3. Et sic semper erit vita brevis, ars longa et mors velox

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    Jane

Non sapevamo chi fossero quei ricchi signori nelle carrozze e non ce ne curammo. Continuammo a camminare per i campi innevati, sotto un cielo grigio da far paura. L'inverno era pauroso a Salem. Il sole non spuntava quasi mai , i raggi non riuscivano a filtrare attraverso quella spessa coltre di nubi. Verso sera tornammo a casa e ,dopo aver mangiato una zuppa calda, ci sedemmo l'una accanto all'altro. Avevo paura di me stessa, di quello che avevo fatto a quel gatto disgraziato. «Jane... Che cosa c'è?», mi domandó mio fratello. Ovviamente sapeva leggermi il volto anche se io non manifestavo le mie emozioni e non rendevo chiari i miei pensieri a nessuno. «Ho paura... Come posso aver fatto... Come posso aver ucciso quel gatto?!», sbottai. Lui abbassó il suo sguardo e mi mostró le sue mani«E come posso io aver creato una nebbia che inidobisce i sensi?!», disse, quasi urlando. Stavamo diventando pazzi? Era tutta colpa di ció che avevamo passato? Era uno schock?

A notte fonda qualcuno bussó alla porta di casa ed io , anche se assonnata, mi posai una mantella rossa di lana sulle spalle. Aprii la porta e mi ritrovai un forcone puntato contro. Repressi un grido di terrore e arretrai di qualche passo. «Tu! Maledetta strega... Tua madre ti ha passato i poteri oscuri, non è così? Pagherai, pagherai anche tu! Ti abbiamo vista uccidere quel gatto oggi!», disse un contadino con un cappello di paglia. Dietro di lui c'era il parroco ed una folla di gente con le torce alla mano. Ero spaventata, terrorizzata. Cominciai a tremare è rivolsi uno sguardo veloce a mio fratello, che si stava alzando dal letto. «No! No , Alec! Vattene via. Torna a letto, ti prego!», lo supplicai invano. Il mio gemello mi si paró davanti e gridó rivolto alla folla«Che cosa volete ancora?! Uccidere anche noi? Ci avete distrutto la famiglia e la vita, non permetteró che facciate altro», ringhió . Era infuriato, disperato e , sicuramente, sul punto di piangere ma la sua voce era ferma. Il parroco rise e fece cenno a due uomini forti e dalle spalle larghe di acciuffarci. Strillai e provai a fare quello che avevo fatto quella maledetta mattina: far provare dolore , il mio dolore, agli altri. Appena ci portarono in mezzo alla folla di gente puntai miei occhi sul parroco e gridai«Patisci ció che sto provando io adessso!». L'uomo urló e cadde al suolo. Sentii un bruciore sul braccio e vidi che ero stata marchiata a fuoco. Sulla mia pelle c'era una stella satanica. Alec sgranó gli occhi e fece magicamente uscire una coltre nera dalle sue mani. Il mio braccio non provava più dolore, era insensibile. «Figli di Satana! Portateli al rogo!», ordinò il prete , che si era ripreso.

Nonostante avessimo lottato con tutte le nostre forze , riuscirono a portarci in piazza e ci legarono a due pali di legno. Era la fine. La paglia ci circondava e una moltitudine di persone ci stava guardando desiderosa di vederci bruciare vivi. «Addio Alec...», sussurrai. Sentii un singhiozzo da parte sua«Non dire addio... Non moriremo!», rispose lui. Come potevamo salvarci da un rogo? Stava delirando, ne ero certa.

Jane ed AlecDove le storie prendono vita. Scoprilo ora