Capitolo 1 - Strani incontri

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{Stavo revisionando questa mia vecchia storia e mi è venuta voglia di ribubblicarla. Buona lettura.}

Era una fresca serata autunnale, lì a Manhattan.
Un sottile spicchio di luna faceva fatica a splendere nel cielo ricolmo di nubi grigie e, all'apparenza, pronte a dare inizio ad una tempesta.
Aaron camminava da solo lungo il marciapiede di una stradina isolata. Ed è strano pensare che a Manhattan ci siano strade non frequentate, ma in questo caso la motivazione era ben evidente: quel vicolo era stato scambiato per una discarica; infatti, ovunque Aaron si voltasse, vedeva spazzatura in sacchetti di plastica blu e verdi, oppure materassi squarciati e televisori rotti e abbandonati.
Lui si limitava a seguire il suo cammino sul marciapiede, sul lato opposto alla discarica abusiva, tenendo la testa china e le mani rigorosamente affondate nelle tasche della grande felpa blu e grigia che sembrava essere tre taglie in più rispetto alla sua, e probabilmente lo era davvero.
Ad un certo punto, Aaron sentì squillare il cellulare.
Alzò gli occhi al cielo vedendo che la chiamata era da parte di sua madre, così la fece attendere un po' prima di risponderle.
-Mamma?- chiese con tono palesemente seccato.
-Aaron, ma dove sei finito?! È già ora di cena!-
-Mamma, ma ti avevo detto che oggi sarei andato a cenare da Ryan. E poi dopo c'è il ballo della scuola.- continuò a spiegarle il ragazzo, tenendo lo sguardo costantemente basso.
La madre sospirò.
-Hai ragione, me ne ero dimenticata. Ma stai praticamente tutti i giorni da Ryan! Non pensi che alla sua famiglia possa dare fastidio?-
-Senti, calmati, verrò a dormire a casa nostra, va bene? Ora devo andare.- cercò di tagliare corto Aaron.
-Ma no! Ora tu mi senti. Vieni a cenare da noi e ti accompagnerò io in discoteca, non voglio che i signori Reese ti vedano come un peso e nemmeno che tu faccia tutta questa strada in moto...-
Mentre la madre continuava a parlare, Aaron cominciò a non ascoltarla più e continuò a camminare alzando lo sguardo sulla discarica alla sua sinistra, sull'altro lato della strada.
Quello che vide lo fece sussultare e fermare di botto.
Sgranò gli occhi e allontanò il cellulare dall'orecchio, nonostante la madre parlasse ancora a vanvera.
Sulla pila di immondizia c'erano due ragazzi vestiti in maniera bizzarra, attillata e troppo "luccicante" per i suoi occhi.
Erano un ragazzo e una ragazza, il primo aveva dei tratti vagamente orientali, la pelle scura, dei capelli neri tenuti su con qualcosa di neanche lontanamente simile al gel, ma sembravano essere tenuti dritti e pettinati senza il bisogno di prodotti chimici. Egli era alto e il suo fisico scolpito era ricoperto da quella che sembrava una sorta di divisa compresa di maglietta e pantaloni neri e lucidi, e di una giacca viola, lucida anch'essa.
Ma ciò che notò maggiormente Aaron, furono le due fruste che brandiva elegantemente contro... il nulla.
La ragazza invece aveva lo stesso fisico asciutto, ma era più esile, di media altezza, lunghi e liscissimi capelli biondo sabbia al vento ed indossava maglietta e leggings lucenti blu notte.
Ella, invece di due fruste, brandiva due ventagli che scagliavano lamine di vetro appuntite ogni volta che venivano aperti.
Aaron, ormai letteralmente spiaccicato sul portone dell'abitazione dietro di lui, stava zitto e immobile, come se temesse che, urlando, quei due si potessero voltare verso di lui, scendere dalla montagna di immondizia ed ucciderlo.
Dal cellulare continuava a partire la voce della madre, fin quando la chiamata non si chiuse da sola.
Aaron, disperato e con il sangue congelato nelle vene, portò il cellulare davanti agli occhi e vide la mancanza di campo, motivo per cui la chiamata si era interrotta.
Tornò a guardare i due strani ragazzi e vide che le fruste sembravano bloccarsi nel vuoto, come se stessero sbattendo contro qualcosa a lui invisibile.
