Prologo

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Evelyn

Potrei tranquillamente considerarmi un ipocrita, se ammettessi che la mia vita non è perfetta. Sono invidiata da quasi tutta la popolazione Milanese semplicemente per il fatto di essere l'unica figlia, e sottolineo "unica", dell'illustre avvocato Grimaldi, famosissimo per le sue capacità lavorative e non solo. Peccato però, che io a differenza di tutta la popolazione, abbia una concezione differente della parola perfetta. Per loro una vita è perfetta quando si è considerati benestanti. Si dovrebbe analizzare a pieno questo termine, perché essere benestanti per me non significa avere tanti soldi ma stare bene con se stessi, ed io, non sto assolutamente bene con me stessa. Ho tutto. Una casa di proprietà, intestata da mio padre quando ho compiuto diciott'anni. Un conto corrente con una somma che vede ben cinque zeri al seguito, e che mi permetterebbe di non lavorare per il resto della mia vita. Un auto di ultimo modello, che mio padre mi obbliga a cambiare ogni anno inventandosi la scusa della mia sicurezza, quando la sua unica preoccupazione è: "cosa penserà la gente Evelyn? Sei la figlia dell'avvocato Grimaldi ed è giusto che tu sia servita e riverita". Potrei continuare con la lista delle cose che sono di mia proprietà, ma mi accorgo che l'unica difficoltà per me sarebbe quella di trovare qualcosa che mi manca. Parlo delle cose materiali, perché se dovessi illustrare tutte le cose importanti che in realtà mancano nella mia vita, quel maledetto elenco sarebbe infinito. La cosa che più mi manca è la libertà alla vita. Mi manca uscire con persone normali, che si vestono come una ragazza della mia età dovrebbe vestirsi. Mi manca l'affetto di un padre che invece pensa solo a se stesso, ma soprattutto mi manca il mio spazio vitale, dove potrei tranquillamente scegliere io stessa cosa fare della mia vita. Niente. E' ormai una battaglia persa in partenza.

Esco da una delle tante aule della prestigiosa Università Bocconi di Milano. Ho fatto il test per accedere qualche anno fa. Mi sono preparata tantissimo per superare la prova d'ingresso, ed ho sempre dato il meglio di me stessa per superare a pieni voti gli esami. Il mio obiettivo è sempre stato quello di farcela da sola, ma con un padre iperprotettivo e potente  come il mio, sono sicura che il merito di accesso al corso, sia stato leggermente forzato dalla magica potenza di un avvocato di fama nazionale. Dopo essermi laureata con il massimo dei voti consentitomi - e per il massimo dei voti intendo centodieci e lode - mi mancano pochi esami per specializzarmi in Economia e Managment delle istituzioni e dei mercati finanziari. Già, solo la lunghezza del corso di laurea mette timore ed ansia a chi mi sta davanti, per non parlare del fatto che ci vorrebbe una laurea a parte solo per pronunciarlo. Tranquilli, tutto fumo e niente arrosto. Oggi ho superato l'esame di diritto privato. Esame a mio avviso facilissimo, che però ho dovuto ripetere ben quattro volte. Non sono mai stata rimandata, mi considero abbastanza secchiona se mi permettete di utilizzare questo termine. Il problema di questo esame è sempre stato il voto, e non perché ci tenessi io. Non me ne può fregar di meno di un voto, ma perché mio padre non avrebbe mai digerito un risultato finale che si avvicinasse semplicemente al trenta. Mio padre ha sempre preteso tassativamente il trenta. Vi lascio immaginare l'espressione del professore e delle mie compagne di corso, quando per la bellezza di quattro volte, ho avuto il coraggio di rifiutare ben due ventotto e due ventinove. Perché, ce ne vuole di coraggio eh?!...ma niente, per le persone che mi circondano, sono semplicemente la "figlia viziata" dell'avvocato Grimaldi. Quella a cui non manca niente. La stessa che si veste firmata da testa a piedi, ma che da ben ventitré anni vive in un continuo stato di ansia e malessere psicofisico. Assorta nei miei pensieri non mi sono nemmeno accorta di essere arrivata alla mia auto. L'auto che mi riporterà all'interno di quelle immense mura che tanto detesto. Ultimamente mi sento spesso fuori dal mondo, o semplicemente cerco di fare del mio meglio per sfuggire dal mio mondo. Quel mondo, che non riesco ad amare nonostante l'apparenza lo renda divinamente perfetto.

Leonard

Sono invidiato da tutti i miei colleghi del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, perché sono il più giovane ad insegnare. Raccomandato. E' questo che pensano gli altri di me, che io sia un figlio di papà. È un argomento ormai costante. Si parla di questo lungo gli infiniti corridoio dello stabile. Se c'è una cosa che odio più al mondo è il pregiudizio della gente. Posso sopportare di tutto, ma non un giudizio affrettato da parte di perfetti sconosciuti. Mi riesce più che bene isolarmi da loro, in fin dei conti la mia cattedra prevede che debba concentrami su i miei alunni e non su i miei colleghi. Mi limito semplicemente a svolgere le mie ore professionalmente, e non lo faccio solo per lo stipendio, che puntualmente ogni ventidue del mese mi viene accreditato sul mio bancoposta da quattro soldi, ma lo faccio semplicemente per passione. La musica per me è sempre stata tutto. Mi piace considerarla l'unica mia ancora di salvezza. Non mi ha mai abbandonato durante questi lunghi e tortuosi anni della mia vita. So che non lo avrebbe mai fatto, a differenza di alcune persone che preferisco non ricordare e cancellare totalmente dalla mente.

Seduto dietro la mia cattedra, preparo alcuni esercizi per la prossima lezione di armonia. Sono molto bravo con gli accordi, e mi piace studiare bene il posizionamento delle note tra loro. Tutto questo, per stimolare la curiosità dei mie alunni ed incrementare il loro margine di apprendimento. In realtà sono un docente di pianoforte, ma data la mia "raccomandazione", come ben annunciano i miei colleghi, il direttore del Conservatorio ha deciso di affidare a me le tre ore settimanali della cattedra di armonia, aumentando così leggermente il mio stipendio base con il quale a malapena riesco a pagare l'affitto del mio bilocale. Mentre continuo la mia opera di composizione, qualcuno entra all'interno dell'aula e si avvicina alla cattedra. Da buon educato che sono, alzo lo sguardo verso la persona in questione, e mi accorgo che difronte a me vi è Susanna, la signora delle pulizie. È una donna sulla quarantina molto indiscreta, forse l'unica con la quale potrei andare d'accordo qui dentro. Ci salutiamo con un piccolo sorriso ed un lieve movimento della mano, dopo di chè entrambi torniamo a concentraci su noi stessi. È quasi un anno che insegno presso questo Conservatorio, e lei è l'unica che non ci prova con il sottoscritto dal primo giorno. Indosso apposta una fede al dito, ormai da anni, per far credere a tutti che sia sposato. In realtà non sono sposato, e di certo mai lo sarò. Quando mi chiedono il perché non venga la mia signora alle cene di lavoro, mi limito semplicemente nel dire che è una donna molto impegnata e cambio argomento subito dopo. Come una donna immaginaria possa essere impegnata non lo so... e no, permettetemi di dire che non ho problemi psicologici. La mia è solo una tecnica di autodifesa da quello che è il genere femminile. Genere altamente pericolo e che nuoce gravemente alla salute, peggio del mio adorato pacchetto di Marlboro Light da dieci, che finisco puntualmente ogni giorno. La questione è molto semplice. A me, le donne non interessano più da tempo. L'unica che mi interessava è andata via per sempre, e nemmeno la nostra musica riuscirà a farla ritornare...Mi fermo per un secondo. Osservando la mia mano, penso che quello che sto facendo è giusto. Un uomo della mia età, dopo tutto quello che ha passato durante gli anni trascorsi, deve essere solo orgoglioso di se stesso, perchè tutto quello che siamo lo dobbiamo solo a noi stessi....

L'unica sinfonia del mio cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora