Aveva aperto gli occhi bruni e spostato lo sguardo verso l'unica finestra presente in quel piccolo monolocale: il sole filtrava attraverso le tende di cotone azzurro e la sua bocca si tese in una linea sottile – che non assomigliava né ad una smorfia né ad un sorriso.
Con le dita accarezzò il volto rilassato del ragazzo dormiente al suo fianco e spostò le gambe intrecciate a quelle dell'altro alla sua sinistra, che mugugnò qualcosa d'incomprensibile.
Hermione si alzò a sedere e si passò una mano tra i capelli cortissimi, ora privi di ricci. Privi di un passato.
« Sei sveglia » bisbigliò Theodore alla sua sinistra, sbadigliando vistosamente e fissandola con gli occhi blu notte ancora socchiusi dal sonno.
Hermione si sporse verso destra, dove dormiva Abrahm, e afferrò il pacchetto di sigarette sul comodino di cedro scuro; se ne accese una con espressione indifferente e Theo sorrise, stiracchiandosi languidamente.
« Prima o poi lo strozzerai nel sonno, se continui a buttargli il fumo in faccia » borbottò, indicando il volto rilassato del biondino totalmente ignaro delle voci che lo punzecchiavano di primo mattino.
Hermione sorrise, baciando delicatamente Abrahm sul capo – dove una cascata di capelli biondi gli copriva il volto deturpato da una sola e lunga cicatrice sulla guancia fino alla bocca carnosa.
« Geloso, Nott? » sogghignò la ragazza, scavalcando il corpo di Abrahm e scivolando via dal letto, mostrandosi in intimo senza alcuna vergogna.
Theo sospirò, sistemandosi meglio sotto le lenzuola: in realtà era impossibile non essere gelosi di quella bocca piena di speranze morte e sospiri spaventati; non si poteva non essere gelosi di quelle gambe pallide e snelle, di quegli occhi bruni privi di bene – privi d'amore – e vuoti. E suoi.
E tristi e lontani, così tanto da essere inafferrabili.
« Sta zitta » sospirò, socchiudendo lo sguardo e strappandole un risolino frivolo.
Era di spalle e sembrava che la spina dorsale fosse disegnata sulla sua pelle pallida; sembrava che potesse squarciarle la carne e uscire fuori, bucandola.
Hermione rovesciò il capo verso la finestra e sogghignò in un modo così cattivo che gli mise i brividi: i suoi occhi s'illuminarono di una luce così perversa che – in un certo senso – quasi lo eccitò.
« Abbiamo visite » miagolò, afferrando di volata la bacchetta sul bancone della cucina alle spalle del letto. Sembrava così accelerata che a malapena si accorse degli occhi di Abrahm che si spalancarono improvvisamente e le labbra di Theodore che si stringevano.
« Sento puzza di vampiro » sibilò il ragazzo dai capelli biondi, sfilandosi un pugnale dai boxer neri.
Theodore fischiò.
« Cazzo, tu sì che sei un duro! Dormi con un pugnale nelle mutande! » ironizzò Nott, spaparanzandosi ancora di più sul materasso cigolante.
Abrahm si rigirò la lama tra le dita prima di lanciare il pugnale dritto nella spalla della donna che era appena apparsa sull'uscio della porta. Questa cadde in ginocchio ed Hermione ridacchiò – prendendo letteralmente fuoco.
« Che l'inferno ti geli l'anima, Ignis! » urlò, mostrando i canini affilati e gemendo per il sangue nero che defluiva a fiotti dalla ferita.
Theodore sbuffò, afferrando il pacchetto di Hermione e accendendosi una sigaretta senza muovere un solo muscolo: non che tutta quella zolfa non gli interessasse, quello era chiaro, ma sapeva bene che a quei due piaceva divertirsi...quindi perché rovinare quella festicciola improvvisa?
« Invece a te non piacerebbe che l'inferno ti bruciasse interamente, non è vero, amore? » bisbigliò Hermione, inginocchiandosi dinnanzi a lei e sporgendosi con la bocca verso la vampira – che soffiò come un gatto, strappandole una risatina divertita.
« Allora, mi dici chi ti ha mandato o devo fartelo urlare? » continuò la ragazza, mentre Abrahm lasciava che la bocca si tendesse in un sorrisetto subdolo.
La vampira, in risposta, le sputò in faccia.
« Devo fartelo urlare, ho capito » sibilò Hermione, alzandosi di scatto e facendo un cenno con il capo ad Abrahm – a cui brillarono gli occhi per il divertimento.
Afferrò la donna per le braccia e la sbatté sul ripiano della cucina con così tanta violenza da sentire le ossa della schiena scricchiolare.
« Cosa diavolo... » ansimò la donna dai lunghi capelli neri, spalancando gli occhi rossi in un espressione di puro terrore.
Hermione sorrise nel sentirla squittire come un topolino intrappolato da un gatto e afferrò la boccetta contenente liquido trasparente sul lavello della piccola cucina di quel monolocale nei pressi di King's Cross.
« Angelique, oltre ad essere un Ignis, era anche un alchimista; credeva fermamente in quello che faceva e certi periodi restava sveglia per settimane nell'intento di portare a termine una pozione.
Quella che ti sta girando in circolo, tesoro, è stata la sua ultima invenzione » sussurrò Hermione, rigirandosi la boccetta tra le dita e avvicinandosi lenta – come se stesse giocando.
Come se si stesse divertendo nel vederla spalancare le fauci e non poter ferire, nel muoversi e non poter usare la sua forza e la sua velocità soprannaturale.
Era uno sporco essere umano come loro. Un inutile formica nelle mani di due bambini particolarmente pestiferi.
« In poche parole, Hermione sta cercando di dirti che ti conviene parlare, perché il tuo sangue ora non ti proteggerà » borbottò Abrahm e – come dimostrazione – strappò il pugnale dalla sua spalla, ridacchiando nel sentirla urlare come un invasata.
« Mi hanno detto che... che c'era una donna qui. Una donna che non avrebbe dovuto esserci; un fantasma » annaspò sul ripiano, mentre Hermione arricciava le labbra in una smorfia disgustata.
Theodore si alzò di poco nel sentirla stringere così tanto i denti da poterli sentire scricchiolare e avvertì più pericolo in quel gesto che nelle più potenti delle maledizioni.
Quella donna aveva appena dichiarato la sua condanna a morte.
« Quanti ne siete? » bisbigliò Hermione, abbassandosi su di lei e arrivando a pochi centimetri dalla sua bocca.
Respirò il veleno che espirava quella maledetta e salì a cavalcioni su di lei in una posizione che fece arrossire Abrahm.
« ... Di cosa stai parlando? »
Mossa sbagliata: Hermione avvampò le fiamme che l'avevano circondata fino a quel momento e abbracciò la donna sul ripiano, che urlò dal dolore.
Lingue di fuoco le avvolsero il corpo, ma non s'incenerì: sentì solamente la pelle ardere e il dolore quasi divorarla; era come se le ossa l'implorassero di piegarsi e il cuore volesse scoppiarle nel petto.
Batteva. Il suo cuore, dopo novant'anni di staticità, ora batteva.
« Ti ho chiesto quante persone sono venute con te, stronza » mormorò Hermione, mentre Abrahm e Theodore s'infilavano velocemente pantaloni e maglie e abbordavano armeria per quella che si prospettava una giornata movimentata.
« Dieci umani e quattro vampiri » strillò la vampira quando Hermione le appoggiò una mano infuocata sul volto – sfregiandola.
Le tagliò la testa. In modo semplice e netto, lasciando che sangue rosso scuro le macchiasse il volto pallido senza assumere espressioni di sorta; non l'aveva nemmeno lasciata finire la frase che il suo capo era rotolato oltre il ripiano della cucina, ruzzolando sul pavimento dalle piastrelle bianche.
« Muovete quei culi – quei bastardi sono qua » sbottò Hermione, infilandosi di volata un paio di pantaloni di pelle e una maglia di cotone nera.
Quegli idioti usavano ancora gli stessi trucchetti, nonostante quel bastardo di Alek fosse morto e stramorto e la cosa che la faceva incazzare di più era che – nonostante li avessero sterminati – erano ritornati al punto di partenza.
Cazzo, cazzo, cazzo!
« Che bruciassero vivi » sibilò astiosa, poggiandosi una spada d'acciaio sulla spalla e infilandosi la bacchetta nella tasca posteriore dei pantaloni.
Abrahm arricciò il nasino per l'odore nauseante che cominciava ad imputridire la stanza e osservò prima il letto ancora sfatto e poi la cucina di cedro scuro macchiata di sangue.
La porta venne scardinata e crollò con un tonfo sordo sul pavimento, senza sorprenderli. Indossavano la stessa maschera di quando avevano raso al suolo il castello della consorella più anziana delle Ignis.
Purificatori, che lasciavano solamente polvere al loro passaggio: quegli esseri indegni sarebbero dovuti stare tutti sotto terra.
Theodore annaspò quando lo spezzone del volto di Asteria e Daphne gli balzò agli occhi – crudele e improvviso; i loro sguardi spenti gli rapirono di colpo il respiro.
« Sei tornata » mormorò l'uomo al centro, con una voce roca e bassa.
Aveva i capelli castani coperti da un cappuccio nero come l'onice ed Hermione alzò il volto verso il soffitto: un vampiro di fianco all'uomo gemette quando vide il corpo della compagna riverso in un angolazione strana per esseri come loro, portandosi una mano alla gola.
« Siete vivi » bisbigliò Hermione, mostrando il collo liscio e sottile solcato da una vecchia cicatrice biancastra.
Abrahm sospirò e una nuvoletta di vapore uscì dalla sua bocca carnosa: gli uomini mascherati si guardarono attorno, allibendo nel constatare che grosse stalattiti di ghiaccio cominciavano a formarsi sul soffitto, sui muri.
« Anche tu lo sei » sibilò una voce più dolce – di donna – mentre un corpo magro e sottile si faceva avanti tra tutte quelle figure.
Hermione ridacchiò, passandosi una mano tra i capelli cortissimi: quanto odiava chiacchierare quando avrebbe voluto solamente fare piazza pulita.
« Io credevo che le streghe rosse fossero, appunto, solo streghe! » sbottò l'uomo al centro, fissando Abrahm sconvolto.
Questo sorrise e un tuono fece tremare le fondamenta di quel palazzotto alle spalle della stazione: Hermione mosse i fianchi e la terra sotto i loro piedi s'incendiò, sciogliendo il ghiaccio e immobilizzando i vampiri dal terrore.
« Comincio ad arrabbiarmi » sussurrò, ciondolando il capo con una smorfia sulla bocca rossa.
Abrahm ridacchiò e Theodore assottigliò lo sguardo. Conosceva abbastanza Hermione da sapere che si stava per scatenare l'inferno e non sarebbe stato affatto dolce.
« Io vado a comprare le sigarette » borbottò Nott, smaterializzandosi con un "ciaociao" verso i Santi, come se l'affare non fosse suo.
Abrahm si sgranchì le ossa del collo, flettendo le dita lentamente: il ghiaccio che si era sciolto sotto il potere di Hermione scoppiò letteralmente – come se avesse avuto una scarica elettrica – e qualcuno urlò.
La parete alla sua destra saltò ed Hermione si materializzò ad un centimetro dalla bocca dell'uomo al centro di quel plotone d'esecuzione... quell'uomo che l'aveva sottovalutata, che credeva ancora che lei non fosse in grado di renderli cenere.
« Salutami il tuo capo, quando lo vedi » mormorò, senza muoversi di un millimetro quando una trave di ferro si accasciò alle sue spalle – facendo tremare il terreno e alzando mattonelle su mattonelle.
Poi fu fuoco e fiamme.
Le lenzuola, le tende e la cucina presero fuoco e un boato investì i vampiri in pieno, rendendoli misera cenere in quella bordata di fiamme violastre e rosse, quasi inquietanti.
Il sole che ora attraversava il salone era adombrato completamente dal fumo e dalla polvere che Abrahm aveva alzato con tutto quel casino ed Hermione afferrò l'uomo per il collo, facendolo urlare dal dolore.
Sentì alcune vesciche sotto i calli delle mani e sorrise, facendo un movimento brusco con le braccia e spezzandogli il collo con un gesto secco.
« No, no! » sentì urlare qualcuno, ma era già partita: il fuoco oramai sovrastava ogni cosa e sembrava simile ad un serpente divoratore; la stanza era irriconoscibile e alcuni corpi correvano in cerca di salvezza.
« Andiamo via » sussurrò Abrahm al suo orecchio, abbracciandola da dietro e stringendosela al petto come un neonato.
Nonostante fosse più piccolo di lei, riusciva a contenerla tutta, come una bambina.
Hermione si accasciò contro di lui e si smaterializzò fuori dal monolocale che avevano affittato per un paio di giorni – il tempo giusto che avevano stabilito prima di presentarsi davanti alla porta di Harry.
La strada era ghermita di persone e tutte osservavano il terzo piano di quel palazzo, di primo acchito, anonimo – ora completamente avvolto dalle fiamme.
Theodore era poggiato con le spalle contro un tabacchino e li fissava da lontano come se li avessi individuati immediatamente – come se li avesse sentiti – come se avesse un radar per visualizzarli.
Aveva una sigaretta tra le labbra e gli occhi più vuoti di prima.
« Potevate fare meno casino » sbuffò Theo quando si avvicinarono abbastanza da poterlo sentire.
Hermione – ancora abbracciata di spalle ad Abrahm – gli buttò le braccia al collo.
« Perdonami, amore » sussurrò, prima di materializzarsi in quella posizione che non era affatto equivoca per loro.
In sei anni, Hermione aveva imparato a vivere quelle due persone completamente diverse: Theodore, che era comparso un giorno alla sua porta – ferito a morte dentro e fuori.
Le aveva chiesto aiuto, quasi morente, e lei lo aveva curato senza mai chiedergli nulla in cambio; quando lui si era ripreso abbastanza da camminare con le proprie gambe le aveva chiesto di poter imparare ad essere forte.
A poter proteggere e proteggersi.
Hermione l'aveva accolto in casa sua e gli aveva insegnato quello che aveva imparato – e lui le aveva insegnato a dimenticare.
Hermione amava Abrahm e Theodore in ugual modo, senza distinzioni.
Abrahm perché aveva avuto un passato che non conosceva, ma che l'avevano reso cauto, sensibile e sadico. Ma ad Hermione eccitavano le espressioni che Abrahm adottava durante un conflitto o una piccola battaglia. E Theodore perché era calmo, sereno e sedava i loro istinti.
« Hermione! » ruggì Theodore, quando si staccarono e il risucchio della materializzazione finì.
La guardò con gli occhi incendiati ed Hermione sorrise, sfiorandogli la bocca con la propria.
« Ti avevo detto che non volevo! » strillò furioso, infilandosi le mani nei capelli e ignorando Abrahm – che aveva tossito per attirare la sua attenzione.
Lo fucilò con lo sguardo, intimandogli di stare zitto e quello fece spallucce, come a volergli dire "vabbè, cazzi tuoi!".
« Theodore... »
« Non volevo vederli, non voglio vederli e tu – come sempre – hai fatto di testa tua! » continuò Theodore, zittendo i richiami della ragazza e il fatto che ancora non vedesse niente. Nemmeno che si trovava avvolto dal silenzio per essere fuori ad una porta. E anche che non tirava un filo di vento per esserci.
Merda.
« Perché cazzo mi ritrovo dei fantasmi in casa mia? »
Pansy Parkinson in Potter spalancò un sorriso da iena che s'addiceva perfettamente al suo animo da ex Serpeverde, assottigliando gli occhi nella loro direzione – che quasi si ritirarono dalla vergogna.
Aveva le gambe snelle denudate appena da una gonna bianca – che le arrivava sotto il ginocchio – e i tacchi alti incrociati sul tappeto persiano ai piedi del divano di pelle nera, dov'era seduta da quando erano arrivati e intenta ad osservare quello strano teatrino.
Theodore la guardò, impassibile e maledì Hermione in tutte le lingue del mondo: non era cambiata, tranne per alcuni particolari che la rendevano più solare, quasi più viva e questo quasi lo riportò indietro nel tempo. Ad Hogwarts e i suoi capricci. Ad Hogwarts e i suoi sorrisi.
I capelli neri, ora, le arrivavano oltre la schiena ed erano lisci come la seta, Theo li ricordava bene. Scivolavano bene tra le dita, quando li si accarezzava e profumavano di passato e cioccolato. Di veleno e vaniglia.
Tra le braccia coperte da uno scialle di perline c'era un neonato che s'intravedeva appena, ma che lei stringeva come un ancora – come se fosse arrabbiata – come se avesse bisogno di un appiglio per sorreggersi.
Aveva gli occhi color d'ossidiana truccati di nero che li fissavano quasi con astio e la bocca tesa in una linea sottile. E stava allattando il piccolo.
« Ciao Pan » mormorò Theo, grattandosi il capo imbarazzato.
