-Michael la colazione è pronta!- a chiamarmi era Gilda, la vecchia cuoca della mensa ospedaliera.
Capelli grigi ricoperti dalla cuffia verde chiaro, occhi azzurri e camice verde esattamente come la cuffia.
La conoscevo poco visto che lavoravo in quell'ospedale da solo due settimane, ma era una persona gentile.
-Arrivo.- urlai per farmi sentire.
Senza farle aggiungere altro presi il carrello vuoto in acciaio e me lo trascinai dietro nella
sua direzione.-Devi portarli in queste stanze.- mi tese un foglio che subito afferrai, constatando che dovevo passare in quattordici camere.
L'aiutai a mettere I vassoi sul carrello e poi cominciai il mio giro.Bussavo alle porte e ad aprirmi c'erano sempre I parenti che con un velo di tristezza negli occhi mi ringraziavano, poi portavano via con loro il cibo che sono sicuro anche questa volta avrei visto nel grande cesto dei rifiuti che c'era in cucina.
'E' gente delicata' diceva mio padre che era uno psicologo del piano.
Anch'io potevo identificarmi come 'delicato', avevo perso mia madre e non riuscivo più a suonare la chitarra perché me la ricordava troppo; mio padre mi disse che era una specie di trauma. Insieme facemmo anche delle sedute da Mark, lo psicologo più bravo sulla piazza secondo mio padre. Il quale disse a lui che era sotto stress, ed al sottoscritto di prendere delle goccie per dormire la notte. Gia', era complicato anche dormire per me, dopo la perdita della regina di casa nostra.Decisi di non pensare più al mio passato, perché avrei potuto piangere da un momento all'altro nel bel mezzo del corridoio dell'ospedale e non era esattamente ciò che volevo io.
Bussai alla stanza 58 per ben tre volte. Nessuno aprì, così decisi di farlo io.
Presi il vassoio e con cautela apri' la porta davanti a me. C'era una ragazza seduta sul letto con le gambe incrociate, che si passava ripetutamente le mani nei capelli scuri.
Si accorse della mia presenza quando chiusi la porta dietro di me.
Alzo' il capo restando comunque curva con la schiena verso il basso, mi guardò con disprezzo solo per un attimo.
Aveva gli occhi chiari e rossi, segno che avevo interrotto un pianto.Tirò un sospiro prima di parlare.
-Vattene, non ho fame.--Dovresti mangiare.- dissi posando il vassoio di plastica sullo spazio che c'era davanti al letto.
-Ho detto che non ho fame.- ripeté prima di tornare a piangere silenziosamente con le mani davanti al viso.
Mi ha sempre dato fastidio vedere la gente soffrire o stare male e non poter far nulla per aiutare.-Perfavore smetti di piangere, non ti sto costringendo.- sorrisi, ma fu' inutile.
-Non mi interessa, vattene.- continuò a piangere
Decisi di non rispondere e fare come mi aveva ripetutamente chiesto lei.
Quando usci' mi mancarono solo altre tre stanze, poi tornai in mensa a preparare I tavoli per il pranzo.
La colazione veniva servita in camera, mentre il pranzo e poi la cena si tenevano nella grande sala che stavo sistemando.Erano le 12.15 quando avevo finito di lavare il pavimento.
Avevo quasi terminato il mio turno, mi toccava solo aspettare che le ragazze del piano "mangiassero" e sbarazzare per poter uscire da li' dentro e tornarci dopo alle 17.00 fino alle 21.00.-Stai diventando proprio una casalinga.-
Avrei riconosciuto quella voce ovunque,Luke.
Era sempre il solito, veniva a trovarmi anche a lavoro.
E se da una parte la cosa mi faceva piacere, dall'altra mi dava fastidio perché non era il posto giusto per parlare di certe cose.-Divertente.- mi girai verso di lui che intanto si era seduto ad un tavolo.
Mi accomodai anch'io, togliendo il camice che ormai non serviva più.
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Better life|| Michael Clifford
Random-Come ti senti? - Come si sentirebbe un sano in un manicomio,come si sentirebbe un astemio in una birreria,come si sentirebbe Bukowski in chiesa,come si sentirebbe un analfabeta in una libreria. -Quindi come ti senti? -Inadatta e fuori luogo.