Le schegge di vetro che lanciavano i ventagli della ragazza si fermavano a mezz'aria e rimanevano in quella posizione, spostandosi poi in maniera sincronizzata verso un unico punto.
Era come se si fossero conficcati su qualcosa, e come se quel qualcosa si muovesse da un posto all'altro, rimanendo vicino ai due ragazzi.
Aaron li sentiva parlare tra loro, ma non riusciva a comprendere il senso di ciò che dicevano, forse perchè erano troppo lontani o perchè parlavano un'altra lingua.
Ad un tratto, la ragazza si voltò verso di lui e sgranò gli occhi scuri e affilati.
-Jason, quel tipo lì ci sta fissando!- urlò facendo una sorta di capriola all'indietro e ritrovandosi più lontana da quei vetri sospesi per aria.
Il ragazzo dai tratti asiatici si voltò di scatto a guardare l'intruso con due occhi verdi e lucenti che anche a quella distanza Aaron riusciva a vedere perfettamente.
-Non è possibile, Lydia. È un figlio d'Adamo.- sentenziò Jason, sfoderando una terza frusta da una tasca interna della giacca lucente, colpendo il vuoto un'ennesima volta e causando la scomparsa dei pezzi di vetro in uno scintillio del colore del fuoco, come in una fiammata.
La creatura invisibile doveva essere stata abbattuta, a quanto sembrava.
Aaron avrebbe voluto urlare, bussare alla porta dietro di lui, chiamare aiuto... ma non gli usciva suono dalla bocca e il suo corpo sembrava non volere più obbedire agli impulsi del cervello.
Con quelle due paia di occhi puntate addosso, sentiva il cuore fermarsi e le gambe sul punto di cedere, quando una voce familiare lo richiamò alla realtà.
Era Ryan, il suo migliore amico, che correva verso di lui dalla direzione verso dove poco prima era diretto.
-Ehi, Aaron, ti stavo aspettando! Avevamo detto alle venti a casa mia, ma non eri ancora arrivato e non rispondevi al cellulare, così ho pensato di venirti incontr...-
-Andiamo via.- tagliò corto Aaron, trovando nuovamente la forza di parlare, nonostante la voce gli fosse uscita debole e metallica.
Si staccò dalla parete tenendo ancora lo gli occhi fissi su quegli strani ragazzi che sovrastavano ancora i rifiuti e che, senza pudore, ricambiavano il suo sguardo curioso.
-Ehi,- lo richiamò Ryan mettendogli una mano su una spalla e scuotendolo. -ma che ti prende?-
Aaron spostò lentamente lo sguardo sull'amico dai capelli rossi e gli occhi nocciola che lo fissava stranito e col naso arricciato.
-V-vuoi dire c-che... che tu non li vedi?!- gli chiese alzando le sopracciglia.
L'altro aggrottò la fronte e gli tolse la mano da sopra la spalla.
-Cosa dovrei vedere?-
Aaron si impaurì ancora di più e si alzò gli occhiali fino a farli poggiare sullo spazio tra le sopracciglia, si voltò nuovamente verso i due ragazzi sconosciuti e armati e li vide ancora lì, intenti a parlottare tra loro in una lingua irriconoscibile e a fissarlo, la ragazza con ripugnanza e il ragazzo con uno strano interesse e uno inspiegabile scintillio negli occhi verdi.
Ryan seguì lo sguardo di Aaron e rimase a guardardare quella che era per lui una semplice discarica abusiva e puzzosa, ma, soprattutto, isolata.
-Niente,- rispose Aaron a scoppio ritardato, afferrando l'amico per un polso e trascinandolo dietro di lui lungo il marciapiede. -assolutamente niente.-
-Ma stai male?!- gli chiese Ryan divincolandosi e fermandosi di botto.
Anche Aaron si fermò e si voltò a guardare l'amico con un sorriso falso e nervoso in volto.
-Niente, è che mi era sembrato di vedere due gatti!- esclamò cercando di mantenere il sorriso e sbirciando oltre la spalla di Ryan per vedere se i due ragazzi erano ancora lì.
Infatti era così: essi lo stavano ancora fissando a distanza.
