuffa. "Sto parlando di Trevor, ovviamente! Abby, ti giuro, oggi mi ha guardata in un modo che—OH MIO DIO—sto letteralmente per svenire solo a ripensarci."

Sollevo un sopracciglio, divertita. "Ali, ogni volta che un ragazzo ti guarda dici che è il destino."

"Ma questa volta è diverso! C'era... tensione nell'aria. Un'energia inspiegabile. Quella roba che si vede nei film, capisci?"

Mi lascio andare sul materasso, trattenendo un sorriso. "Ah sì? E com'era questo sguardo mistico?"

"Come se fossi l'unica persona nella stanza," sospira sognante. "E poi, il modo in cui mi ha sorriso? ABBY, VOGLIO SPOSARLO."

Scuoto la testa. Conosco Alissa da anni, eppure riesce ancora a sorprendermi con la sua capacità di innamorarsi ogni cinque minuti.

"Ok, quindi qual è il piano? Ti imbuchi nei suoi corsi? Lo pedini fino a casa?"

"Ma quale pedinare! Domani metterò il mio vestito rosso e scatterà la magia."

"Ali, il vestito rosso lo hai messo anche per Ryan."

"Appunto. Funziona sempre."

Rido, ma prima che possa risponderle, un rumore mi gela il sangue.

Un tonfo sordo, proveniente dal piano inferiore.

Un brivido mi corre lungo la schiena.

"Ali..." la interrompo, la voce improvvisamente più bassa.

"Che c'è?" chiede subito, il suo tono più attento.

Trattengo il respiro. Forse ho immaginato tutto, forse è stato solo il vento—

No.

Un altro suono.

Un passo. Lento, pesante.

Il cuore mi martella nel petto.

"Abby? Mi stai facendo preoccupare, che succede?"

Cerco di mantenere la voce ferma, ma il panico mi attanaglia la gola. "Devo andare."

"Ma—"

"Ti richiamo dopo," dico in fretta, chiudendo la chiamata prima che possa insistere.

Silenzio.

Il mio respiro si fa irregolare mentre mi alzo dal letto con cautela. Ogni fibra del mio corpo mi urla di restare immobile, di non scendere, di fingere di non aver sentito niente.

Ma so che non posso.

Strisciando lentamente fino alla porta, mi affaccio alla ringhiera delle scale.

E lo vedo.

Lui.

In piedi vicino alla porta del salotto, la camicia stropicciata, il cappotto ancora addosso nonostante sia chiaro che sia rientrato da un pezzo. I capelli sono scompigliati, la barba più incolta del solito.

E il suo sguardo... vuoto.

La bottiglia che tiene in mano pende pericolosamente dalle dita. Un liquido ambrato scivola lungo il vetro, bagnandogli la pelle, ma lui sembra non accorgersene nemmeno.

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