CAPITOLO 4

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Giovedì 25 giugno 1919, dopo aver comunicato la nostra decisione Carrington Harris, ma nascondendogli i nostri veri sospetti, mio zio ed io portammo nella casa due sedie,una brandina da campeggio e dei macchinari scientifici molto pesanti e complessi.
Li deponemmo in cantina,poi compriamo le finestre con degli stracci e stabilimmo di ritornare la sera a fare la nostra prima veglia. Avevamo chiuso la porta che della cantina portava a pianterreno e, assicuratici di avere con noi la chiave della cantina stessa,ci preparammo a lasciarvi i nostri costosi apparecchi-che avevamo avuto in segreto e a caro prezzo-per tutto il tempo che sarebbe stato necessario. Avevamo in mente di rimanere in piedi fino a tardi,e poi vegliare a turno ogni due ore,prima io e mo zio; chi dormiva,poteva sdraiarsi sulla brandina.
La prontezza con la quale mio zio procurò gli strumenti dai laboratori dell'Università Brown e dall' armeria di Cranston Street,e la naturale facilità con la quale assunse il comando delle nostre operazioni testimoniano meravigliosamente la vitalità eccezionale e la grandissima capacità di resistenza di quel vecchio di 81 anni. Elihu Whipple aveva sempre vissuto rispettando le norme igieniche che raccomandava come medico e, se non fosse stato per quello che accade in seguito, oggi sarebbe ancora vivo e vegeto. Siamo soltanto in due ad avere una volta idea di quello che accade: io e Carrington Harris. Dovetti raccontarlo a Harry perché, come proprietario della casa, aveva diritto di sapere quello che era successo. Gli avevamo già parlato della nostra ricerca, ed ero sicuro che, dopo la scomparsa di mio zio avrebbe certamente capito che sarebbe stato meglio dare soltanto certe spiegazioni alla gente. Si fece molto pallido, ma acconsentì ad aiutarmi, e decise che la cosa migliore da fare fosse affittare la casa.
Direi che in quella notte tempestosa non eravamo nervosi, sarebbe una ridicola bugia. Non credevamo, come ho già detto, ha stupito superstizioni, ma lo studio scientifico e la capacità di riflessione ci avevano insegnato che l'universo tridimensionale conosciuto contiene anche i più piccoli frammenti di sostanza e di energia diventi nel cosmo. Nella fattispecie, prove evidenti scaturire da fonti autentiche indicavano l'esistenza di certe forza molto potenti e, da un punto di vista umano, molto malefiche.
Sostenere che andavamo alla ricerca di vampiri o di licantropi sarebbe del tutto gratuito. Bisogna dire, piuttosto, che non eravamo completamente sicuri di poter negare la possibilità che esistessero delle variazioni sconosciute e inconsuete dell'energia vitale e della materia, variazioni che si riscontravano molto di rado nello spazio tridimensionale a causa dell' intima connessione di questo con altre sostanze cosmiche, ma che sono sufficientemente vicine ai nostri confini per potersi manifestare occasionalmente con dei fenomeni che noi, per mancanza di conoscenza, non potremmo comprendere.
In breve, a me e a mio zio sembrava che una serie di fatti inoppugnabili indicasse l'esistenza di un influenza che incombeva sulla casa , che era attribuibile a uno dei primi coloni francesi che si erano insediati nel posto due secoli prima, e che doveva essere ancora operante grazie a delle leggi a noi sconosciute. La loro storia, almeno per come era stata registrata, sembrava comprovare che i membri della famiglia Roulet avessero una sorta di comunicazione paranormale con i cerchi esterni di quell'entità: delle sfere scure che nella gente normale suscitavano solo repulsione e terrore. Non era possibile allora che le sommosse del 1730 avessero messo in moto certi poteri cinetici nel cervello malvagio di un po' più di loro- forse il tenebroso Paul
Roulet-che erano poi sopravvissuti misteriosamente ai corpi permanendo in uno spazio pluridimensionale lungo le originarie linee di forza sprigionate dall'odio fanatico della comunità?
Alla luce delle teoria della relatività e dell'azione infra atomica, postulate dalla scienza più moderna, era impossibile dimostrare una cosa del genere. Si poteva facilmente immaginare quel nucleo alieno di sostanza o di energia, primo o meno di forma, tenuto in vita da impercettibili e incorporee sottrazioni all'energia vitale,o tessuto corporeo,e ai fluidi degli esseri viventi nei quali penetrava e sulla cui struttura a volte dominava completamente. Poteva essere pericolosamente ostile, ho soltanto guidato da motivi di autoconservazione. In tutti i casi, un mostro simile -nei nostri schemi mentali -non poteva che essere un intruso o un un'anomalia, e la sua estirpazione doveva diventare il compito prioritariario di ogni uomo che amasse la vita, la salute e la sanità mentale.
Quello che ci irritava molto era la nostra completa ignoranza in merito all'aspetto sotto il quale la creatura ci sarebbe potuta apparire. Nessun uomo sano di mente l'aveva mai vista,e soltanto pochi ne avevano avvertito l'esistenza distintamente. Poteva essere energia pura- una massa eterea priva di sostanza- o parzialmente corporea; o anche un agglomerato sconosciuto e minaccioso di plasticità, capace di trasformarsi a suo piacimento in nebulose approssimazioni dello stato liquido,solido e gassoso. La macchia antropomorfa di muffa sul pavimento,il vapore giallastro e il rigonfiamento delle radici degli alberi di cui si parlava in certe leggende facevano pensare ad una forma lontanamente umana,ma nessuno poteva affermare con certezza quanto potesse essere permanente e reale quella somiglianza con gli esseri umani.
Per colpirla avevamo realizzato due armi. Un Tubo di Crookes appositamente adattato e azionato da un potente accumulo di corrente,e provvisto di schermi riflettori particolari nel caso l'entità si fosse rivelata incorporea e occorresse ricorrere alla Potenza distruttiva delle radiazioni; e un paio di lanciafiamme militari dello stesso tipo impiegato nella Guerra Mondiale nel caso si fosse rivelata parzialmente corporea e suscettibile di distruzione meccanica. Ci eravamo provvisti di lanciafiamme perché,come i villici superstiziosi di Exeter, eravamo pronti a bruciare il cuore di quell'essere,se mai ci fosse stato un cuore da bruciare. I macchinari vennero collocati in cantina in posizioni accuratamente studiate: accanto alla branda e alla sedia,e vicino alla chiazza che appariva davanti al camino dove le muffe assumevano strane forme. Quella macchia però,quando sistemammo le armi,era scarsamente visibile; comparve invece quando ritornammo la notte per la veglia. Per un momento dubitano di averla veramente vista,ma poi ripensai alle leggende.
La nostra sorveglianza cominciò alle 22 e,all'inizio,non ci furono ulteriori sviluppi. Nella cantina filtrava la fioca luce di un lampione stradale bersagliato dalla pioggia. La leggera fosforescenza delle orribili muffe eliminò le umide pareti dei muti dai quali era svanita ogni traccia di intonaco,il fetido terreno ricoperto dalle oscene fungosità,i resti di quelli che erano stati sedie,tavoli,ed altri pezzi di mobilio ancora più sgangherati,le grandi assi e le travi massicce del piano soprastante,la decrepita porta che portava ai ripostiglio e alle camere dell'altra ala della casa,le scale di pietra in procinto di crollare,il corrimano tarlato,il crudele e sinistro caminetto dove frammenti di ferro arrugginito rivelavano la presenza di uncini,alari,spiedi e sifone,un forno da campagna,la nostra brandina,le sedie da campeggio,e il macchinario che avevamo portato.