La donna staccò il neonato dal seno e si coprì con un gesto stizzito, alzandosi di scatto dal divano e lasciando fluire la gonna dietro di sé come un velo impalpabile; aveva il volto smagrito, ma la bocca piena di sorrisi.
Lei era rimasta e aveva vinto.
« Maram! » urlò Pansy, ignorandolo volutamente e richiamando ad alta voce la donna che si materializzò al suo fianco.
Era una ragazza indiana dalla pelle scura e una treccia lunga che le arrivava oltre le spalle – e scattò sull'attenti quando lei le porse il piccolo.
« Porta Daphne di sopra e insonora la stanza, te ne prego » mormorò con un sorriso rassicurante, mentre Maram afferrava dolcemente la piccola e usciva velocemente dalla stanza.
Theodore sentì il cuore spezzarsi a sentir nominare Daphne e indietreggiò, come se Pansy gli avesse appena rifilato uno schiaffo.
« Questa è casa mia » disse con calma apparente, mentre Abrahm si guardava attorno: era una gran bella casa, a dire il vero.
Una villetta contornata da un giardino grosso e verde – ben curato – con tanto di altalene e giochi per bambini; il salone era grande e spazioso e c'era un pianoforte a coda accanto all'immensa porta-finestra che dava sul giardino.
La libreria prendeva tutta la parente alle loro spalle insieme ad un camino di mattoni – incastrato in mezzo al legno e i libri perfettamente.
« Pansy... » cercò di parlare Theodore, venendo interrotto da un gesto furioso della donna, che si circondò con le braccia.
Come se volesse proteggersi. Come se volesse infondersi calore da sola.
« E sai come si chiama, questa casa? La Happy House, Theodore e lascia che te lo dica, nella vostra venuta non c'è nulla di felice! » urlò, passandosi furiosamente una mano tra i capelli.
Abrahm sobbalzò, guardandola con tanto d'occhi.
« Ma questa non era la vostra migliore amica? » bisbigliò all'orecchio di Hermione, immobile al suo fianco.
« Draco, Harry e Ron sono stati male in questi anni e voi ve ne siete strafregati!
"Torno presto" o "Vi voglio bene" non era abbastanza per qualcuno che aveva vissuto con voi per sette anni, condividendo la propria vita con la vostra; erano inconsolabili e voi gli avete spezzato il cuore » e l'ultima frase la sussurrò, crollando seduta sul divano con il capo tra le mani.
Theodore indietreggiò ancora, ma Hermione rimase immobile: sembrava che quelle parole non l'avessero sfiorata nemmeno di striscio.
« Siamo ritornati solo perché i Santi sono in circolazione, Parkinson. Non farti saltare le coronarie » disse Hermione, mentre Pansy la metteva a fuoco a malapena.
E scoppiò a ridere, scuotendo il capo.
« Chi abbiamo, qui, hm? Hermione spaccacazzi Granger? » disse divertita, alzandosi dal divano e ignorando lo scatto nervoso di Abrahm – che affiancò Hermione in un attimo.
« Per caso hai paura che ti rubi il fidanzato, Pansy? » sogghignò Hermione, sorridendo quando la donna dai capelli neri le mostrò l'anulare sinistro.
C'era una fascetta d'oro doppia sulle sue dita da pianista, con le unghia perfettamente curate e smaltate di rosso.
« Marito, Granger. E credo che tu abbia già due gatte da pelare o sbaglio? » ridacchiò, indicando con il capo Abrahm e Theodore.
Abrahm rise – soddisfatto – e l'altro si grattò il capo, distogliendo lo sguardo per l'imbarazzo.
« Con chi faccio sesso sono affari miei » sbuffò Hermione, incrociando la braccia al petto e fissandola con un sopracciglio alzato.
« Il ragazzino posso capirlo... se non avessi due figli c'avrei fatto un pensierino, ma Theodore?
Fate anche le orge? » mormorò Pansy, disgustata – scuotendo il capo nel pensare a Draco.
A Draco, che aveva pianto lacrime amare quando lei era andata via. E lei come ricambiava? Ritornando dopo sei anni con Theodore – creduto scomparso, che dalla morte di Asteria e Daphne non si era più visto e che tutti loro credevano morto – e l'altro.
