Quell' ultima agghiacciante parola continuò minacciosamente a rimbombarmi nella testa.
Colpevole.
Rimanemmo tutti con il fiato sospeso, spiacevolmente sorpresi: io e Karin allarmati all' unisono ci voltammo verso nostra madre in cerca di spiegazioni, frugando in quel viso che pareva stranamente tranquillo.
I suoi occhi verdi non trasparivano altra emozione se non limpida serenità.
Rimanemmo interdetti guardando intontiti e impotenti mentre le due guardie si stringevano attorno alla donna per portarla via. Anche Garret pareva come pietrificato: studiava silenziosamente con gli occhi sgranati quei due individui che stavano portandogli via sua moglie. Strinse le mani attorno ai braccioli della sedia finché le nocche non sbiancarono.
Eppure non fece nulla.
<<Prima di andare- iniziò Xenia- vorrei gentilmente scambiare due parole con mio marito, se è concesso>>
I due si guardarono per qualche istante.
<<Non più di un minuto>> taglio corto uno dei due soldati con voce raschiante.
Xenia si protese verso nostro padre sussurrandogli qualche parola indecifrabile. Gli porse un sacchetto facendolo scivolare da fuori della manica, senza farsi vedere. Poi il suo sguardo si spostò su di noi. Ci sorrise.
<<Andrà tutto bene>> disse rassicurandoci con voce calda, morbida, vellutata.
<<D'accordo>> fu tutto quello che riuscimmo a dire nell' enfasi del momento.
Rimanemmo così, impotenti, incapaci di reagire, di fare qualsiasi cosa mentre stavano rudemente spingendo fuori dall' abitazione mia madre.
Avrei voluto fare qualcosa, reagire, difenderla da quegli uomini dal fare fin troppo brusco eppure quando raccolsi e trovai le forze per avanzare un passo verso il gruppo che stava allontanandosi Garret mi bloccò tirandomi indietro con uno strattone.
Lo guardai: nei suoi occhi non lessi nulla, non trasparivano assolutamente alcuna emozione se non austera impassibilità.
La porta di casa fu chiusa con uno schiocco secco.
Scese un silenzio a dir poco agghiacciante.
Liberai il mio braccio dalla presa ferrea di Garret : gli lanciai uno sguardo carico di incredulità e cupo risentimento .
Lo aveva fatto davvero, aveva permesso che due completi sconosciuti sequestrassero nostra madre senza nemmeno opporre la benché minima resistenza. Se ne era semplicemente restato seduto li a guardare, come se tutto quello che era accaduto non fosse successo davvero a lui, a noi, a tutti noi.
Garret si agitò scomodo sulla sedia prima di alzarsi con un cupo e sommesso brontolio.
Non riuscii più a trattenermi.
<<Come hai potuto permettere che la portassero via?>> c' era rabbia nella mia voce, una rabbia che mai avevo sperimentato prima di allora.
<<Non hai alzato nemmeno un dito, pronunciato una sola parola, non hai minimamente fiatato per far si che lei potesse essere rilasciata. Ti rendi almeno conto di cosa sia successo?>>
Gli puntai un dito contro con fare accusatorio: si era comportato da codardo e aveva permesso che prendessero lei per paura che non arrestassero anche lui. Tutti i pezzi del puzzle iniziarono a ricomporsi nella mia mente: ne ero certo, era andata in quel modo.
In quella stanza, in quel momento, ero io l' uomo di casa, mi sentivo l' uomo di casa.
<<Se solo tu ti fossi messo a protezione di mamma senza dubbio lei sarebbe ancora qui a finire di cucinarci la colazione come ogni giorno invece...>>
Sentii odore di uova bruciate.
Mi voltai: il fuoco sotto il tegame era rimasto ancora acceso e una colonnina di fumo grigiastro aveva preso a serpeggiare verso l' alto. Mi salirono le lacrime agli occhi: nessuno ce l' avrebbe riportata mai più indietro.
