La paura è la cosa di cui ho più paura.

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Era lì davanti a me. 

I suoi occhi erano diventati di un verde così scuro da sembrare nero. I muscoli delle braccia iniziarono a farsi tesi dai pugni chiusi così strettamente da far diventare le nocche bianche, e la sua mascella improvvisamente si serrò.

Non potei impedire al mio respiro di divenire affannoso e ai miei occhi di far trasparire il terrore che stava invadendo il mio corpo.

Avevo sempre avuto l'impressione che Dylan non fosse una delle persone più dolci di questo pianeta,ma ora incuteva fin troppo terrore. 

Era infuriato, ciò era chiaro, ma non ne capivo la motivazione.

"Perché?" chiesi facendomi coraggio cercando di non far trasparire il mio terrore attraverso la mia voce.

"Cosa?" mi ripose lui con tono duro e più rauco del solito.

"Perché sei infuriato?" dissi con voce tremolante guardando il pavimento.

Lui iniziò a ridere di gusto. La sua risata non aiutava di molto,anzi rendeva il tutto ancora più complicato. Non avevo la più pallida idea di come comportarmi. Ero davanti ad un probabile psicopatico che probabilmente sarebbe arrivato sul punto di uccidermi per non so quale crimine. La sua risata mescolata ai miei pensieri non fecero altro che aumentare i brividi che stavano sovrastando la mia pelle.

Iniziò a misurare la sua risata facendola diventare soltanto un sorriso maligno sul suo volto. Si avvicinò di più a me e prese i miei polsi alzandoli sopra la mia nuca tenendoli stretti. Il respiro che poco prima ero riuscita a calmare ora aumentava facendo alzare ed abbassare il mio petto velocemente. Tenendo i polsi con una mano iniziò ad accarezzarmi il volto con due dita. Le lacrime iniziarono a scendere impetuose sul mio volto. 

"Piccola dolce Daphne" disse lui continuando ad accarezzarmi il volto. "Sei così innocente" disse sorridendo e per la prima volta in tutta quella serata potei intravedere un luccichio in quei suoi occhi verdi smeraldo ed un'espressione più tranquilla in volto. 

Si allontanò di colpo da me passandosi, frustrato, una mano tra i capelli bruni pieni di riccioli che si ritrovava. Prese la bottiglia di vodka che aveva posato prima sul tavolo affianco e ne sorseggiò un po'. Si rigirò di scatto e i suoi occhi puntarono i miei ricoprendo ancora una volta il mio corpo di quella strana sensazione che ormai conoscevo troppo bene. Non so di cosa avevo paura. Forse il fatto che sapevo che se lui avesse voluto mi avrebbe già fatto del male, forse era il fatto che lui era così terrificante in tutti quegli atteggiamenti o forse,semplicemente, era tutta la situazione in sé che mi terrificava.

"Sei mia lo capisci?" disse lui con un ghigno maligno sul volto mentre mi attirava a sé, circondando i miei fianchi con un braccio,mentre con l'altra teneva in mano la bottiglia di vodka da cui aveva appena sorseggiato. "Nessuno può averti se non io" continuò bevendone ancora.

I miei occhi si spalancarono di colpo. Non aveva detto di certo ciò che avevo sentito. 

"Come scusa?" risposi alzando il tono della mia voce, cercando di distaccarmi da lui, ma senza vane speranze.

"Sei mia piccola" ridisse lui.

Ora ciò che provavo non era più paura,che mi aveva intrappolato per tutto questo tempo come in una gabbia,ma la rabbia. Non ero un oggetto,nessuno mi avrebbe potuto considerare tale,tanto meno Dylan.

"Io non sono di nessuno ed ora levati" dissi cercando ancora di divincolarmi da lui.

"E qui che ti sbagli" mi attirò di più a se facendo si che le nostre labbra si unissero. 

Ero sconvolta. Tutto ciò era assurdo. 

Mi staccai da lui tirandogli uno schiaffo. Il suono risuonò tra le mure che ci circondavano. Finalmente potei dimenarmi dalla sua presa. Lo schiaffo lo sconvolse e io presi quell'opportunità dalla mia parte. Iniziai a correre verso la porta,mentre l'ansia mi sovrastava, cercando disperatamente di uscire prima che Dylan si accorgesse di cosa stesse succedendo. Ma la porta era chiusa. Ero in trappola ed ora,più di prima,il terrore si fece spazio. 

Dylan scoppiò a ridere continuando a bere la vodka. Si avvicinò a me che,nel frattempo, ero scivolata a terra prendendo i miei capelli e tirandoli su dallo sconvolgimento. Ero sconvolta ed impaurita. Non avevo via di fuga . Avrebbe potuto fare di me ciò che voleva,nessuno mi avrebbe salvato. 

Continuando ad avvicinarsi si accostò al mio orecchio e mi sussurrò "L'ho detto che sei mia" 

Mi alzò di forza e l'unica cosa che riuscì a fare fu urlare come non mai. Ero terrorizzata da tutto ciò che sarebbe potuto succedere e l'unica cosa che mi consigliava l'istinto era quello di urlare. 

Le lacrime riscesero sul mio volto mentre la paura si impadroniva per l'ennesima volta di me. 

Iniziò a strapparmi i vestiti e le mie urla e lacrime non fecero altro che aumentare. Ero ormai in trappola. La festa di sotto avrebbe coperto le mie urla,nessuno sarebbe corso a salvarmi. Sarei divenuta solo un'altra donna vittima di stupro. 

Ma ad un tratto sentì la porta schiantarsi a terra. I miei occhi,come quelli di Dylan, si spalancarono di colpo. In un primo momento non capì cosa fosse successo,ma poi focalizzando la persona che avevo di fronte, vidi John. Era lì, pronto a salvarmi da quel mostro di Dylan. Corsi da lui tenendo gli stracci che erano prima i miei vestiti addosso per coprirmi. La paura che stava impadronendo il mio corpo ormai aveva lasciato posto al sollievo.

Ero al sicuro. Tra le braccia di John.

Parole:906

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