CAPITOLO:1

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Ci sono delle volte in cui credi che tu non debba stare dove stai. Io lo credo sempre. Quando non ti senti nel posto giusto,quando non ti accetti...questo è male di vivere. Non è facile accettarsi per quello che si è ,non è facile diventarlo neanche. Devi solo accettarti e basta,ma questo ti rende schiava di te stessa, ti rende schiava della vita. Devi mutare,cambiare forma,diventare una nuova persona che nessuno conosce, devi diventare chi vuoi essere. Questi pensieri sembrano contorti, insensati, eppure sono pensieri di un' adolescente, che è quello che non vuole essere.

Questi sono i pensieri di Teresa.Nata da una famiglia disastrosa,piena di problemi,che non da soddisfazioni al di fuori del disprezzo. E poi c'è lei,fragile e sensibile nel suo piccolo essere. Da quando il fratello minore è morto la sua famiglia è crollata,e con lei la felicità. Ormai lei è quasi una donna, nella sua prematura età, eppure è quello che non vuole essere,e quella persona che cerca di evitare di incontrare per strada . Quando si guarda allo specchio,non vede nient'altro che un disastro, e un senso di vomito e disgusto le sale alla gola,fino a raggiungere la bocca e in fine uscire da quel corpo,ma alla fine non se ne va mai,per quanto lei ci provi,quello schifo resta sempre,e sa che forse non se ne andrà mai,che forse peggiorerà. Ha il desiderio di smettere di lottare, ha il desiderio di chiudersi nella sua stanza ,senza uscire,senza nessuno intorno a lei,solo lei e i suoi libri. Ha paura di una sola domanda "chi ami?" o "chi è il tuo punto di riferimento"oppure ancora "chi è il tuo idolo?",lei a quel punto si blocca,lo sguardo rivolto all'orizzonte del nulla,si blocca,come una statua. Cosa dovrebbe rispondere lei? A tutte queste domande c'è una sola risposta ... mio fratello.

Ma non può rispondere così,perché sa che ormai quel suo fratello in questo mondo è il nulla,è morto. Ma dentro di lei vive sempre una piccola parte di quell'essere,vive il ricordo di quel moccioso che gioca nel cortile con i suoi giocattoli,il ricordo di quel sorriso che riusciva a illuminare le giornate più nuvolose ,quella manina che afferra la tua per giocare,vive il suo ricordo. E pensa. Pensa a come è strano che le persone si aggrappino ai ricordi .A dei pezzi di un pazzle della propria vita,e pensa, se ricordiamo i momenti più belli ,perché non ricordiamo tutto,anche quelli più brutti. E ci arriva,lo capisce. Le persone sono sceme, sono ignoranti. Lei vuole cambiare,ma le persone che non vogliono non lo fanno. E cosa sono le cose che ci fanno cambiare? Si pone questa domanda sempre. Fin che un giorno per strada,mentre da calci ad un sasso,che le fa compagnia fino a casa ,ci arriva,riesce finalmente a capire perché ! I ricordi peggiori ci cambiano,i più belli ci rendono felci,ma temporaneamente,perché in fondo forse la felicità esiste,ma sotto forma di una favola. Da un altro calcio,forse è più probabile che si avverino le favole,invece che la felicità ci avvolga in un abbraccio consolante. Sorride sconsolata, ed entra in casa. Una puzza di piscio ,le invade la faccia. Si chiude il naso con le dita per non respirare, la casa è sommersa da spazzatura e cibo sparso per la stanza. Sicuramente ci saranno topi. Una mano che stringe una birra ,penzola dal divano di fronte a lei. Guarda il padre ,non rimane scioccata alla vista di quella bocca aperta,da dove esce un filo di bava,rimane disgustata e delusa. Continua a camminare ignorando il padre,si guarda in torno in cerca di sua madre. L e dita ancora impegnate a tenere le sue povere narici chiuse. Dei rumori provengono dal bagno,sarà lei.

Ignorando tutto in quella casa,si dirige verso l'unica porta chiusa. Prende la piccola collana che porta al collo e apre la porta. Il suo olfatto fa un grido di felicità all'odore di vaniglia. Suo fratello adorava la vaniglia. Una lacrima le scende sulla guancia,non consapevole del disastro che può causare. Le foto di lei e del fratello sono illuminate da un sottile raggio di luna. Lei avvolta nel buio col silenzio intorno ,sente ancora quella porta bussare, e la sua voce stridula che echeggia per la casa,una volta non odorante di piscio. Accende la luce e si guarda allo specchio, quel familiare senso di schifo gli risale. Riposa nel suo letto, che riempiva anche l'altro lato,troppo largo per una persona sola,troppo vuoto per lei,troppo per lei. Calde lacrime gli rigano le guancie arrossate,pietosi incubi le invadono il sonno, fitte di dolori le pervadono il petto .Piange. Ha paura. Si sveglia. Questa è quella persona che non vorrebbe mai essere. Questo è lo schifo che è . Passarono giorni,passarono mesi,passarono anni. La casa sempre la stessa,i genitori sempre gli stessi,lei non era più la stessa. La droga era in casa sua,e forse l'unico posto pulito in quella casa era la sua stanza. L'unica che non odorava di merda e piscio ,l'unica che potesse farla sentire bene. Una sola cosa non era cambiata di lei,lo schifo che provava per se stessa,lo stesso schifo che le risaliva in gola qualche anno fa. Quella mattina si guardò allo specchio,come era abitudine fare, e vide il riflesso di una ragazza nuova, prima pulita senza nulla sulla pelle, adesso sembrava quasi ridicola agli occhi degli altri: capelli rossi,piercing al labbro e per finire una fila di orecchini. Ma lei se ne fregava degli altri,quella era lei. Il suo corpo non era cambiato di molto,sempre grassa ma con qualche accento di seno. Quella forse era lei. Pur avendo la droga in casa sua non ne aveva mai fatto abuso,era responsabile e ragionevole,questo pensava di se. Voleva andarsene da quella casa, voleva avere fortuna,voleva una seconda vita per suo fratello. E l'unica strada che poteva prendere era lo studio. Andava abbastanza bene,faceva il necessario,non era tra i migliori,ma si accontentava. Ed eccola li intenta a prendere appunti con le cuffie piantate nelle orecchie,anche se non ascoltava musica. Era l'immagine che volve dare,con un significato molto chiaro:"non rompetemi le palle." ,e diciamo che quei ragazzi erano molto intelligenti. Era diversa,e voleva esserlo. La società, si sa, non accetta colui che è diverso, la società vuole la monotonia.

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