Introduzione

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MASTRO-DON GESUALDO

Al Mastro-don Gesualdo Verga approda dopo un lungo percorso di elaborazione testuale. La storia compositiva dell'opera si fa risalire agli schemi preparatori allestiti nel 1881 e s'interseca quindi con la produzione novellistica. L'edizione definitiva in volume (Treves, 1889) è dunque il risultato di un complesso itinerario creativo. All'indomani di una prima versione dell'opera - pubblicata a puntate, tra il luglio e il dicembre del 1888, sulla rivista « Nuova Antologia » - Verga, ancora insoddisfatto, dopo un lavoro di poderosa revisione tutta concentrata nel giro di pochi mesi, dà luogo a un'autentica riscrittura. Nel passaggio dalla prima alla seconda redazione si precisa il ruolo dei personaggi e si attua un decisivo assestamento delle modalità stilistiche e delle tecniche narrative: si intensifica l'uso del dialogo e del discorso indiretto libero, cui si ricorre prevalentemente per filtrare la narrazione attraverso il punto di vista del protagonista della vicenda. Il lessico e la sintassi, prosciugata ed essenziale, si calibrano sul parlato. La tecnica verghiana si applica ora a una materia diversa dalla corale epopea dei Malavoglia: apparentemente più tradizionale rispetto alla sconcertante novità strutturale del primo romanzo del ciclo, l'impianto episodico e diseguale del Mastro-don Gesualdo, giudicato dai contemporanei un punto debole dell'opera, risponde invece a una precisa logica di organizzazione della materia e favorisce il dinamismo della narrazione.

La vicenda si articola in quattro grandi quadri tematici che illustrano la parabola biografica del protagonista, scandendone progressivamente le tappe: dalla vincente, titanica ascesa, colta sullo sfondo di una brulicante vita di provincia, alla crisi e alla sconfitta finale, drammaticamente consumata tra le fredde mura di un'aristocratica residenza palermitana. Incontrastato dominatore dell'azione - che si svolge a Vizzini, un borgo agricolo del catanese, in quel movimentato periodo della nostra storia risorgimentale che va dal 1820 al 1848 - è l'eroe che dà il nome al romanzo. Formidabile incarnazione del self-made man, figura emblematica di arrampicatore sociale, operoso e astuto, ostinato e instancabile, mastro-don Gesualdo, dopo l'ascesa gloriosa alla condizione di ricco possidente, atta a riscattare le sue umili origini, è destinato a pagarne lo scotto e a vivere, letteralmente, sulla propria pelle tutte le contraddizioni dell'homo oeconomicus.

Il romanzo si apre con l'episodio dell'incendio del palazzo nobiliare dei Trao, che offre allo scrittore l'occasione per tracciare un vivacissimo quadro d'ambiente: un caotico e concitato sovrapporsi di voci e di volti squarcia improvvisamente la quiete notturna di Vizzini. Tutto il paese è


in allarme, disordinatamente accalcato attorno alla residenza nobiliare. L'incendio, oltre a mettere a nudo la decadenza della famiglia, serve a introdurre il protagonista dell'azione, accorso prontamente sul luogo non certo con intenti di disinteressata generosità, ma per difendere il suo: « Brucia il palazzo, capite ? Se ne va in fiamme tutto il quartiere ! Ci ho accanto la mia casa, perdio ! ». Gesualdo Motta è subito inquadrato nella sua granitica e, a tratti, quasi caricaturale fisionomia di villano arricchito, accanito custode dei propri beni, ma anche potente Mida, capace di trasformare in oro tutto quel che tocca, di profittare delle circostanze e di volgerle a proprio vantaggio. È un piacere vederlo all'opera nel corso della sua giornata tipo: costantemente affaccendato, con i sensori di scaltro speculatore sempre pronti a fiutare l'affare, l'occasione giusta per incrementare il patrimonio. È un uomo tutto d'un pezzo, quello che ci viene presentato nella prima parte del romanzo, inamovibile dal suo intento. Questa la sua regola di comportamento, il suo chiodo fisso: « cavar le castagne dal fuoco con le zampe del gatto; tirar l'acqua al suo mulino, e se capitava d'acchiappare anche il mestolo un quarto d'ora, e di dare il gambetto a tutti quei pezzi grossi che non era riescito ad ingraziarsi neppure sposando una di loro, senza dote e senza nulla, tanto meglio ». Se il forsennato attivismo dell'ex-manovale risulta dapprima coronato dal successo, la risoluzione di garantirsi una promozione sociale attraverso il matrimonio con Bianca Trao, di famiglia nobile ma economicamente decaduta, prefigura l'inizio della crisi. L'unione con una moglie affettivamente distante, tanto quanto lo sarà la figlia Isabella, oltre a non procurare a Gesualdo le simpatie della classe aristocratica, si rivela un « affare sbagliato » sotto ogni punto di vista. Il motivo centrale della sconfitta si esprime nella rappresentazione, straordinariamente amara, dell'irreparabile inconciliabilità fra religione

Mastro Don Gesualdo - Giovanni VergaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora