4 - "Romanticismo."

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"...Nella luce calda di New York scivoliamo avanti e indietro tra l'uno e l'altro alla deriva come un albero che respira dagli occhiali..."
- Frank O'Hara

- Mel, Mel ti prego torna a casa; cosa ci fai ancora a central park? domani hai lezione!
La giovane sbuffò e con il telefono incollato alla guancia ghiacciata si guardò intorno affranta.
- Sy, entro mezzanotte sarò a casa lo prometto.
La sua voce era poco convinta, un quieto urlo d'implorazione nacque nel suo ventre, ma Melanie lo represse ingoiando il gusto amaro di una nuova sconfitta.
Asya aveva ragione, sua madre aveva ragione e forse anche il vicino brontolone con cui condivideva ogni mercoledì un thé bollente, con contorno di pasticcini e sprazzi di sogni galleggianti nel suo cuore, come galeoni alla deriva.
Eppure Melanie era di nuovo lì, nuovamente sul ponte in pietra marmorea a rimirare la figura intimidatoria della luna immersa nel canale; il parco come ogni sera a quell'ora frequentato solo da barboni, scarti di una società sazia di denaro.
Melanie Foster, ventisette anni e il vuoto di chi con una consapevolezza ignara anela il proprio fiabesco intrigo.
- D'accordo, ma ti prego Mel; non passare la vita in attesa di quella svolta che non giungerà mai.
Il microfono del cellulare gracchiò quelle sillabe in modo troppo tagliente, e la giovane annuì; forse più a se stessa che alla sua interlocutrice e senza risposta alcuna chiuse bruscamente la chiamata riponendo via quell'oggetto infernale.
Era così sbagliato desiderare di più? Era così dannatamente sbagliato immaginare il proprio principe a cavallo con armatura e lancia?
La brezza d'ottobre sfiorò le gambe nude di Melanie e svanì tra le fronde ancora verdi disperdendosi nel cielo immenso, e la donna provò ad immedesimarsi in quel soffio cristallino e limpido sulla pelle degli uomini troppo assuefatta come un canarino che ritorna sempre nel suo nido gremito di rami.
un insegnante di storia delle elementari dovrebbe avere i piedi per terra, un insegnante non dovrebbe passare le notti passeggiando alla ricerca del suo amore; vivida follia, amara dolcezza, la giovane si preparò a raccattare come ogni sera i cocci del suo cuore infranto lindi e vitrei come cristalli, scheggiati dalle tante delusioni.
Era sul punto di andar via quando una musica in lontananza, una melodia soffusa l'avvolse; delle note leggere come piume e prorompenti come strilli decoravano l'aria fresca, deliziosi e incalzanti spilli che crescevano in un ritmo andante come un esplosione di sole in pieno inverno.
Un piano, Melanie riconobbe le dolci sillabe di un pianoforte a cui sfuggivano versi mai uditi prima, zampilli di spartiti nuovi eppure così famigliari; la ragazza si allontanò da quel ponte e si affrettò a seguire come ipnotizzata la soave canzone.
Dall'altra parte del parco un uomo in giacca e cravatta dall'aria stanca e sconfitta muoveva con abilità le lunghe e snelle dita tra tasti neri e bianchi con passione travolgente, come se stesse amando quell'ammasso di martellini corde e pedali più di ogni altra cosa in quell'attimo.
James Mawhyte sembrava immerso nella musica come un animale nel suo habitat, ed ogni qual volta il pezzo aumentava il tono e poi lo costringeva nuovamente il giovane sembrava risorgere dalle acque della gioia per poi ributtarcisi a capo fitto trasportato dall'estasi della musica.
Melanie poteva osservare da lontano la sua figura ricurva sulla panca di legno, il viso era attraversato dai raggi biancastri di luna che striavano i tratti marcati e concentrati.
Senza un preciso motivo, senza una spiegazione cosmica Melanie fu attratta da quel prezioso squarcio e nella piazza deserta si lanciò in un assolo di danza dettato dalla magia della musica.
Melanie volteggiava sulle sue ballerine color lavanda come se non avesse fatto altro per tutta la vita, la suola in plastica sembrava sfiorare appena i mattoni e in vortici di pliet e giravolte la fanciulla fu sballottolata dalla fantasia tra le ali di un mondo parallelo.
Poi la musica si spezzò, e fu come se strappassero un pezzo di carne, come se le scuoiassero un braccio.
Il pianista la osservò da lontano come si osserva un opera d'arte e perplesso iniziò a pensare all'incanto velato di quella strana situazione.
James con la sua sfiducia e la sua arrendevolezza al mondo malato non aveva mai scorto un tale trasporto ed un tale coraggio. Melanie nelle sue fantasie romantiche aveva sempre guardato ad un principe in groppa ad un puro sangue, non certo ad un pianista notturno.
Nessuno ebbe il coraggio di parlare, Melanie afferrò il suo coraggio e raggiunse lo strumento puntando il suo sguardo da bambina nei freddi e calcolatori occhi del giovane captandone le sfumature.
La parte razionale di James gli urlava di fuggire e tornare a casa, di correre verso il suo appartamento di Manhattan sperando che quella situazione imbarazzante terminasse con una grassa risata l'indomani mattina in ufficio, eppure c'era qualcosa in quel viso delicato che lo inchiodava nella sua posizione.

