CAPITOLO 7

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Erano le 23:30, ed io ero ancora sdraiata sul mio comodo e morbido letto. Avevo poggiati sulle gambe un foglio di carta con sotto un libro a mo' di tavolino. Stavo disegnando il mare in piena notte. Avevo una particolare passione per il raffigurare paesaggi senza mai colorarli. A seconda di come mi sentivo, disegnavo paesaggi diversi e li appendevo alle pareti della mia camera. Erano solo semplici bozze fatte a matita, ma io adoravo il modo in cui mi venivano. Non avevo parlato di quest'hobby con la psicologa per il semplice fatto che la ritenevo una passione molto intima.

La spiaggia era deserta, gli ombrelloni erano chiusi, tutti tranne uno: il mio. Disegnai le onde proprio nel momento in cui accarezzano la riva, facendomi venire in mente quel meraviglioso fruscio di cui ero follemente innamorata. Sulla sabbia, si intravedeva la piccola figura di una ragazza. Più che figura andrebbe definita un'ombra. I suoi lunghi capelli neri svolazzavano seguendo la direzione del vento. La ragazza osservava l'orizzonte a malapena percepibile a causa del buio, seduta sotto il suo ombrellone. La luce della grande luna che rifletteva sull'acqua mi faceva salir la voglia di immergermi nel mio stesso disegno. Avrei tanto voluto ritrovarmi in un posto simile, dove la solitudine fa da barriera e il paesaggio da compagnia. Quel disegno era pieno di profondi significati nascosti che, forse, mai nessun altro al di fuori di me avrebbe realmente potuto comprendere.

Che ne sapevano gli altri di chi ero veramente? Sì, sicuramente conoscevano il mio nome, sicuramente erano al corrente del mio 'Non Essere Vergine' e sapevano anche che non avevo una vita sentimentale e che non volevo averla, ma di me, ossia della vera Kimberly Wellington, non sapevano assolutamente niente. Persino i miei genitori non mi conoscevano. Come avrebbero potuto? Infondo, per ben diciassette anni non si sono mai minimamente interessati a me o al mio malessere. Questa storia della psicologa era solo una strategia per smentire i dubbi sulla loro più totale strafottenza nei miei confronti, ma tutti quei dubbi erano ormai fondati da tempo. Era talmente logico! Come avrei potuto chiamare le mie certezze 'dubbi'? Non ero la figlia dei loro sogni. Mi sembrava così strano pensare che, invece, lo ero stata, i miei primi mesi di vita, quando ancora non parlavo, non pensavo e, soprattutto, non agivo. Mi sentivo nel posto sbagliato, in un corpo sbagliato ed in una vita altrettanto sbagliata.

Poggiai il disegno privo di colori sul comodino di legno accanto al mio letto e stesi le gambe. Avrei provato a dormire, avrei provato a coprire Harry ed il suo piccolo gesto con i miei innumerevoli pensieri, avrei anche provato a sognare una vita diversa in cui quel che è stato fatto si può correggere e quel che è da fare si può decidere.

Avrei provato, ma non ci sarei riuscita, come tutte le notti della mia vita.

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Driiin Driiin

Un'altra notte in bianco. Avrei dovuto sicuramente mettermi quintali di trucco per nascondere le occhiaie e lo avrei fatto, anche se odiavo truccarmi troppo. Presi il cellulare e spensi la sveglia. La mia voglia di andare a scuola era, come sempre, pari allo zero, soprattutto sapendo che avrei potuto incontrare Harry in qualsiasi momento senza potermi prima preparare il discorsetto da fargli sul non toccarmi e sul non spifferare a tutta Wimbledon High School il fatto che andassi da una psicologa.

Sollevai la soffice e calda coperta e mi misi seduta, stiracchiandomi per bene. Quel giorno avrei indossato qualcosa di estremamente comodo, non avevo alcuna voglia di indossare quella scomodissima minigonna anche se, ovviamente, attiravo molto di più. Quella mattina mi sentivo diversa, come se non mi importasse più assolutamente niente dei pregiudizi che avrebbe potuto fare la gente vedendomi arrivare vestita da maschiaccio. Aprii l'armadio e scelsi il paio di jeans più comodo che avevo ed una felpa nera dell'Hollister. Raggiunsi il bagno, decisa a farmi una doccia fredda. Mi rilassava molto e mi aiutava a pensare, a ragionare.

Mentre passavo le mani insaponate sul mio corpo, percepii la fragilità di ogni singola parte di quest'ultimo. Non mangiavo molto, non era esattamente la cosa che più amavo fare, ma non concepivo come potessi essere così terribilmente magra nonostante facessi molto movimento. Forse, mi sarei dovuta allenare pure il pomeriggio. Chiusi il rubinetto ed aprii la tendina, cercando di non scivolare per via del pavimento bagnato della doccia. Presi l'asciugamano rosso poggiato sul lavandino e lo avvolsi con attenzione intorno al mio corpo. Mi asciugai e mi vestii in tutta calma, non ero dell'umore giusto per fare tutto in fretta e furia. Dovevo solo prendere il mio tempo. Una volta pronta con lo zaino in spalla, scesi giù in cucina e salutai i miei.

-Kimberly, mangia almeno qualche biscottino prima di andare.- disse mia madre con un finto e fin troppo fastidioso tono preoccupato. Era seduta a tavola, mentre si ingozzava di quei disgustosi biscotti al miele. Mio padre, invece, leggeva il quotidiano tranquillamente seduto sulla poltroncina nera. Scossi la testa e mi avviai all'uscita, tentando di ignorare gli sbuffi di un'evidente madre rassegnata. Il freddo di Londra mi colpì in pieno volto, come tante piccole schegge. La Wimbledon High School era lì vicino, a circa 10 minuti da casa mia. Effettivamente, abitare a Wimbledon stesso era un gran vantaggio per me.

Quel quartiere era tenuto veramente bene. Adoravo passeggiarci, sopratutto la mattina, perché vi si trovavano poche persone disposte a giudicare per via del sonno che annebbiava quotidianamente la loro mente. Camminavo a testa alta sull'asfalto. Spalle dritte e passo sicuro. Magari, in quel modo, non sarei sembrata affatto una ragazza sofferente.

Mi ritrovai, in pochi minuti, davanti all'entrata della Wimbledon High School. Quell'edificio mi sembrava così dannatamente triste, dove ogni gioia di vivere veniva letteralmente spazzata via dalle noiosissime lezione che ci toccava subire ogni giorno. Il giardino era stracolmo di studenti che attendevano il suono della campanella per entrare. Ognuno di loro sapeva come passare bene quei pochi minuti d'attesa, magari chiacchierando, oppure ripassando per un test.

Erano le 8:10, mancavano meno di cinque minuti e sarebbe cominciata un'altra 'splendida' giornata dentro la 'meravigliosa' Wimbledon High School. Che ottimista!

Tra la folla, riconobbi il ciuffo biondo e ben tenuto di Jeremy Scott venirmi incontro. Sorrise. Effettivamente, erano passate due settimane circa dalla sua dichiarazione d'amore, ed io non gli avevo ancora rivolto la parola. L'avevo evitato in ogni modo possibile. Non avevo paura né di ferirlo, né di innamorarmi di lui. Speravo solo capisse che tra noi non sarebbe potuto più esistere il rapporto di prima. Pensare che quelle cose intime che facevamo, lui le faceva con amore, mentre per me era del semplice sesso, mi faceva sentire in colpa, ed io non sopportavo i sensi di colpa.

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Cose a caso di Heyho_


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