Garret si alzò con lentezza dalla sedia. Lo guardai: il suo sguardo si era rabbuiato come se una spessa coltre di oscurità fosse calata come un velo sui suoi occhi. Le sopracciglia cespugliose erano aggrottate, lunghe rughe erano apparse sulla sua fronte. Un angolo della bocca pendeva leggermente verso il basso. Teneva le mani stretta a pugno con le nocche pressoché sbiancate. In quel momento sentii una mano gelida strisciarmi su per la schiena.
Ebbi paura, una terrore agghiacciante.
In quell' istante capii che le cose erano andate diversamente: Garret non era stato un codardo. Aveva visto qualcosa che io non ero riuscito a vedere.
Non riuscendo a reggere il confronto abbassai lo sguardo. Aspettai lunghissimi istanti attendendo che accadesse qualcosa, pronto a incassare il colpo qualunque esso fosse stato.
Garret si accovacciò entrando nel mio campo visivo: mi prese delicatamente il mento fra il pollice e l' indice costringendomi ad alzare lo sguardo e a incontrare il suo. Lacrime scesero lungo le guance a rigarmi il volto. Improvvisamente i suoi occhi si erano addolciti dissipando il velo di tenebra, i lineamenti del viso ammorbiditi.
<<Darek>> il sentir pronunciare il mio nome mi fece sobbalzare il cuore in gola.
<<Anche io avrei voluto fermare quegli uomini, avrei fatto qualunque cosa purché non fosse fatto alcun male a tua madre. Ma purtroppo spesso le cose prendono una piega che non ci aspettiamo>>
<<Quegli uomini erano armati; avrei messo in pericolo la vostra vita: e sapevo che vostra madre non voleva assolutamente che ciò accadesse>> Mi asciugò le lacrime accarezzandomi le guance con entrambi i pollici e si alzò in piedi.
Fece come per uscire dalla cucina.
<<Cosa facciamo ora?>>
sentire quelle parole pronunciate a fatica da Karin mi colsero di sorpresa: mi ero quasi totalmente dimenticato della sua presenza. Aveva gli occhi umidi e arrossati e fremeva nel trattenere qualche singhiozzo improvviso, ma non una sola lacrima era scesa a rigare le sue guance.
<<Venite con me; vostra madre avrebbe voluto che io finissi ciò che lei non è riuscita a terminare>>
Lo seguimmo a ruota con un misto di emozione e timore, curiosi ma allo stesso tempo estremamente diffidenti. Ci ritrovammo alla porta di camera nostra: Garret entrò per poi uscire con la mia spada tenuta di traverso.
Sgranai gli occhi: non potevo crederci non era assolutamente possibile. Eppure volevo crederci.
Aprii e richiusi la bocca più volte cercando di dar voce a parole che non riuscivo a articolare.
<<Questa spada...>> Garret rigirò per qualche istante l' arma alla luce del sole con un misto di perplessità e dubbio. Ma quando i suoi occhi si posarono sui miei la sua espressione si intenerì.
<<..Puoi usarla da questo giorno in poi.>> Mi sorrise.
Allungai le mani verso la spada raggiante ma Garret la sottrasse velocemente dal mio campo d' azione.
<<Promettimi- disse avvicinando il suo viso al mio - che la userai con cautela: è sempre un' arma figliolo, un arma che può uccidere. E non bisogna maneggiare certi oggetti alla leggera, hanno un loro peso... non solo reale>>
Me la porse dalla parte dell' elsa. I miei occhi luccicavano mentre estasiato impugnavo la spada per la prima volta: sotto quella luce, ora che la maneggiavo sembrava completamente diversa. Bagliori bronzei ammiccavano laddove la luce accarezzava delicata l' acciaio: l' elsa e la guardia in quello che mi sembrava essere ottone riluceva della brillantezza di piccoli topazi che si avvitavano attorno a uno più grande.
Non ricordavo che la mia spada fosse fatta a quel modo. Lanciai uno sguardo carico di perplessità a Garret: c' era decisamente qualcosa che non andava.
<<Non mi ricordavo la forgiatura in ottone...>> Incominciai continuando a soppesarne il peso passandola da una mano all' altra: era estremamente pesante.
<<Non è ottone: è oro>>
Non risposi : non avevo parole per rispondere.