- Sei molto bravo, complimenti.

Melanie parlò, con le lettere traballanti e il fiatone per l'esibizione precedente.
James seguì con lo sguardo il ritmico movimento del suo petto e ne rimase colpito, la cassa toracica della ragazza sembrava dettare essa stessa una musica tutta nuova, una melodia da scoprire.

- Grazie, Grazie - Una risposta schietta, meccanica e senza valore che allo stesso autore apparve incompleta
- Vieni, ti mostro una cosa. - asserì poi Melanie senza pensarci davvero, gli afferrò la mano gelida come una libra di ghiaccio e lo condusse oltre le fronde, che a causa dell'ombra apparivano mostri mascherati di odio.
James sì lasciò condurre, anzi ritrovò un innato conforto in quel gesto; probabilmente in qualunque altra occasione si sarebbe scostato con forza allontanando chiunque, ma quella stretta, quella mano trasmettevano una nuova visione del mondo stesso, un calore che come nettare nutriva le membra e il corpo.
Melanie lo condusse nella sua parte preferita del parco, nei pressi del noleggio di barche propio sulla riva del piccolo lago, lì lo invitò a sedersi sul prato e ad osservare le stelle con lei come fosse la cosa più naturale e genuina che un uomo potesse fare.
James le dedicò un sorriso, non un sorriso divertito o di scherno; un sorriso d'affetto piuttosto strano e ignoto che segretamente Melanie conservò nei presso del suo cuore.
Le stelle apparivano come diamanti tra l'oscurità, sprazzi di luci che illuminavano il bluastro cielo.
I due giovani passarono quei momenti infiniti dialogando del più e del meno. "cosa fai nella vita?" "oh anch'io ho un gatto" "secondo la Disney dovremmo sorridere di più" e più Melanie riversava fiumi di vita James sentiva qualcosa spalancarsi nel petto, più Melanie vedeva sbocciare un sorriso sulle sottili labbra di James, più si convinceva che il pianista sconsolato in giacca e cravatta poteva essere un ottimo rimpiazzo del principe azzurro.
L'alba accarezzò le spalle chiare di Melanie e James si ritrovò a constatare quanto quella luminosità incorniciasse alla perfezione i tratti infantili della fanciulla.
La giovane alla vista delle prime onde dorate trai grattacieli di specchi accatastati ricordò i suoi impegni e a malincuore si risollevò dall'erba verdastra.
James avvertì un vuoto nel petto e si apprestò a domandarle: - Qual'é il tuo nome?
- Melanie.
La fanciulla gli rivolse un enorme sorriso e scappò via come risucchiata dall'aria del nuovo giorno, al principe bastò una scarpetta, il pianista potrà cavarsela con un nome.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 05, 2015 ⏰

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