Wendy

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«E, vedi...La farfallina si posa sul tuo braccio e...»praticai il prelievo a John, il bambino di 5 anni,seduto, spaventato in quel letto d'ospedale:«...E non fa per nulla male!» sorrisi e lui si morse appena il labbro, guardandomi estasiato. Posò la fronte nell'incavo del collo della madre, che gli sedeva accanto e nascose un sorriso. Sfilai il piccolo ago e tenni controllata la fuoriuscita di sangue.
«Ora, dimmi, campione...» riprensi,voltandomi a mezzo busto verso il carrello delle medicazioni:«...Di che colore lo vuoi il cerotto?» lo interrogai, mostrandogli diversi colori:«...giallo, blu, azzurro, verde...».

                                   «Verde» sussurrò lui con vocetta sottile e io annuii, con un occhiolino: «Ottima scelta!» mi complimentai e, dopo averlo applicato, mi alzai, sistemando tutto e allontanandomi appena. Recuperai le tre fialette.
«Ho smesso di infastidirti» lo rassicurai e lui scostò il viso dal collo della mamma, guardandomi mentre mi allontanavo: «Grazie, Kristel».
Arricciai il naso in un sorriso, mentre uscivo dalla stanza. Avevo appena iniziato il turno di notte e dovevo compilare un sacco di scartoffie: dimissioni, per fortuna, e poi dovevo rileggermi le consegne, che le mie college del pomeriggio mi avevano passato. Grazie al cielo, quella sera avevo Grace e Giselle, che facevano il turno con me, due infermiere magiche e l'operatrice sociosanitaria, Kimberly, che era uno spasso. Si sarebbe rivelata una notte tranquilla, speravo, mentre inviavo via posta pneumatica i campioni di sangue di John al centro trasfusionale. Sospirai e scivolai con la sedia verso il bancone, prima di uscire dalla sala terapia e correre al solito appuntamento con la bambina della stanza 56. Bussai piano alla porta: la bimba di 8 anni era immersa nella luce soffusa della lampada del comodino e guardava fuori dalla grande finestra. Fissava il cielo, le sue mille stelle.  Sorrisi e feci un passo dentro: «Wendy» accennai sommessa e lei voltò il viso verso di me, illuminandosi:« Kristel! Avevo proprio voglia di ascoltare la tua storia, sta sera!» se ne uscì, squittendo.
Aggrottai le sopracciglia, sebbene stessi sorridendo: «Perchè?» sghignazzai andandomi a sedere sul suo letto ed afferrando il suo libro di favole:«Ogni infermiera ha la sua storia?» indagai, anche se sapevo già la risposta. Ad ogni turno di notte, alle nove, un'infermiera a turno andava da lei, a leggerle una storia della buona notte. La madre di Wendy lavorava di notte e suo padre era morto nello stesso incidente, che aveva condotto Wendy in ospedale. Nel reparto di medicina riabilitativa infantile, i bambini potevano restare in riabilitazione anche più di un anno. E noi ci prendevamo cura di loro. Wendy era uno di questi casi particolari. Ma, come vi dicevo, ad ogni infermiera era affidata una storia: Grace aveva "La bella e la bestia"; Giselle le leggeva"Robin Hood". Io avevo "Peter Pan", da sempre la mia favola preferita.
«Leggimi Peter Pan» mi pregò, infatti la piccolina e io sorrisi, aprendo la pagine di quel libro, ormai consumato. Sapevo a memoria la pagina da aprire. E sapevo a memoria l'intera storia di quel ragazzino, ma a Wendy piacevano le immagini del libro, così lo tenevo aperto sul mio grembo, mentre lei sfiorava quei colori sbiaditi, con un sorriso sulle labbra.
«Mi piace» disse alla fine, tra uno sbadiglio e l'altro:- La bambina si chiama Wendy come me» riflettè,come ogni volta e posò la testa al cuscino, chiudendo gli occhi:«E comunque Peter non ha i capelli rossi» se ne uscì per la prima volta, costringendomi a voltarmi verso di lei con le sopracciglia inarcate. Riposi il librone sul tavolino e scesi dal letto, andando a rimboccarle il lenzuolo.
