Kristel cuor di leone

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Il semaforo scattò. Diventò verde davanti ai miei occhi stanchi. Il guidatore dell'autobus premette l'acceleratore e il mastodontico veicolo rosso riprese la sua corsa. Sospirai, osservando le goccioline di pioggia correre lungo la vetrata, regalandomi una visione sbiadita delle strade di Londra. Mi passai una mano sugli occhi e sbuffai. Era stata una nottata lunga, sebbene il turno non fosse stato troppo impegnativo. I bimbi erano stati tranquilli e, al giro della mattina, non avevano fatto troppe storie per svegliarsi e prendere la loro terapia. Tranne Wendy. Lei aveva fatto una grande fatica a svegliarsi e si era lamentata diverse volte. Mi aveva detto di voler dormire ancora un po', perchè quella notte Peter Pan le aveva fatto conoscere gli indiani e avevano ballato attorno al fuoco per tutto il tempo. E io avevo tenuto sott'occhio il suo monitor per tutto il tempo. Beh, forse non costantemente. Diciamo che da mezzanotte fino alle sei eravamo rimaste impegnate a preparare il carrello terapia delle 7:00, avevamo scritto le dimissioni e, sì, eravamo andate a posare un attimo la testa e a chiudere gli occhi. Ma avevo sempre il cercapersone con me e lei non mi aveva mai chiamano o avvertito ne avevo sentito alcun rumore provenire dalla sua camera. Chiusi gli occhi, con un altro sospiro. Per fortuna, la prossima fermata sarebbe stata la mia: Bloomsbury.

Abitavo in un piccolo appartamentino al terzo piano di una deliziosa palazzina, all'angolo della strada. Sebbene fosse davvero striminzito, io ci stavo da papa e l'avevo organizzato e arredato secondo il mio gusto: colori pastello, mobili da fiaba, tutto molto cosy. Adoravo tornare a casa, diciamo. Per questo, quando varcai la porta candida del mio appartamento, sospirai di sollievo e mi tolsi subito la scarpe, decisa a precipitarmi in doccia e poi filarmela a letto.

Erano le nove di un solito sabato mattina e io stavo abbassando le persiane di camera mia, per oscurarla e mi infilavo sotto le coperte, senza neanche preoccuparmi di indossare un pigiama. Canotta e slip sarebbero andati benone comunque. Il mio lavoro mi impediva di avere degli orari prestabiliti per dormire, ma –per grazia- non avevo mai avuto problemi ad addormentarmi. Sapevo che mi bruciavo un intera giornata, che avrei potuto spendere facendo altro, ma io adoravo dormire e, con questo, anche sognare. Chiusi gli occhi e mi accolai per bene sotto le coperte, sospirando e, per qualche strana ragione, mi tornò in mente Wendy. Lei e il suo Peter Pan.

Ricordavo quanto adoravo quel personaggio, quanto adorassi il film della Disney e di come tartassassi mia madre affinchè mi leggesse le sue storie e le sue avventure. Amavo così tanto quell'individuo da essermi comprata una copia originale del libro di J.M. Barrie ; un'edizione del 1911 di "Peter e Wendy". Quand'era stata l'ultima volta che me l'ero letto?

Non aspettai un momento e mi alzai, trotterellando fino alla libraria e sfilandolo dalla mensola. Me lo portai al comodino, come promemoria per la sera dopo, quando l'avrei letto.

Non ci volle molto prima che prendessi sonno. Caddi in un sonno profondo, popolato da strani bambini vestiti da animaletti, una Wendy dai boccoli scuri e un ragazzino con la bandana verde.

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Venni ridestata da un ronzio del cellulare. Mi stropicciai gli occhi con entrambe le mani, prima di fare qualche versetto di disappunto, mentre la luce del cellulare infrangeva l'oscurità della stanza. Andai a tastoni sul comodino, finchè non afferrai l'iPhone e risposi, senza conoscere chi mi cercava.

«Mmh, pronto?» mugugnai con la voce impastata dal sonno.

"Tesoro, ti sei appena svegliata?"

Micheal, il mio ragazzo, aspettava una mia risposta dall'altro lato del telefono.

Annuii, con una smorfia «Sì» dissi semplicemente e lui sembrò sospirare appena: «Ho fatto il turno di notte» mi affrettai a spiegargli, mettendomi a sedere a gambe incrociate.

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