-Gatti?!- esplose Ryan alzando gli occhi al cielo. -Ma mi pare ovvio che ci siano dei gatti in mezzo alla spazzatura!-
-Ma no, è che... pensavo fossero feriti. Ma a quanto pare stanno bene, dato che se la sono svignata senza problemi, giusto?- continuò Aaron ridendo in maniera poco convincente e continuando a camminare, convinto che Ryan lo stesse seguendo.
Il rosso sbuffò e gli andò dietro.
Aaron era nervoso e teso e non riusciva a capire perchè Ryan non avesse visto quei tipi strani mentre lui sì.
E poi, contro cosa stavano combattendo? Che lingua stavano parlando? Non sembrava di certo americano quello, né francese, né spagnolo...
Che stesse impazzendo? Che le sue rotelle, già messe a dura prova da tutti quei libri fantasy e di fantascienza, lo stessero salutando iniziando a farlo impazzire con delle allucinazioni?
Ryan lo sorpassò e girò a destra, verso la via di casa sua, ma Aaron, poco prima di svoltare l'angolo anch'egli, si girò un'ultima volta verso la discarica e rimase allibito: i ragazzi erano scomparsi, svaniti nel nulla; si erano dileguati o se l'erano data a gambe.
Ecco la conferma della sua pazzia. Aaron era ormai convinto di essere diventato matto, ma non poteva parlarne con Ryan, ragazzo con i piedi per terra e realista, altrimenti avrebbe perso il suo unico amico. Anche se Ryan gli voleva molto bene, Aaron non era convinto che potesse sopportare un amico psicopatico.
E non poteva tanto meno parlarne con sua madre. Lei lo avrebbe direttamente fatto ricoverare in manicomio.
Per quanto riguardava il padre, Aaron non si faceva problemi. Questi era morto quando lui era ancora un neonato, quindi non ne conservava alcun ricordo.
Forse avrebbe potuto parlare con sua zia. Lei sì che era una donna piena di stranezze e misteri, lo dimostrava anche l'arredamento della sua casa.
La madre di Aaron, Margaret, si sarebbe dovuta trasferire in Canada per lavoro dopo un paio di giorni, ma aveva insistito affinché Aaron terminasse gli studi a Manhattan. Per far ciò, aveva chiesto a zia Breanne, che poi era sua sorella, di ospitare Aaron fin quando non avesse terminato gli studi liceali. Lei sarebbe venuta a trovarlo un paio di volte all'anno, quando ne avrebbe avuto il tempo e quando avrebbe avuto il denaro per pagarsi il viaggio.
Aaron avrebbe preferito vivere da solo in casa, ma era cosciente di non erassere capace a prepararsi la colazione, a rifarsi il letto e a tenere pulita anche solo la sua camera. Quindi quella casa sarebbe diventata un porcile tempo di una settimana, o anche di meno.
Oltretutto aveva perso un anno per via della professoressa del corso di greco antico, che lo aveva preso di mira insieme a quella di chimica.
Non che lui avesse un innato talento per le lingue antiche e le scienze, ma di certo non meritava di essere bocciato, o almeno così pensava.
Avrebbe dovuto affrontare altri due anni a Manhattan presso zia Breanne e dopo avrebbe pensato ad un'università canadese, molto probabilmente, sempre che sua madre avesse trovato i soldi per pagargliela.

Dopo che Aaron ebbe cenato a casa di Ryan, fattesi le undici di sera, i due andarono in discoteca, ciascuno col proprio motorino.
-Ma che cosa eccitante, un altro ennesimo ballo al quale non riuscirò ad invitare Jasmine a ballare!- esclamò Ryan sconfortato e allargando le braccia una volta che entrarono nel locale.
Aaron ridacchiò e si mise le mani nelle tasche della felpa.
-Be', meglio. Almeno non rischierai di pestarle i piedi.- ironizzò, immaginandosi la scena.
Ryan lo incenerì con lo sguardo ma poi si mise a ridere anch'egli.
-Forse hai ragione, sono un pessimo ballerino.-
-Purtroppo anch'io.- fece Aaron alzando le spalle. -Ma devo ammettere che un po' mi scoccia stare tutta la serata a fare niente. Perlomeno rimanderò di qualche ora la sgridata di mia madre per "averle chiuso la chiamata".-
-Ma non mi avevi detto che non c'era campo?-
-Già, ma non è detto che lei mi crederà.-
Ryan annuì sorridendo.