<<Quella non è la tua spada, Darek: quello era solo un giocattolo per bambini, un qualcosa che è fatto giusto per restare appesa a un muro a prender polvere. Questa invece è una vera spada>> I suoi occhi rilucevano nostalgici sfiorando il filo dell' arma.
Si ferì.
<<è ancora affilata dopo tutto questo tempo ...>>
Feci come per iniziare la lunga sfilza di domande che si erano accodate accalcandosi nella mia mente, ma lui mi pose l' indice sulle labbra zittendomi.
<<Niente commenti, nessuna domanda: ciò che importa è che ora quella spada è tua. Abbine cura>>
Nel passarmi davanti mi sussurrò <<Tutte le spade hanno un nome, ma questa sembra non averlo ancora trovato: è tutta tua>>disse poggiandomi una mano sulla spalla.
Ero estasiato: davanti a me, nelle mie mani, stringevo l' oggetto dei miei sogni che si era materializzato diventando realtà, diventando per la prima volta davvero mio. La impugnai e mi misi goffamente in posizione di guardia.
Mi sbilanciai e per poco con caddi. Era decisamente troppo pesante.
Mi ritornarono alla mente i momenti in cui mia madre, lanciandomi una spada di legno, mi insegnava quei pochi rudimenti di scherma che conoscevo. Lei era stata una spadaccina al servizio di un grande signore, diceva mio padre. E lo si poteva facilmente intuire guardandola maneggiare una spada. Non combatteva con un avversario, assolutamente no: lei danzava con l' avversario, invitandolo a un' ultimo, aggraziato, delizioso ballo mortale.
Me la rividi davanti a piedi nudi sulle punte mentre rideva con la sua spada puntata minacciosamente al mio petto. " morto ancora una volta, devi essere più veloce Darek, più leggero, più silenzioso, più..."
Ricacciai a stento indietro le lacrime: dovevo essere forte, volevo essere forte.
La mia attenzione fu attirata da un sospiro di sorpresa di Karin: stringeva nella mano destra un arco pallido di osso di drago quasi alto quanto lei e nell' altra una piccola daga. Al muro era stata appoggiata un faretra in cuoio carica di frecce piumate: dalla prima all' ultima avevano tutte i pennacchi bianchi.
Le riconobbi all' istante : penne di cigno reale.
Era raro trovarne così tante a disposizione di un solo arciere: erano senza dubbio le più efficaci. Mentre venivano scoccate accarezzavano l' aria rendendo il colpo silenziosamente mortale. Inoltre molti sostenevano che rendessero le frecce immuni da qualsiasi incantesimo: ma queste erano per lo più dicerie.
Era da tempo che la magia aveva lasciato le nostre terre rintanandosi in chissà quale antro nelle viscere della terra, e tutto ciò che era legato ad essa era stato avvolto da una densa foschia di leggenda.
Garret fece a Karin le stesse raccomandazioni che prima aveva fatto a me. Lei, devo ammettere, tirava abbastanza bene con l' arco, ma ero piuttosto sicuro che non aveva mai maneggiato un qualcosa anche lontanamente simile a quell' arco.
Guardai di nuovo la mia spada.
Rimasi per qualche istante perplesso: perché darci quelle armi adesso? Saremmo stati in grado di reggere il confronto con oggetti del genere? Ma di nuovo continuava a martellarmi in testa sempre la solita parola.
Perchè?
Scacciai quei pensieri dalla mia testa: mi convinsi che certe volte alcune domande non trovano risposta.
Garret fece qualche passo indietro per osservarci meglio: ci sorrise. Ma il suo non era un sorriso carico di dolcezza o tenero divertimento.
Era un sorriso colmo di pietà.
<<Siete pronti>>
-quasi- pensai.
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Fire&ice cronache di un'altro mondo
FantasyLa pace precaria che regna tra uomini elfi e draghi sta vacillando e all' orizzonte si prospetta un nuovo conflitto. Darek e Karin, due gemelli, si troveranno gettati nel mezzo della nuova guerra che sta per scatenarsi senza nemmeno rendersene conto...