CAPITOLO 3

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Non appena riprese conoscenza un forte odore di antisettico le penetrò nelle narici, riportandola bruscamente alla realtà. Era distesa su un lettino dell'infermeria della scuola, anche se più che infermeria era una stanzetta come le altre in cui al posto dei banchi c'erano alcuni letti, una scrivania di formica e un enorme armadio metallico con medicinali e bende nell'angolo vicino alla finestra . Tre facce la stavano osservando, ognuna con un diverso livello di preoccupazione.
Quando Stephanie si accorse che aveva gli occhi aperti, si precipitò su di lei strapazzandola come uno dei peluche che teneva su una piccola mensola della sua camera. -Oddio Jocelyn, mi hai fatto prendere così tanta paura!- esclamò, quasi soffocandola nel suo petto prosperoso. -Adesso stai meglio, vero?-
-Se tu mi lasciassi respirare forse riuscirei a risponderti..- mugugnò Jocelyn, liberandosi dal suo abbraccio e cercando di sistemarsi i capelli arruffati. In quel momento vide ai piedi del letto il viso sconosciuto di un ragazzo, che studiava con finta aria interessata il muro tenendo la testa leggermente inclinata verso destra.. Stephanie colse l'occasione per presentarlo con entusiasmo. -Jos, quello davanti a te è il tuo salvatore! Si chiama...-
Il giovane la interruppe, rivolgendo a Jocelyn un sorriso educato. -Adam, piacere. Comunque credo che la tua amica stia esagerando, ho fatto solo ciò che dovevo!- aggiunse, con una risata cristallina, arrossendo leggermente.
Steph tuttavia non era dello stesso parere. -Scherzi?! Avresti dovuto vedere com'è riuscito a prenderti al volo poco prima che tu cadessi a terra come una pera cotta! Ok, non intendevo dire che sembravi una pera cotta... insomma, mi hai capita!- disse con enfasi, facendo una smorfia verso Jocelyn che trattenne a fatica una risata.
"E' inutile, non cambierà mai!" pensò divertita. Stephanie era sempre stata una persona molto schietta e impulsiva, e le capitava spesso di dire cose che ad altri sarebbero potute risultare offensive ma che in realtà non erano affatto delle critiche. Quello era un altro motivo per cui andavano molto d'accordo: entrambe apprezzavano la verità nuda e cruda piuttosto che delle bugie elaborate per non ferire nessuno.
In quel momento intervenne l'infermiera, che era rimasta precedentemente in disparte. Era una giovane forse sulla trentina, dai tratti delicati e gioviali che ispiravano immediatamente fiducia. In un certo modo sembrava quasi strano vedere una come lei indossare un camice bianco e utilizzare strumentazioni mediche. Se l'avesse incontrata per strada avrebbe scommesso che fosse un'insegnante delle elementari o una fioraia, visto le sue gote rosse che le facevano pensare ai tuilpani.
"Certo che ultimamente ne vedo a bizzeffe di medici e infermieri..." Subito dopo aver formulato quel pensiero, rimase basita. Era da più di un anno che non andava in un ospedale neppure per un prelievo, allora perchè mai gli era venuta in mente una cosa simile?
"Probabilmente sarà dovuto al malessere di stamattina, sono solo un po' scombussolata." concluse, cercando di dimenticare in parte l'accaduto sebbene fosse piuttosto difficile. Che figuraccia! Era svenuta davanti a mezzo corpo studenti come una femminuccia alla vista del sangue, altro che le eroine dei suoi romanzi preferiti.