-Le madri!-
Aaron stava per dire qualcosa, quando una mano affusolata lo afferrò per un braccio.
Si voltò di scatto e davanti a sé vide una ragazza dai capelli mossi e castani, gli occhi dello stesso colore e la pelle scura.
-Tu devi essere Aaron Murray, il tipo che si occupava della biblioteca scolastica.- osservò la ragazza con voce particolarmente entusiasta.
Aaron le sorrise mostrandole i suoi denti perfetti e le due fossette appena visibili sul volto magro e dagli zigomi spigolosi.
-Ehm, be', sì, sono io.- blaterò impacciato e stupito dal fatto che una ragazza fosse venuta a cercarlo di proposito.
-Io sono Sandra Martins.- si presentò lei stringendogli una mano con energia. -Ti andrebbe di bere qualcosa? Ho saputo che sei ossessionato dalla lettura e mi farebbe davvero piacere scambiare due parole con qualcuno che condivide la mia stessa passione.-
Aaron non smetteva di sorriderle come un ebete e di fissarla attraverso gli occhiali, si voltò un attimo verso Ryan, che lo incitò con lo sguardo ad accettare, così tornò a guardare la ragazza.
-Ma certo! Offro io.- se ne uscì fingendo disinvoltura.
Arrivati al bancone, lei prese qualcosa che Aaron riconobbe come un alcolico abbastanza forte, mentre lui si limitò ad un semplice analcolico.
Sandra trattenne una risata quando lo vide rigirarsi i pollici imbarazzato, così fece in modo che si sentisse più a suo agio, iniziando a chiedergli dei suoi gusti musicali per poi piombare immediatamente sull'argomento "libri".
-Quindi tua madre è partita e tu hai diciassette anni...- rimuginò lei assaporando il contenuto del bicchiere con particolare attenzione.
Aaron non ricordava più neppure come erano arrivati a parlare di sua madre, ma poco gli importava.
Aveva una ragazza davanti ai suoi occhi a meno di venti centimetri di distanza, cosa che non gli accadeva da più o meno due anni, quando ebbe la sua prima ed ultima ragazza. Poi si era totalmente immerso nel mondo dei libri e della musica, e non tutte le ragazze sono affascinate dai nerd.
Oltretutto odiava qualunque sport eccetto che il nuoto, cosa alquanto strana e poco affascinante agli occhi delle ragazze.
Aaron venne avvolto dalla musica assordante e cominciò a rendersi conto di vedere Sandra come un'immagine sfocata davanti a sé.
Ma lei sorrideva, sembrava non preoccuparsi del suo stato, oppure non se ne accorgeva neppure.
Fatto sta che dopo quelli che gli sembrarono degli istanti, Aaron ritornò in sé e ricominciò a sentire la musica in maniera meno ovattata e a vedere tutto più nitido.
-Ti va di ballare?- chiese a Sandra abbandonando il bicchiere sul bancone, alzandosi in piedi e aggiustandosi quella felpa che si era immediatamente pentito di avere indossato per quell'occasione.
Sandra mostrò un'espressione spiacente e sorrise forzatamente.
-Io dovrei tornare dai miei amici, semmai ci vediamo a scuola!- esclamò.
Poi gli si avvicinò stampandogli con riluttanza un bacio su una guancia e sparì tra la folla in pista.
Il ragazzo rimase enormemente deluso da come quella tipa lo avesse solo cercato per parlare di libri e della sua vita, per poi non accettare di ballare e scappare come una cenerentola in top e minigonna.
Abbattuto, si appoggiò al bancone portando il capo all'indietro e sospirando.
"Sandra Martins, Sandra Martins..." continuava a ripetersi nella mente.
Ma non l'aveva né mai vista prima di allora né mai sentita nominare.
Come avrebbe fatto a rivederla a scuola se non ricordava nemmeno che ne facesse parte?!
Nonostante cercasse di distrarsi, nella sua mente continuavano ad apparire due occhi verdi come smeraldi e solo dopo si ricordò a chi appartenessero.
Quei due ragazzi della discarica non avrebbero fatto altro che tormentarlo per tutta la serata e, anche una volta tornato a casa da sua madre, si sarebbe addormentato e avrebbe rivissuto quello strano incontro nei suoi sogni più inquietanti.

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