Quel bambinetto con la faccia sfregiata e lo spirito da guerriero, che sembrava non farcela a star fermo... sembrava che fosse nato per combattere. Per vincere.
« Chi è che fa le orge? »
Pansy gelò, immobilizzandosi al centro della Sala ed Hermione strinse la bocca – rendendola un unica e linea sottile.
Draco Malfoy ed Harry Potter, sporchi di fango e con i capelli ritti in testa, fissavano la scena con gli occhi spalancati.
Abrahm ridacchiò.***La cucina della Happy House sembrava uscita da uno dei cartoni animati Disney che Hermione – da piccola – guardava insieme alla sua mamma: le vetrate su tutta la fiancata destra mostravano il verde di fuori, come nel salone e il lampadario a gocce di cristallo creavano giochi di luce e ombra, mostrando immagini fugaci e inesistenti.
Il tavolo era lungo e di cedro scuro e i quadri appesi alle pareti li fissavano curiosi – come se non avessero mai visto le foto sui mobiletti, dove lei era sempre presente. Dove lei salutava e sorrideva come se non ci fosse mai stato un domani; il pavimento era di marmo bianco e sembrava brillare così bene, in un modo quasi perfetto.
Il soffitto mostrava il cielo fuori, come quello di Hogwarts ed Hermione represse a stento un singhiozzo.
« 'Fanculo! » Harry sbatté la spada che portava alla cintola sul tavolo, facendosi fucilare da un occhiata raggelante di Pansy – che sibilò indispettita.
Hermione, come Abrahm e Theodore, non si mosse di un millimetro.
« Tra poco rientreranno James e Teddy, quindi modera i termini » sibilò la donna di casa, accavallando le gambe sotto il tavolo e zittendo il marito con un tono deciso.
Questo si passò una mano tra i capelli disastrati, coprendosi gli occhi con le mani chiuse a coppa: non ci credeva. Non voleva crederci.
Lei, dopo sei anni di silenzi, di paure, di angosce, era ritornata. Era ritornata con Theodore – che era sparito improvvisamente, senza dire nulla, senza avvisare nessuno.
Con che faccia ora riusciva a guardarlo negli occhi? Con quale animo?
« Pensavo fossi morta » lo interruppe Draco, prima che potesse riaprire bocca e dire altro.
Un silenzio tombale scese sul salone; Hermione sospirò, socchiudendo gli occhi bruni e stanchi – illividiti. Con le dita si toccò la ferita fresca sul capo, dove una settimana prima aveva tolto i punti dopo che Theodore l'aveva spinta senza volerlo per le scale.
« Tante volte l'ho creduto anche io, ma no, sono viva.
Non posso giustificare questi sei anni di assenza, non ci sono scusanti né eventi che mi hanno impedito di ritornare a casa. Non posso dirvi che magari una brutta malattia mi ha impedito di alzarmi dal letto o che gli allenamenti si sono protratti per così tanto tempo » cominciò, mentre Abrahm socchiudeva gli occhi e Theodore si passava una mano tra i capelli neri.
Draco sentì il cuore schiantarsi letteralmente contro lo sterno – quasi facendosi in mille pezzi per filtrare tra le ossa e diventare niente.
« Ho imparato a dominare i miei poteri dopo tre anni all'accademia, ma le ricerche si sono protratte per altri due anni e a quel punto non potevo ritornare » mormorò, fissando Abrahm alla sua destra che fissava il soffitto con la mente altrove.
Con la mente – magari – al castello distrutto, alle ricerche che li avevano portati a girare il mondo; all'Africa al sud America, all'Italia alla Russia. Alle ferite che si erano procurati, alle urla nelle battaglie e ai sussurri nei letti improvvisati.
« Perché? » sussurrò Draco, strappandole il respiro.
Da quanto tempo non lo vedeva? Da quanto tempo fissava la sua foto di nascosto e si chiedeva come fosse cambiato e con chi condividesse ora il cuore – l'anima – il respiro?
Ora aveva i capelli più corti sul capo e più biondi di come li ricordasse: gli occhi grigi erano meno attenti, ma forse più sofferenti, come quando ancora dovevano scoprire il piacere di perdersi nei propri occhi e di fare l'amore per ore e ore senza mai stancarsi.
« Perché io sono cambiata, voi siete cambiati e mi ero persa tutto quello che mi ero ripromessa di non perdermi.
Ho visto cose che hanno cambiato la mia ottica di vedere le cose: magia nera usata come benigna e quest'ultima usata in modo maligno; voi non sapete ed è meglio così.
Voi avete una casa – una famiglia. Voi ora conducete una vita normale.
Io di normale non ho visto nulla » rispose Hermione, sorridendo amara nel ricordare quello che aveva passato.
Nei bambini che aveva visti riversi al suolo, del sangue con cui si era sporcata le mani per sopravvivere.
« Le consorelle si nascondono nei posti più impensabili. Gli danno la caccia.
Ci danno la caccia. E' come il settecento – ma questa volta le streghe siamo noi e siamo esseri umani.
Ci stanano come animali e ci torturano come fossimo Satana in persona! » sputò velenosa, mentre Harry si toglieva gli occhiali dal naso e si stringeva il ponte del naso tra indice e pollice.
In così tanti anni aveva pensato così tante cose... aveva subito così tanto dolore e ora sentire quelle parole gli si spezzava il cuore; non era mai ritornata, come aveva promesso e ora gli diceva che era scappata. Che aveva dovuto nascondersi come una preda stanata dal cacciatore.
E ora se la ritrovava davanti completamente diversa: gli occhi spenti, scavati – il volto pallido, simile ad uno scheletro, come se non mangiasse da mesi e non ne risentisse affatto; i capelli cortissimi, con solo la frangetta come frivolezza. E magra, magra come un chiodo.
« Mi hanno dato una missione e io dovevo fare in modo di portarla a termine » terminò, arcuando il collo e mostrando una parte di un tatuaggio che partiva sulla nuca e andava verso il basso – come una spirale che scendeva giù, verso la spina dorsale.
« Bella missione di merda » sussurrò Draco, venendo fulminato da Pansy e strafregandosene alla grande. Al diavolo i bambini e il resto!
Hermione... Hermione era tornata ed era lì, a pochi passi da lui – immobile e seduta tra due uomini.
Non aveva mantenuto la promessa, non era tornata per lui e né si era fiondata tra le sue braccia: lei a malapena lo guardava ed era un altra persona. Non lo amava più.
O forse non lo aveva mai amato.
« Me ne frego delle missioni che ti hanno affidato quelle svitate prendi-fuoco, tu dovevi farti viva. L'avevi promesso! » sbraitò Harry, accendendo più di una miccia.
Perché se Hermione rimase immobile, Abrahm saltò su' con gli occhi azzurri spalancati dalla rabbia. « Non osare, bambino sopravvissuto. Non osare » sibilò, puntandogli il pugnale contro e facendolo incazzare come una biscia.
« Io oso eccome, moccioso! » sbottò, abbassandosi allibito quando quel bambinetto gli lanciò la lama contro – che andò a conficcarsi nella parete alle sue spalle.
« Voi maghi mi state tutti sulle palle. Sembrate avere il mondo tra le mani... sembrate avere tutto e poter essere tutto, ma in realtà siete solo un branco di cazzoni che si puntano dei bastoncini contro » sussurrò Abrahm, spostando il capo quando una luce rossa cercò di colpirlo – sfiorandogli a malapena il volto.
Theodore alzò gli occhi al cielo. « Magari che sei un Babbano potevi dirlo dopo, eh? » sospirò, scatenando un putiferio peggio del loro arrivo.
« Che cazzo ci fa' un Babbano in casa mia? E perché, santo Salazar, conosce la nostra esistenza? » urlò Pansy, alzandosi di scatto e lasciando cadere la sedia alle sue spalle – che si accasciò con un tonfo.
Hermione sospirò.
« Lui è come me. E ora sedetevi tutti, sta arrivando qualcuno » mormorò l'ex Grifondoro, afferrando la mano di Abrahm e spingendolo fino a convincerlo a sedersi al suo fianco.
Gli baciò delicatamente le nocche, accorgendosi che tremava appena e si portò la sua mano alla guancia – sorridendo a piene labbra per rassicurarlo.
« Mi amor, cálmate » bisbigliò in spagnolo, accarezzandogli i capelli e facendo attorcigliare le viscere a Draco.
Abrahm annusò l'aria e strizzò gli occhi, allibito « Un manipolatore. Un piccolo manipolatore » disse, facendo rizzare Pansy sulla sedia.
« Sta arrivando James! » e non finì nemmeno di pronunciare quel nome che cinque nanetti apparvero sulla soglia – terrorizzando Hermione.
Un bambino di un metro e venti dai capelli neri e gli occhi grigi alzò gli occhi su di lei, studiandola – ma con espressione grave. Con lo sguardo di un adulto che le mise i brividi.
« Sei tornata, zia » mormorò pacifico, andandole incontro e lasciandoli tutti di stucco.
James aveva undici anni e ricordava ancora il volto di Hermione come se l'ultima volta che l'avesse vista fosse stato ieri: non portava rancore – lui poteva sentirla. Era come essere nella sua testa e respirare ogni suo pensiero.
Hermione era così triste e arrabbiata da trasmettergli un angoscia che gli mise la pelle d'oca. Le baciò una guancia, sorridendole e dandole il benvenuto come non avevano saputo fare i grandi.
Perché tutti avevano acconsentito a lasciarla andare, ma nessuno aveva accettato quell'arrivederci così lungo. Il fatto che lei li avesse abbandonati per... per se stessa.
Come non aveva mai fatto.
« Mi corazón » disse Hermione, facendolo sedere sulle proprie gambe e abbracciandolo stretto, sorridendo nel vedere di essere ampiamente ricambiata.
« Anche a lui sei mancata »
La Granger scoppiò a ridere, poggiando il mento sul capo del ragazzino e scuotendo il capo: ora ricordava perché sei anni prima adorava James; lui sapeva sempre cosa dirle e quando. E le fece l'occhiolino, rassicurandola.
Anche a lui sei mancata.
Chissà se era davvero così. Chissà se veramente era mancata a Draco come era mancato lui a lei; sentiva i suoi occhi di fuoco addosso e desiderava solamente buttargli le braccia al collo e dirgli che non era cambiato nulla.
Che lo amava, forse anche più di prima. Solo che questa volta non poteva salvarlo.
Questa volta aveva bisogno di essere salvata.
« Ma quella non è la fidanzatina dello zio Drago? » sibilò una vocetta perfida, facendo sbiancare Draco e sobbalzare Hermione, che rovesciò il capo verso due... tappi.
Quello che aveva parlato non era alto nemmeno un metro e sorrideva a tutto spiano, sbattendo gli occhioni blu tutto dolce; aveva una massa di capelli neri e la pelle color moka... « Ma sì, ricordo che una volta mi disse che ci aveva fatto il kama... non ricordo come si dice » continuò a cinguettare, facendo sputare tutta l'acqua che Pansy stava bevendo in faccia a Theodore – che si strozzò con la propria saliva.
Draco stramazzò al suolo, svenuto.
« Lo zio è morto. E comunque dice papino che si chiama "kamasutra", Noah » cinguettò una seconda voce, attirando l'attenzione di Hermione.
La bambina che aveva parlato stava calciando con le scarpine di ottima fattura il corpo di Draco e quando alzò gli occhi capì immediatamente chi era.
I capelli erano legati in una lunga treccia ed erano scuri, ma Hermione – alla luce del lampadario – riusciva a cogliere perfettamente alcune sfumature rossastre; gli occhi erano di un azzurro chiarissimo ed erano così grandi che l'ex Grifondoro vi ci perse per qualche secondo.
La pelle era mulatta, il nasino minuscolo – come quello del fratello gemello – e la bocca carnosa.
« Perché non mi aspettavo niente di diverso dai figli di Blaise? » sbuffò Hermione, camuffando una risata.
Hope e Noah ridacchiarono e James scosse il capo.
« Perché sio è un maiale » sbottò Ted, apparendo alle spalle dei due fratellini con i capelli di un intenso viola.
« MA DOVE LE SENTITE QUESTE PAROLE? » strillò Pansy, con tutti i capelli ritti in testa e rischiando il collasso.
Abrahm represse a stento una risatina.
« Papà Harry lo dice sempre »
« HARRY! »
No, Hermione non poteva aspettarsi una famiglia diversa da quella.
Caotica e speciale, come lo erano sempre stati.
Dove lei non faceva parte.
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Lux mea - Quando l'amore supera la ragione
FanfictionSeguito di "Io sono di legno" Sono passati sei anni da quando Hermione Granger è partita - lontana dai suoi amici - per ritrovare le sue consorelle e in questi anni i Santi hanno tramato un ritorno con i fiocchi; dopo aver distrutto Hellfire, la dim...