Come avevamo fatto durante i precedenti sopralluoghi,avevamo lasciato aperta la porta che dava sulla strada,in modo da avere una rapida via di fuga in caso di apparizioni che fossero sfuggite al nostro controllo. L'idea era che la nostra continua presenza notturna avrebbe richiamato qualsiasi perversione si annidasse li dentro, e,con il nostro equipaggiamento, pensavamo di poter affrontare l'entità e distruggerla non appena l'avessimo studiata sufficientemente. Non potevamo prevedere quanto tempo ci sarebbe voluto, ed eravamo consapevoli, inoltre, che la nostra avventura sarebbe stata molto pericolosa, visto che non sapevamo minimamente in quale forma ci sarebbe apparsa l'entità. Ma il gioco valeva la candela, e perciò ci imbarcammo nella partita da soli senza esitazioni, coscienti del fatto che richiedere aiuti esterni ci avrebbe esposto al ridicolo provocando forse il fallimento del nostro piano. Discutemmo di questo fino a notte inoltrata, quando la sonnolenza crescente di mio zio mi ricordò che doveva prendersi due ore di riposo.
Quando rimasi li praticamente da solo,ormai notte fonda,mi agghiacciò una sensazione molto simile alla paura: ho detto «da solo» perché,se il tuo compagno dorme,non puoi farci affidamento, e ti lascia più solo di quanto si possa immaginare. Mio zio respirava profondamente. Le sue inspirazioni ed espirazioni erano accompagnate dalla pioggia e scandite dal rumore snervante delle gocce d'acqua che filtravano nella cantina: se la casa era già umida col tempo asciutto,quando pioveva diventava una palude. In quella situazione,mi misi a studiare l'intonaco decrepito dei muri al chiarore emanato dalle muffe e da qualche raggio di luce rubato alla strada dalle finestre schermate. A un certo punto, quasi sopraffatto dalla tetra atmosfera del luogo, andare ad aprire la porta guardai giù per la strada rallegrandomi alla vista dei paesaggi familiari, e respirando a pieni polmoni l'aria pura della notte. Non succedeva niente. Sbadigliai ripetutamente, mentre la stanchezza della veglia aumentava la mia tensione.Poi, i movimenti dello zio attrassero la mia attenzione. Durante la prima mezz'ora si era rigirato diverse volte , ma ora respirava con regolarità,emettendo di tanto in tanto un sospiro che era molto più di un gemito soffocato. Spostai su di lui la torcia elettrica, ma era girato dall'altra parte, perciò mi alzai,feci il giro della branda e lo illuminai di nuovo per vedere se provasse dolore.
Forse mi ero allarmato inutilmente,forse si trattava di una sciocchezza. Probabilmente ero stato suggestionato dall'atmosfera del luogo e dalla natura della nostra missione,perché la posizione di mio zio,in se stessa non era né innaturale né paurosa. Ma l'espressione del suo viso tardiva una strana agitazione,senza dubbio provocata dai brutti sogni ispirati dalla nostra situazione,che in lui non avevo mai visto. Il suo volto,sempre sereno,sembrava ora agitato da molteplici emozioni. Probabilmente furono proprio le emozioni che lessi sul suo viso ad allarmarmi.
Mentre respirava con affanno e si dibatteva con crescente agitazione,con gli occhi semiaperti,mio zio non mi pareva un uomo,ma una moltitudine,e sembrava addirittura alieno a se stesso.
Improvvisamente cominciò a mormorare, e i suoi denti e la sua bocca non mi piacquero affatto. All'inizio quello che diceva non era comprensibile,m poi- sussultando per il terrore- non riconobbi alcune parole che mi lasciarono pietrificato; sennonchè mi ricordai di certe lunghissime traduzioni che avevo eseguito per scrivere alcuni articoli di antropologia e di storia antica nella «Revue des Deux Mondes».
I

nfatti,il vecchio Elihu Whipple stava parlando in francese,e le poche parole che riuscivo a capire sembravano riferirsi ai più foschi miti che avesse mai pubblicato quella famosa rivista parigina.
