La fine di un capitolo

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Roma, Lunedì 19 aprile 1999, 04:36, Via dei Cappellari.

La valigia era pronta. Poggiata nell'armadio scorrevole. Al suo interno c'erano solo le cose indispensabili: qualche vestito, qualche libro, dei soldi, il suo passaporto e un documento e una patente falsa.

July era sdraiata sul letto, guardava il soffitto, pensava all'imminente partenza.

Aveva solo 17 anni ma era stufa, stufa di una vita che non le apparteneva, che non le corrispondeva.

Juliette Duvals, detta July era all'ultimo anno di liceo, prima della classe non si era mai levata il privilegio di avere una vita sociale, la ragazza più ambita della scuola, prima ballerina nel suo corpo di ballo, tutti si aspettavano qualcosa da lei.

Poteva sembrare un sogno ma la sua vita assomigliava di più ad un incubo, aveva tanti amici che alla fine le voltavano le spalle, le vere persone sulle quali poteva contare erano davvero poche.

La situazione con il tempo aveva cominciato a diventare pesante per lei che non si sentiva più a suo agio, voleva scappare da quel mondo che richiedeva troppo, che la soffocava, che la sopra-valutava.

July continuò ad osservare il suo soffitto costellato di stelline fluorescenti, cercò di memorizzare l'immagine, voleva tenerla stretta a se, ricordarsi di quante volte osservando quel soffitto gli aveva regalato i suoi sogni lasciando che allegiassero leggeri per la stanza, quante volte aveva confidato a quelle stelle i suoi segreti e le sue sofferenze, ripensò a quante cose aveva passato in quel luogo che era stato il suo rifugio, il suo piccolo mondo e una lacrima le scese veloce.

Per un secondo si chiese se era la scelta giusta poi ripensò a tutto il dolore di quegli anni e non ebbe più dubbi.

05:00

July si mise la borsa in spalla, prese la lettera che aveva lasciato sulla scrivania, guardò la sua stanza, serrò gli occhi, si girò, chiuse silenziosamente la porta e attraversò la casa fino ad arrivare alla camera da letto dei suoi genitori, era vuota come al solito. Ancora una volta non erano in casa, ognuno troppo occupato con il proprio lavoro.

Melissa e Eric non erano mai stati i genitori modello, lavoravano molto e non restavano mai troppo tempo a Roma con July, avevano sempre cercato di comprare il suo amore sommergendola di regali e facendole avere tutto ciò che voleva.

Infondo gli voleva bene ma rimpiangeva di non averli avuto accanto. Per molti anni July si era colpevolizzata, credendo che se i suoi genitori non erano in casa era colpa sua ma crescendo si era resa conto che per loro il lavoro veniva prima di tutto e che malgrado ne soffrisse non poteva obbligarli a restare con lei.

Percorse un ultima volta quella casa passando per ogni stanza, la guardò con un misto di disprezzo e malinconia, quella casa non le era mai piaciuta veramente, le sembrava vuota, senza vita.

Uscì, e si lasciò alle spalle il palazzo nel quale aveva vissuto per tutta la sua vita, passò davanti ad un cancello, si fermò un attimo, faceva buio ma riuscì comunque ad individuare la finestra che le interessava. Scavalcò il cancello come lo aveva fatto altre cento volte in passato, si arrampicò sull'albero che arrivava al balconcino e come era abituata a fare passò da un terrazzo all'altro fino ad arrivare alla finestra che era leggermente aperta, la tirò su e si introdusse nella stanza. Si mosse nel buio più totale nella stanza del ragazzo e depositò la lettera sulla sua scrivania poi lo osservò e senti le lacrime salirli, i suoi occhi si erano abituati al buio e riuscì ad osservarlo, dormiva beato, i capelli neri scompigliati, la coperta leggermente abbassata, andò a depositare un bacio sulla sua fronte. Quest ultimo si mosse leggermente, July si immobilizzò poi con passo felpato fece il cammino a ritroso fino a ritrovarsi di nuovo a Via dei Cappellari.

Passò da Campo de' fiori per arrivare a Corso Vittorio Emanuele, si infilò nel primo taxi che vide e gli chiese di portarla alla stazione Tiburtina.

Si infilò le cuffiette e guardò fuori dal finestrino, Roma scorreva sotto i suoi occhi, passarono dal Lungo Tevere poi presero il muro torto passando da Piazzale Flaminio, infine, passati davanti a Policlinico arrivarono alla stazione.

July pagò il tassista e scese in fretta.

Roma, 05:53, stazione Tiburtina.

July si accese veloce una sigaretta e raggiunse in fretta la biglietteria. Una donna seduta dietro al bancone le chiese annoiata la destinazione, July guardò il tabellone alle sue spalle e chiese un biglietto per Saint-Priest, non sapeva esattamente dove si trovava ne voleva saperlo. Non avrebbe saputo spiegare esattamente perche aveva scelto quel posto, forse era perché dal primo secondo nel quale aveva letto il nome le era suonato bene, forse era perché la Francia le era sempre piaciuta. July era stata molte volte in Francia con i suoi genitori, era stata a Parigi regolarmente da quando era nata alloggiando nell'appartamento di famiglia , perciò, sin da piccola, July era riuscita a padroneggiare perfettamente quella lingua poetica e delicata.

La Francia rappresentava ancora oggi una seconda casa per July, le era sempre piaciuto andare a Parigi, quella città magica che non smetteva mai di sorprenderla.

L'autobus partiva alle 06.30 decise cosi di andare a prendersi un caffè prima della partenza. Si sedette ad uno dei tavolini dell'autogrill e prese nella borsa il nuovo cellulare lo accese e inserì la nuova sim, era impossibile che la trovassero, non aveva lasciato traccie, tranne la lettera scritta a Jess. Ma si fidava, sapeva che malgrado la scelta lo avrebbe ferito, avrebbe comunque mantenuto la promessa. Lo aveva sempre fatto.

Jess era il suo migliore amico da quando aveva 12 anni, l'unica persona che non le aveva mai voltato le spalle, che era sempre stata presente per lei, l'unico che la avesse ascoltata nei momenti nei quali ne aveva più bisogno, l'unico ad averla vista piangere, l'unico ad essere entrato nella sua stanza e averci dormito con lei nelle notti in cui si sentiva sola, l'unico che ci fosse sempre stato veramente amando i suoi difetti e i suoi pregi.

Bevve in fretta il suo caffè cercando di ricacciare indietro le lacrime, non c'era tempo per i ripensamenti, ormai aveva preso una decisione ed era ben decisa ad arrivare fino in fondo.

July si alzò e raggiunse in fretta l'autobus, prese posto accanto al finestrino e si appoggio sul vetro , mise le cuffiette e alzò il volume al massimo, guardò fuori e l'autobus partì, non sapeva dove stava andando ne cosa avrebbe fatto esattamente arrivata a destinazione ma voleva partire lontano e ci sarebbe riuscita. Avevano 18 ore di viaggio e mentre Cher cantava "Strong enough" July si lasciò andare ad un pianto liberatorio.

L'ultima fogliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora