I - I nuovi vicini

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Secondo alcuni, non c'è niente di più bello di Los Angeles al tramonto: seppur si avvicini la notte, la vita continua imperterrita, ignorando lo scorrere insistente delle lancette e la luce del sole sempre più flebile.

La pensavo anche io così, quando ancora non mi ero trasferita lì per motivi di lavoro.

Eppure, quando per la prima volta mi svegliai nella città degli angeli, seppi con certezza di essermi sbagliata.

L'alba era perfino più bella del tramonto.

Il silenzio innaturale di una città quasi sempre sveglia veniva inframmezzato qua e là dal canto di alcuni uccellini, mentre le strade venivano riscaldate dal sole e le macchine giacevano al riparo nei garage.

Mi godevo quello spettacolo ogni giorno, fin quando una mattina come le altre non sentii la sveglia della mia coinquilina iniziare a suonare con insistenza fin dalla stanza accanto alla mia, riportandomi nel mondo reale e distruggendo quel silenzio tanto strano quanto meraviglioso.

E ben presto il momento idilliaco finì.

Presi i vestiti eleganti che avevo scelto la sera prima e corsi in bagno chiudendomi la porta alle spalle, speranzosa di non sentire più quella dannata sveglia.

Mentre mi lavavo e mi vestivo, iniziai a chiedermi quale malattia mentale temporanea mi avesse colpito nel momento in cui avevo accettato la proposta di Julie di affittare una casa insieme e vivere con lei. La mia migliore amica era famosa per la sua pigrizia, il che molto spesso giocava a sfavore di entrambe, viste le continue attese a cui mi sottoponeva quando mi chiamava per dirmi che avrebbe fatto un po' di ritardo; a quel punto mi sedevo sulla prima panchina disponibile, alzando il viso verso il cielo e godendomi il sole sulla pelle.

L'attesa non si rivelava neanche poi così noiosa, in fondo, a meno che non si mettesse a piovere, e allora partivano delle bestemmie capaci di sradicare gli alberi e far svenire i signori anziani che avevano la sfortuna di passare di lì proprio in quel momento.

Finalmente Julie spense la sveglia poco prima del mio sospiro di sollievo, mentre scendevo in cucina per cominciare a preparare la colazione per entrambe.

Era già tutto servito in tavola quando si degnò di scendere, con un occhio ancora mezzo chiuso e uno sbadiglio abbastanza grande da poter ingoiare interamente la tazzina di caffè che la aspettava sul tavolo.

"Ho fatto un sogno stranissimo", mugugnò stropicciandosi gli occhi, per poi sedersi al tavolo con fare automatico. "Stavamo andando a quel centro commerciale carino con i dipinti nell'area ristoro, ed avevamo in mano talmente tante buste da inciampare in continuazione, non chiedermi perché. Da dietro il Mc Donald's appariva tuo padre che, con un vassoio pieno di crocchette di pollo, ci ricordava di andare a comprare il vestito per il ballo di fine anno delle superiori". Un sospiro pensieroso interruppe il suo racconto, lo sguardo fisso nel vuoto e un'espressione triste sul volto. "Quindi andavamo a comprarlo, e la commessa decideva di regalarmi quel vestito rosso che avevo adocchiato all'ultimo anno, quello con le paillettes sul corpetto. E poi mi sono svegliata".

"Posso solo immaginare la delusione che hai provato quando ti sei accorta di essere in questa casa, a ventiquattro anni suonati e senza fidanzato", risposi sarcasticamente, sedendomi di fronte a lei e cominciando a bere la tazza di latte e cioccolato che avevo preparato.

"E senza quel vestito", aggiunse Julie con tono grave, come se quel particolare avesse un'importanza colossale. Posò la testa sul tavolo con fare drammatico, sospirando: "La vita è dura".

"Eh, già", concordai, ridendo sotto i baffi. "A proposito, questa mattina verranno quei due ragazzi di cui ti parlavo per vedere ed eventualmente comprare la casa".

From Hell with LoveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora