UNA TACCO DODICI BIRICHINA
Dove è andata a finire quella maledetta scarpa, mi chiesi mentre col piede sondavo concitatamente la moquette sotto la scrivania. Dalle profondità della hall qualcuno si stava avvicinando con passo felpato ma svelto. Sentivo le sue scarpe divorare l'ultimo tratto di corridoio che lo separava dal mio ufficio e cercavo la mia di scarpa per affrontarlo da pari a pari piuttosto che da carmelitana scalza. La posizione che rivestivo dentro la Giliani Hosting Services mi imponeva infatti di essere impeccabile e, anche se la carezza solleticosa della moquette sotto la pianta dei piedi incideva positivamente sul mio rendimento lavorativo, come assistente personale del grande capo Alex Giliani non potevo né volevo permettermi la minima défaillance.
La mia tacco dodici sinistra sembrava però essersi volatilizzata e, mentre provavo a localizzarla in extremis con un'ultima sbirciata annaspante attraverso il piano di cristallo del mio desk, un elegante paio di mocassini maschili in pelle blu notte entrò nel mio campo visivo. Dai mocassini risalii in un millisecondo fino al volto dell'uomo che, chiuso in un vestito di ottimo taglio, mi osservava con occhi di un verde disarmante. Un sorriso tenero e insieme malizioso illuminava i suoi lineamenti. Una morbida zazzera bionda irradiava un riflesso dorato sulla pelle abbronzata. Mi resi conto subito di trovarmi davanti al più bell'esemplare di maschio umano che avessi mai visto.
"Buongiorno, signorina... Sette" disse l'uomo leggendo il mio nome sul badge fissato al bavero della mia giacca. "Sono Tommaso Giliani, il nipote di Alex. Vorrei vedere mio nonno; credo che mi stia aspettando".
"Ah..." replicai sorpresa. "Non mi ha informata del suo arrivo. Se vuole accomodarsi un istante, la annuncio subito".
"Grazie, ma preferisco rimanere in piedi" fece lui senza togliermi di dosso i suoi magnetici occhi verdi.
"Ingegnere, suo nipote Tommaso è qui" soffiai con voce incerta dentro l'interfono. Di norma preferivo annunciare di persona le visite inaspettate, bussando alla porta del capo e conferendo direttamente con lui nella sua stanza senza il filtro di nessun mezzo tecnico distanziante. Così la confidenzialità era salva. E inoltre la vista di Alex ai quadri di comando dietro la sua immensa scrivania in rovere mi permetteva di capire al volo come comportarmi e in che modo inquadrare la visita, quanto il nuovo arrivato fosse benaccetto o inopportuno, che grado di cortesia infondere al sorriso con cui l'avrei lasciato passare o quanto sforzarmi di far apparire verosimile il pretesto con cui lo avrei congedato dicendogli nisba.
Alex aveva settantaquattro anni e una figura ancora imponente. Di lui amavo tutto: l'espressione bonaria, lo sguardo penetrante, i modi squisiti, la voce pacata ma a suo modo tonante, l'intelligenza e la spregiudicatezza con cui conduceva i suoi affari e che ne facevano uno dei magnati più in gamba di questa terra. Ne ammiravo il fiuto infallibile e l'intuizione sicura, l'eleganza innata, l'educazione, il tratto delicato che all'occorrenza sapeva farsi ruvido il tanto che bastava, e ne adoravo il nome elastico da campione sportivo, da leggenda del motociclismo o da stella filante che traccia la sua pista di luce nel buio notturno (Alex Giliani capitava che mi ripetessi trasognata, quasi ipnotizzata dalla suggestione sonora promanante da quella sequenza fortunata di sillabe). Ma ciò che mi piaceva sopra ogni altra cosa era aprire la porta del suo ufficio e vederlo apparire dietro la scrivania, seduto sulla sua poltrona di vecchio cuoio, maestoso e tranquillo.
Un panorama alpino si spalancava allora dentro ai miei occhi. I picchi innevati si alternavano alle distese erbose, i crepacci ai declivi boschivi, e specchi d'acqua cristallina risplendevano come diamanti tra le rocce. Per lo più la visione si assestava sull'immagine isolata di una montagna dalla vetta imbiancata, solidamente ancorata ai pascoli adagiati alle sue pendici e audacemente protesa verso il cielo azzurrissimo, la cui sagoma si rovesciava in riflesso sulla superficie di un lago di trascendente nitore. A maggior gloria di se stessa, ovviamente. Lo spettacolo era esaltante e rasserenante insieme. Nell'osservarlo sapevo che potevo riporre fiducia cieca in quell'uomo montagna e prendere per oro colato ogni parola portata a valle dal corso dei torrenti che nascevano dai suoi nevai.