Adolescenza

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Un tunnel buio con una piccola luce alla fine di esso. Correva verso quel bagliore, ma, per quanto si sforzasse, non riusciva mai a raggiungerlo. Quel tunnel era l'adolescenza e Lauren voleva scappare. Quella luce era la sua salvezza, il suo obiettivo; era l'uscita da quel periodo pieno di insicurezze, di lacrime, di delusioni.

Per proteggersi si rifugiava nella sua stanza, nel suo letto e, fra quelle coperte calde e morbide, era la persona più felice del mondo. Quando si addormentava sperava di non risvegliarsi più; non voleva affrontare i giorni successivi a quelli già vissuti; non voleva incontrare più nessuno; non riusciva a dare fiducia a qualcuno. Voleva solo rimanere nel suo nido, fra quelle coperte calde e morbide.

Tuttavia, quella maledetta sveglia suonava ogni maledetta mattina e tutti i suoi sogni più belli venivano interrotti da quel maledetto suono allarmante.

Ogni mattina, si autosuggestiona davanti allo specchio mentre si annoda il cravattino e cerca di convincersi di star bene. Dopo l'ultima estate, trascorsa con delle persone che all'epoca reputava amiche, ha promesso a sé stessa che non si sarebbe innamorata mai più.

Era una fredda mattina di ottobre, quella.

Lauren sta sempre in un banco vicino alla finestra; frequenta il primo anno all'Università di Lettere e sogna di diventare una scrittrice di romanzi. Ha così poca fiducia in sé stessa che pensa di non potercela fare, si sente un completo fallimento e, durante la lezione di geografia, osserva le gocce di pioggia cadere nelle pozzanghere.

Perché proprio geografia? Pensa. Si annoia a morte. Disegna un piccolo fiore sul suo piccolo banco. Vuole tornare a casa, nella sua camera, nel suo letto, in quelle coperte calde e morbide.

Non ha amici. In passato aveva legato con le compagne della parrocchia, ma, dopo l'estate trascorsa con loro, venne delusa e loro ruppero tutti i rapporti che erano stati creati in un anno di amicizia. In realtà non era una vera e propria amicizia, era più un rapporto di convenienza. Quando Lauren se ne accorse iniziarono a vedersi i primi problemi e successivamente i secondi, poi i terzi, i quarti... alla fine i problemi risultarono troppi per sopportarsi a vicenda e ognuno prese la sua strada; lasciandosi alle spalle tutto quello che avevano condiviso insieme; mettendoci una grossa, grande, pesante pietra sopra.

Lauren è rimasta sola, ancora una volta. Durante l'anno precedente a quello in cui stava vivendo, era stata costretta a trasferirsi per problemi di famiglia. Anche se quei "problemi di famiglia" erano solo una una scusa per nascondere il periodo in cui Lauren si faceva le canne.

Torna a pensarci temperando la matita per continuare il suo disegno sul banco. E' una cosa che non riesce a spiegarsi, non sa neanche per quale assurdo motivo abbia iniziato a farsele. Tutto iniziò all'open day in quarta superiore, era a scuola per rappresentare la sua classe. Era scappata di casa dopo una litigata con i suoi genitori, era andata a scuola solo perché sapeva che era aperta; solo perché non sapeva dove andare. Raggiunse l'aula di ceramica con gli occhi ancora gonfi e rossi reduce da un pianto. Era l'istituto d'arte, indirizzo ceramica. Le piaceva tanto quella scuola. Ma prima di entrare in aula, doveva assolutamente sciacquarsi il viso; quindi andò nel bagno delle ragazze al primo piano. Appena entrò vide un gruppo di ragazze davanti alla finestra spalancata, c'era un odore forte che l'attirava, si avvicinò e poi... iniziò a farsi le canne; finché i suoi genitori non la scoprirono e la mandarono in isolamento per un anno in un'altra scuola d'arte, in un'altra città.

Quella fu la prima volta. La prima svolta adolescenziale, la prima caduta, la prima sconfitta. Faceva qualcosa di illegale e lo sapeva anche lei, ma nonostante ciò continuava; si distruggeva con le sue stesse mani. Era arrabbiata col mondo. Il mondo non la capiva, non la ascoltava, forse nemmeno la sentiva, probabilmente non sapeva neanche della sua esistenza. Allora si ribellò, facendosi le canne. Una dopo l'altra, dieci euro al giorno di fumo; non le importava dei soldi, non sapeva neanche come riusciva a prenderli di nascosto dal portafoglio di suo padre senza che lui se ne accorgesse; non le importava cosa stava facendo. Voleva solo andare fuori dalle righe, contro le regole, contro il suo volere. Sì, voleva farlo, ma sapeva che non le faceva bene e allo stesso tempo non voleva farsi del male. Era un casino totale, arrivò al punto di non capire più niente, di non capire cosa fare. Era anche diventata una scema, così scema da farsi vedere dai suoi genitori con una canna fra le dita, nel suo giardino. E quello fu l'inizio della fine per lei.

Era estate, furono tre mesi di solitudine per Lauren. Stava vivendo una punizione orribile: non poteva uscire, non poteva sentire i suoi amici; i suoi genitori le ritirarono tutto. Cellulare, computer, televisione; nascosero ogni cosa che potesse prendere per contattare l'esterno: telefono fisso, tablet, il computer che usava suo padre nella camera studio. Sapeva di meritarsi tutto questo, non parlava mai con nessuno, se ne stava in camera sua. Anche se era luglio, se ne stava sotto quelle coperte invernali calde e morbide. Erano il suo scudo per proteggersi dal mondo esterno, erano il suo nido.

Senza dirle nulla, i suoi genitori chiesero il nullaosta alla sua scuola e la iscrissero in un altro liceo, in un'altra città.

L'estate passò lentamente fra esami del sangue e disintossicazioni, solitudine e depressione.

I primi di settembre Lauren venne trasferita, un nuovo anno scolastico era alle porte; era il suo ultimo anno da studentessa liceale e non conosceva nessuno della sua classe. Non conosceva la casa in cui doveva andare ad abitare, la città in cui si stava per trasferire; ma non era affatto tesa. Anzi, non vedeva l'ora di andarsene; di iniziare da capo per la prima volta; di imparare dai suoi errori; di rialzarsi dopo la prima caduta; di ricercare dentro sé stessa il primo motivo per non arrendersi contro la vita.

Alla vigilia del primo giorno di scuola si preparò lo zaino, prese fuori una camicia e dei jeans adatti alla situazione; voleva fare bella figura con i suoi nuovi compagni, voleva nascondere tutto ciò che aveva passato e quanto aveva sofferto; era emozionata all'idea che avrebbe visto delle facce diverse da quelle dei suoi genitori e di sua sorella. Finalmente, dopo tre mesi di clausura, andava fuori, all'aria aperta.


Dammi un motivo per non arrendermiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora