1. Addio mamma

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Jane

Perdere le persone che ami è la sensazione più brutta che si possa mai provare. È difficile sopportare la perdita se si è adulti, figuriamoci se si è piccoli. Sedici anni non sono molti, sono pochi. Io e mio fratello eravamo ancora relativamente piccoli, troppo piccoli. Non sono mai stata la ragazza spietata, fredda e senza cuore che tutti temono ora... Un tempo ero allegra, felice e solare. Il mondo mi ha cambiato, la realtà cruda e brutale, gli assassini di mia madre lo hanno fatto. Quella fredda mattina di Gennaio mi svegliai presto , di dormire non c'era verso. Andai alla finestra e vidi che il terreno tutto intorno alla casa era ricoperto dalla soffice e candida neve. Era molto freddo, era freddo fuori come dentro di me. La morte di mio padre mi aveva scosso parecchio e non riuscivo a smettere di piangere . Raramente mi lasciavo vedere fragile dagli altri , la mattina del funerale di mio padre peró lo feci. Ero a pezzi e mi trascinavo verso il cimitero accompagnata da mio fratello. Nessuno ci aveva aiutato, nessuno ci aveva accompagnato. Odiavo quella città e tutti i suoi abitanti da quando avevano iniziato la stupida caccia alle streghe. Mia madre non lo era, mia madre era una brava donna e loro l'avevano ingiustamente uccisa. Meritavano di soffrire, di soffrire le pene dell'inferno. Il parroco era la prima persona a dover penare, era tutta sua la colpa di tutto questo... Era sua la colpa della distruzione della nostra famiglia.

Dopo una mezz'ora che ero rimasta immobile a guardare fuori dalla finestra, sentii mio fratello alzarsi. Di solito, ogni volta che si avvicinava a me o si svegliava, mi voltavo verso di lui e gli rivolgevo un sorriso... Quella mattina non lo feci , non distolsi lo sguardo dalla neve bianca. «Da quanto è che sei sveglia?», mi domandó Alec. Alzai le spalle e con voce piatta, inespressiva ,gli risposi «Da non molto».

Quando la guardia bussó alla porta , io stavo seduta su di una sedia a sbucciare una mela. Non avevo fame ma dovevo mangiare per rimanere in vita. Mio fratello mi ordinó di non muovermi da lì e infatti non lo feci. Stare seduta , lontano dalla porta di casa , non mi salvó dall'udire l'ennesima notizia che mi provocó un dolore straziante al petto. La mia , la nostra povera mamma... Era stata condannata e la guardia ci era venuta ad avvertire. Non piansi, cercai di reprimere e trattenere il dolore nel petto . Mi mancava il respiro. Alec ritornó con il volto stravolto e mi guardó con occhi vuoti, tristi. Non avevo mai visto mio fratello così. Gli dissi che avevo sentito tutto e che non ce l'avrei fatta ad assistere all'uccisione della donna che ci aveva dati alla luce. Alec annuì e si andó a preparare. Rimasi sola a casa e mi lasciai andare. Aprii la porta di casa e fui investita dall'aria gelida. Il vento non soffiava ma la neve contribuiva a farti entrare il freddo nelle ossa. Corsi scalza per il prato freddo e mi accasciai a terra dietro casa nostra . Perchè? Perchè proprio a noi? Piansi come non avevo mai fatto fino ad allora . Sentii uno sguardo su di me e mi voltai , trovandomi faccia a faccia con un gatto bianco dalle macchie grigio scuro sul pelo. I suoi occhi verdi mi scrutavano curiosi, mi stava infastidendo. «Che cosa vuoi, eh? Vattene da qui! Non guardarmi!», gridai . Puntai i miei occhi su di lui , volevo che provasse il mio dolore nonostante fosse solo un'insulsa bestiola . Volevo liberarmi di quel peso che avevo sul petto ma un fatto terribilmente strano si manifestó davanti ad i miei occhi. Il gatto perse l'equilibrio dalle sue zampe e cadde a terra , rantolando , miagolando addolorato. Mi allontanai ma il mio sguardo era ancora fisso su di lui. Lo vidi contorcersi a terra fino a quando, sfinito, si abbandonó lì e morì. Urlai in preda al panico... Cosa era successo?

Jane ed AlecDove le storie prendono vita. Scoprilo ora