«Ah, no?» la incitai, mostrando curiosità:«E di che colore ce li ha?».
«Marroni» disse semplicemente poi si portò una manina tra i boccoli scuri:«E sono ricci. E non porta un cappello, ma una... una...» balbettò, non ricordandosi il termine:«...mi aveva detto come si chiamava...» proseguì e io aggrottai le sopracciglia. Chi le aveva detto cosa? L'unica persona che era mai venuta a trovarla era sua madre, che non aveva tempo di blaterare riguardo Peter Pan e i suoi capelli.
«Una fascia ha tra i capelli» insistette, spiccia.
Andai a chiudere la finestra e ad abbassare le persiane:«Una bandana?» chiarii, continuando a guardarla, ma lei si mise a sedere di scatto, tenendo un braccio verso di me.
«No! Non chiudere, per favore,Kristel!» esclamò, allarmata e gli occhi sgranati:«Potrebbe tornare».
Sospirai lentamente ed inclinai la testa, sospettosa e spaventata:«Potrebbe tornare chi, tesoro?» chiesi sulla difensiva ed aprii piano la vetrata.
Wendy tornò a distendersi tranquilla:«Peter Pan» rispose in un sussurro e io annuii, concedendole un sorrisetto di circostanza.
«Va bene» concessi. Era una calda notte di mezza estate. Considerai più salutare lasciare aperta quella finestra, piuttosto che accendere il condizionatore. E, nonostante le parole della bimba mi avessero messo in allarme, nessuno sarebbe mai stato in grado di entrare da quella finestra. Eravano al 6° piano di un ospedale, controllato notte e giorno. Non c'era pericolo che questo fatidico Peter Pan entrasse. Salutai Wendy, assicurandomi che fosse tranquilla e spensi la luce. Lasciai la porta aperta per garantire la sorveglianza della mia piccola paziente e me ne tornai in sala terapia, dove le mie colleghe avevano già concluso il giro e se ne stavano sedute al bancone, chiaccherando e smangiucchiando delle ciambelle, mentre lanciavano continue occhiate ai monitors delle stanze.
«Ah, eccola la nostra giovane matricola!» tuonò Kimberly con il suo vocione. Le rivolsi un sorriso divertito. Ebbene, sì. Ero giovane. Avevo 23 anni e avevo concluso a dicembre l'università a Cambridge, con il massimo dei voti. E sì,ero matricola, perchè lavoravo nel reparto di medicina riabilitativa infantile da appena 4 mesi. Ma, a mio modesto parere, ero piuttosto brava nel mio lavoro. Adoravo i bambini e dedicavo a loro tutto il mio tempo.
«Sono stata da Wendy, a leggerle la sua storia» spiegai, prendendomi una sedia e lanciando uno sguardo al monitor della sua stanza.
«Lo sappiamo» ridacchiò la rossa Giselle e, con un gesto eloquente, mi indicò lo schermo:«Abbiamo visto» spiegò e io annuii, mordendomi il labbro.
«Ha detto qualcosa...» le avvisai,titubante:«... riguardo qualcuno che "potrebbe tornare", entrando dalla finestra. Le dice sia Peter Pan!».
Le mie college mi fissarono per un attimo stralunate, poi scoppiarono a ridere.
Kimberly si teneva il grosso pancione-non era incinta, sappiatelo. Era soltanto molto tonda-.
«Tesoro caro, ho capito che sei giovane...» rise, asciugandosi una lacrima all'angolo dell'occhio:«...ma che tu creda ancora a queste dicerie, mi sembra assurdo. Nessuno può entrare dalla finestra, all'altezza in cui ci troviamo» mi ricordò, con uno sguardo di rimprovero.
Annuii e abbassai la testa e lo sguardo: era quello che avevo pensato anche io. Ma l'immaginazione e la fantasia dei bambini poteva arrivare a tanto? Poteva Wendy storpiare quell'immagine di Peter Pan, che tanto le piaceva del libro, dicendo che aveva i capelli ricci e portava la bandana?
Deglutii e osservai di nuovo il monitor della stanza della piccola. L'avrei tenuta sott'occhio, quella notte.

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