Improvvisamente, la fronte del dormiente sì imperlò di sudore ed egli balzò bruscamente in piedi, non del tutto sveglio. I sussurri in francese divennero un grido in inglese, con la voce rauca, mio zio prese a gridare concitato:« Soffoco! Soffoco!» Poi si svegliò del tutto,la sua faccia riassunse un'espressione normale,e mi afferrò la mano cominciando a descrivere un sogno di cui riuscii solo a comprendere l'intimo significato impazzendo per il dolore.
Disse che era passato da una serie di immagini normalissime a una scena la cui stranezza non rassomigliava A nessuna delle cose che aveva studiato. Apparteneva a questo mondo ma, in un certo senso, non gli apparteneva: era una confusione indistinta di geometrie nella quale si potevano rintracciare alcuni elementi familiari ma mischiati in combinazioni del tutto aliene conturbanti. Stranissimi quadri disordinati si sovrapponevano l'uno all'altro, in una disposizione in cui i princìpi del tempo e dello spazio si dissolvevano mischiandosi nel modo più illogico. In quel vorticoso caleidoscopio di immagini,apparivano delle istantanee- se si può usare questo termine- di un genitore eccezionale,ma di una eterogeneità impressionante.
Un momento pensava di trovarsi in un pozzo senza fondo, in compagnia di una folla di volti rabbiosi incorniciati da fitti riccioli e coperti da cappelli a tre punte che si abbassavano su di lui. In un altro momento gli sembrava di trovarsi di nuovo all'interno di una casa che sembrava molto antica, il cui arredamento e in cui abitanti cambiano in continuazione, cosicché non era mai sicuro delle facce e del mobilio, o della stanza stessa: le porte e le finestre poi fluttuavano e mutavano più degli oggetti presumibilmente mobili. Quello che stava per dirmi su gli abitanti di quella casa era molto inquietante, ma anche imbarazzante. Esitando, tenendo quasi di non essere creduto, dichiarò che quelle strane facce mostravano inequivocabilmente i tratti della famiglia Harris. Aggiunse, inoltre, che aveva trovato una specie di sensazione di soffocamento, come se una presenza penetrante si fosse diffusa nel suo corpo cercando di impossessarsi dei suoi organi vitali.
Tremai al pensiero di quegli organi vitali, malandati com'erano dopo 81 anni di funzionamento, in lotta con forze sconosciute che anche un organismo molto più giovane avrebbe dovuto temere.
Ma poi mi dissi che i sogni sono soltanto sogni, e che quelle spaventose visioni erano state certamente provocate dalla tensione che le ricerche e le aspettative dei giorni passati ci avevano causato.
Anche la conversazione fece dileguare la mia inquietudine, e quindi cominciai ad arrendermi al sonno. Lo zio sembrava perfettamente sveglio, e fu lieto di fare il suo turno di guardia anche se l'incubo non gli aveva consentito di dormire bene.
Appena mi prese il sonno, che fu istantaneo, venni ossessionato da sogni raccapriccianti. Nelle mie visioni provavo una solitudine cosmica e abissale, e da ogni parte della prigione in cui ero rinchiuso provenivano delle ostilità nei miei confronti. Mi sembrava di essere legato e imbavagliato, perseguitato dagli urli roboanti di lontane moltitudini assetate del mio sangue. Poi vidi il volto di mio zio che si avvicinava mentre venivo dilaniato dall'angoscia, e ricordo le mie inutili lotte e il disperato tentativo di gridare.
Non era certamente un sogno piacevole, e fui quasi felice di essere ridestato da un urlo che mi sottraeva alle barriere del mio sogno e mi gettava in uno stato di consapevolezza agghiacciante in cui ogni oggetto che si trovava davanti ai miei occhi si sbagliava con una realtà e un nitore soprannaturali.

LA CASA STREGATA -[(HOWARD P. LOVECRAFT)]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora