Capitolo 2

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Non tutti i mostri fanno cose mostruose.

-Lydia Martin



Per quanto possa sembrare strano, anche noi abbiamo una biblioteca in città. E' una minuscola stanza buia e piena di muffa, dove entrano persone ogni morte di Papa, ma è comunque qualcosa. Un giorno, durante il sesto o il settimo anno, fui obbligata ad andarci per fare una ricerca per scuola, per punizione. Ovviamente la ricerca non la feci, ma ero curiosa e ci andai lo stesso.

Era ancora più buia e scura di come me la immaginavo. Odorava di morte e la polvere ti danzava davanti agli occhi, lasciandoti in bocca uno sapore simile alla benzina. Sembrava di sentire delle urla, persone che piangevano e gridavano terrificate. Ma per una che uccide la gente senza problemi quelle grida non significavano molto.

Camminai per la stretta stanza, scansando con le scarpe nere i libri che mi intralciavano la strada. La stanza era corta e stretta e se ci fossero state anche solo un altro paio di persone sarei rimasta incastrata tra i vecchi scaffali. Potevi fare quattro o cinque passi al massimo e poi ti ritrovavi davanti una tenda consumata e bagnata da chi sa cosa. Nonostante il nascondiglio fosse tra i più noti, nessuno aveva mai scostato la tenda per vedere cosa nascondeva dietro. Fui la prima a farlo.

Nascosi la mano nella manica della felpa, sapendo che quel tessuto era pieno di germi e batteri e che l'unica battaglia che non potevo vincere era contro la malattia.

Come avevo già capito, dietro la tenda c'era uno scaffale stipato di pasticche di droga e siringhe già usate. Quello che potrebbe non sembrarvi tanto scontato, invece, è che dietro lo scaffale c'era un grosso buco.

Mi infilai dentro, entrando in una stanza più grande della precedente, ma comunque piccola. Era uguale all'altra, con la sola differenza che i libri sugli scaffali erano di tutt'altro genere. Grossi volumi rilegati scritti dai nostri antenati, nell'epoca della Grande Guerra. Erano un insieme di dati scientifici e affermazioni confusionarie dalla grafia illeggibile. Tutte le pagine erano macchiate di sangue e lacrime. In alcuni c'erano anche delle foto di bambini e famiglie in condizioni estreme e di città distrutte. Li lessi tutti, dal primo all'ultimo, e mi feci un'idea più chiara della nostra società.

Da quel giorno quello divenne il mio nascondiglio personale, il posto in cui mi nascondevo quando il mondo esterno diventava troppo invadente e il carico di responsabilità si faceva troppo pesante.

Nonostante tutta la sporcizia, resta un bel posto. E non importa quanto sia piccolo, il buio è così pesto da non farti vedere nemmeno le pareti.

Non l'ho mai mostrato a nessuno , nemmeno a Zach, e credevo che le cose sarebbero rimaste così per tutta la mia vita. Che quello sarebbe rimasto il Mio sposto segreto. Ma Cole è troppo piccolo e la morte di mamma l'ha cambiato drasticamente già in un giorno, non posso far passare altro tempo.

Non capisco com'è possibile che provi qualcosa per la mamma, che è stata quasi un'estranea nella nostra vita. L'unica cosa che riesco a pensare quando la nomino è che è stata una mediocre guerriera e ha svolto bene il suo lavoro, niente di più, niente di meno. Tutti prima o poi muoiono, eppure di solito si resiste fino ai quarant'anni, quando si perdono le forze per lottare e le città nemiche ti distruggono.

Lei aveva solo trentatré anni.

Io ci sono abituata, e dovrebbe esserlo anche Cole: papà è morto quando lui aveva appena un anno, a 27 anni. E' stato circondato da cinque soldati di Zibras, una città nemica. Tutti dicono che era un soldato valoroso e che è soltanto capitato nel posto sbagliato nel momento sbagliato, ma io non la penso così. E realmente neanche loro, hanno solo paura di me.

"Sbrigati, Col" sussurro nel buio mentre gli afferro la manica della felpa.

"Ecco, ecco" mi risponde lui, strattonando il braccio dalla mia presa e coprendo il naso con la mano "C'è puzza di schifo."

"Lo schifo non ha una puzza, Col. Sta zitto e cammina."

"E invece si!" Gli prendo il polso, mentre lui si lamenta per il dolore. "Così mi fai male, cavolo!"

"Stai calmo, microbo. Ci siamo quasi."

"Io sono calmo!"

"Mmh, certo..." Scosto la tenda, spostando il mobile, e mi infilo nel buco, trascinando Cole con me.

Mi sdraio sul pavimento freddo, con la testa di Cole sulla pancia.

Restiamo immobili, zitti, respirando piano. Fissiamo stelle invisibili talmente scure che si sono nascoste nel soffitto nero.

Gli passo la mano tra i capelli, arrotolando intorno alle dita i riccioli neri.

"Che cosa faremo?" mi fissa negli occhi, troppo serio per essere ancora un bambino.

"Non ne ho la minima idea... Continueremo a fare quello che facevamo prima, nello stesso modo in cui lo facevamo, con la sola differenza che mamma non lo farà con noi. Io mi occuperò di Mavie e tu farai l'uomo di casa."

Mi guarda, triste e terrorizzato. "A te la mamma non è mai piaciuta, non è così? Mi manca tanto..."

Mi alzo, inginocchiandomi davanti a lui, e gli prendo il viso tra le mani. "Non dirlo più. Mai più."

Mi fissa confuso. "Cosa?"

"Che ti manca. Non ti deve mancare! Non ti deve mancare nessuno, assolutamente!"

"Perché?" E' così ingenuo, ma non mi posso permettere di lasciarlo diventare una pecora bianca in un marea di pecore nere.

"Santo cielo, Cole! Ormai hai otto anni, dovresti arrivarci da solo! Cos'è che ti insegnano a scuola?!"

"A uccidere..." mima una mossa di strangolamento e gli scende una lacrima dagli occhi lucidi. "Ma io non voglio uccidere. Non mi piace."

Fermo la lacrima sul polpastrello del mio indice, cercando di reprimere la rabbia e la paura. Com'è possibile che pensi queste cose?

"Scuri come cenere

di cadaveri,

mozziamo le ali agli angeli incapaci di volare..." bisbiglio, poggiando la mia fronte sulla sua.

"Buii come stelle distrutte,

sciogliamo le nuvole bianche." continua lui, la voce ridotta ad un sussurro.

"Terribili come la peste,

viviamo nella morte.

Creiamo morte.

E la uccidiamo."

Concludiamo insieme, ripetendo le parole che ci hanno impresso nella mente fin da quando siamo nati. Lo chiamiamo l'Inno di Morte. Vecchie storie raccontano che quando degli uomini venivano impiccati da una squadra nemica, lo ripetevano insieme. Da allora è diventato il Nostro inno, il modo che abbiamo per esprimere tutto l'odio che proviamo per noi stessi.

"Capito?"

"Capito."

Restiamo così, uno sull'altro, per quella che può sembrare un'eternità.

Ma non basterebbe nemmeno un'eternità per sistemare questo macello, perciò dopo un'ora ci alziamo e ritorniamo da Mavie.

Dò un'ultima occhiata alla vecchia biblioteca, e poi mi incammino verso quella che è tutto meno che una casa.


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