-D'accordo Jocelyn, mettiti lentamente a sedere.- le disse l'infermiera aiutandola ad alzarsi. -Senti il battito cariaco accellerato? Hai giramenti di testa?-
Alla risposta negativa della ragazza, schiribacchiò alcune frasi su una cartellina che aveva appoggiato sulla scrivania. Successivamente le misurò la pressione stringendole una fascia attorno al braccio, annotando i valori ottenuti. -Sembra tutto nella norma, probabilmente è stato un semplice calo di pressione.- la rassicurò con un sorriso. -Ad ogni modo è meglio che per oggi tu torni a casa dopo aver mangiato qualcosina. Con un po' di cibo e di riposo tornerai come nuova!-
Jocelyn annuì, scendendo dal letto e chinandosi per infilarsi nuovamente le scarpe da ginnastica. -La ringrazio molto.- le disse, uscendo dall'infermeria seguita da Stephanie che la fissava come se dovesse tornare a cadere da un momento all'altro, e da Adam, il quale sembrava non sapesse bene cosa dire. Dopo essersi chiuso la porta alle spalle, il ragazzo tossicchiò per attirare la loro attenzione. -Direi che io ora posso tornarmene in classe, non vorrei che il professore mi credesse disperso!- scherzò, passandosi le mani tra i capelli biondo scuro che gli coprivano la fronte.
Stephanie guardò l'orologio. -Ma adesso c'è la pausa pranzo! Potresti venire a pranzare con noi al bar della scuola, che ne dici?- gli propose entusiasta. Adam sembrava indeciso sul da farsi, ma Jocelyn sostenne l'idea dell'amica.
-Steph ha ragione, non ho ancora avuto modo di ringraziarti per l'aiuto. Lascia che ti offra almeno il pranzo.- gli disse, rivolgendogli un sorriso. -A proposito, il mio zaino?- chiese, guardandosi attorno.
-Tranquilla, è nel tuo armadietto!- le rispose pronta Stephanie.
Dopo essere passati dal corridoio principale a riprendere le loro cose, i tre si sedettero in uno dei tavolini del piccolo bar che serviva agli studenti come punto di ritrovo durante la pausa pranzo. Non c'erano molti posti disponibili, ma la scuola non aveva avuto i soldi necessari per costruire una mensa e dunque si dovevano accontentare.
Intanto che aspettavano le bibite e i panini che avevano ordinato, Stephanie si lanciò all'attacco con le tecniche che Jocelyn conosceva fin troppo bene. Lo sguardo della sua amica significava solo una cosa: Adam l'aveva colpita parecchio. Non era lei ad aver lasciato i suoi ex, erano loro ad essere rimasti delusi quando avevano scoperto che non era affatto una ragazza facile come poteva sembrare e l'avevano piantata in asso. Nonostante ciò Stephanie non aveva ancora rinunciato a trovare il ragazzo dei suoi sogni, e a quanto pare Adam era un possibile candidato. Effettivamente era piuttosto carino, anche grazie agli occhiali che mettevano in risalto le sue iridi verdi e le ciglia piuttosto lunghe, oltre ad avere un corpo asciutto ma non smilzo. Una perfetta unione tra l'aria intellettuale e sportiva.
-Ci siamo già visti da qualche parte per caso?- gli chiese Stephanie giocherellando con i suoi lunghi capelli ricci che le incorniciavano perfettamente il viso.
Stranamente il ragazzo non ebbe alcuna reazione particolare all'espressione civettuola della ragazza, che solitamente faceva iniziare a balbettare chiunque la vedesse. -Sono arrivato solamente da alcune settimane, ma magari mi hai intravisto nei corridoi.- le rispose cortesemente, senza sbilanciarsi.
Jocelyn provò a fare mente locale, senza però ricordare di averlo mai incrociato. Tuttavia aveva sentito che era arrivato un nuovo studente nella 5B, e pareva che fosse già un premio molto ambito da parecchie ragazze.
-Jos, stai ancora dormendo? Adam ti stava chiedendo se volevi che qualcuno ti accompagnasse a casa!- Stephanie le diede un buffetto sulle guance, osservandola però con aria leggermente seccata. Con tutta probabilità non aveva apprezzato l'attenzione che Adam non le stava riservando dedicandola invece a Jocelyn.
-Scusatemi, ero solo soprappensiero.- borbottò lei, passandosi una mano sul viso. Si sentiva ancora piuttosto stanca e confusa per ciò che era successo.
-Tranquilla, ti capisco. Stephanie mi ha detto che i tuoi sono al lavoro e che solitamente torni a casa a piedi. Se ti va posso accompagnarti io a casa, giusto per sicurezza.-
"Non accettare. Ribellati!" Un ordine perentorio le arrivò al cervello, lasciandola disorientata. Si sentiva ancora piuttosto instabile sulle sue gambe e avrebbe voluto accettare senza riserve la gentile proposta, tuttavia qualcosa dentro di sè le ripeteva di rifiutare l'invito. Una strana sensazione di malessere si diffuse in ogni cellula del suo corpo. Non era un vero e proprio dolore fisico, quanto una specie di "allarme" causato dal suo sesto senso. Stava per dirgli che sarebbe stata felice del suo aiuto, e fu quindi con stupore che si sentì rispondere:-Ti ringrazio, ma credo proprio che per oggi prenderò l'autobus.-
Aprì nuovamente la bocca per ritrattare ciò che aveva detto, ma non riuscì a formulare nemmeno una sillaba. Per la seconda volta era come se il suo corpo non le appartenesse, quasi stesse osservando la vita di un'altra persona tramite i suoi occhi, ma non potesse in alcun modo interagire col mondo esterno.
Se anche Adam rimase deluso, non lo diede a vedere. Anzi, prima di alzarsi per ritornarsene in classe la salutò con un caloroso saluto, soffermando lo sguardo su di lei qualche secondo in più rispetto a quanto aveva fatto con Stephanie. -Nessun problema, ci si vede in giro!- disse, allontanandosi con passo rilassato.

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Liam osservò assorto la figura sullo schermo che rimpicciolì sempre di più scomparendo del tutto. L'aumento della dose di medicinali mostrava già i primi effetti, e l'esperimento stava procedendo molto più speditamente di prima. Dal giorno del cosiddetto "incidente" non si erano più verificati fatti anomali, tanto da temere che quello fosse stato un semplice caso. Liam era però certo che non fosse così: gli eventi stavano iniziando a cambiare, avviandosi lentamente verso la fine.
-Signore, la fase di reminiscenza sta per avere inizio.- La voce di uno dei supervisori lo riscosse, facendogli riportare l'attenzione su ciò che stava accadendo sulla schermata. Comparvero una serie di immagini in sequenza che ormai conosceva così bene da riuscire a descriverne il dettaglio più insignificante. Nel computer accanto, un video continuava a mostrare le scene che l'intero corpo di supervisori stava studiando da anni.
Un sorriso amaro comparve sul suo volto, mentre i ricordi riprendevano ad assillarlo senza alcuna pietà. Più di una volta aveva avuto il desiderio di abbandonare tutto, risvegliare la ragazza e riportarla dai suoi genitori.
Ma non poteva.
Il momento del risveglio si stava avvicinando, e con esso l'enorme potere che lo avrebbe reso più onnipotente di ogni dio in cui gli uomini credevano. Nel suo cuore non avrebbe dovuto esserci nient'altro che la speranza di raggiungere quell'obbiettivo, ma la verità era che non poteva fare a meno di rodersi per i sensi di colpa, aggiunti alla paura per la sua reazione quando avrebbe riaperto gli occhi. Era da quasi tre anni che la osservava da dietro quel vetro, mantenuta in vita da dei macchinari, memorizzando ogni sua singola caratteristica e accarezzando il suo corpo con lo sguardo. Tutto aveva avuto inizio con un'enorme bugia, e proprio quando se lo sarebbe meno aspettato le cose avevano iniziato a cambiare.
Lui stesso aveva iniziato a cambiare, rendendosi conto di sentimenti che credeva fossero frutto di una semplice finzione ma che invece stavano diventando fin troppo reali giorno dopo giorno, trasformando il progetto a cui aveva lavorato per anni con fierezza in una specie di tortura.
Nel profondo della sua anima desiderava che quando avesse riaperto gli occhi lei lo riconoscesse. Forse però sarebbe stato meglio per entrambi se ciò non fosse affatto accaduto.

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