"Cazzo!" bisbiglio tra se e se Ashton. "Che facciamo?" lo richiamò la ragazza sempre sotto voce. "Io no-" il ragazzo venne interrotto nel momento in cui il cassonetto venne bruscamente scosso e si figurò davanti a lui uno degli stronzi con una mazza da golf in mano. "VI PREGO NO" urlò Ashton. Ma era troppo tardi, il bastardo aveva già preso e lanciare sulla schiena di Ashton la mazza con tanta violenza che Ashton riusciva a respirare a fatica."FERMI LO AMMAZZATE, SIETE COGLIONI?!" urlò la ragazza, non tanto spaventata quanto incazzata. "Tu sta zitta. Non ho pietà per le signorine" per la prima volta la ragazza temè per la sua stessa incolumità. Gli scagnozzi andarono avanti per una quindicina di minuti finchè non si accorsero che il povero ragazzo era ormai svenuto e la ragazza piangeva ormai da dieci minuti buoni."Okay ragazzi, il tipo è a posto. Prendete i fottuti soldi e andiamocene." Uno dei ragazzi si abbassò verso Ashton e frugò nelle sue tasche: ne estrasse cinque miseri dollari. Con uno sghignazzo generale, il gruppo se ne andò.
La ragazza si asciugò le lacrime che aveva fino a quel momento versato e iniziò a scuotere Ashton. "EIH EEEEIH SVEGLIATI CAZZO SVEGLIATI!!!! MERDA DAAAI!!" la ragazza alternava singhiozzi a urli. Prese coraggio e chiamò un'ambulanza. "PRONTO? SI HO UN'EMERGENZA DA SEGNALARE. UN RAGAZZO E' STATO PICCHIATO DA UN GRUPPO DI RAGAZZI. DOVE MI TROVO? AH ...EHM...IN CANBERRA STREET SI. VI PREGO FATE PRESTO"
Dopo circa cinque minuti l'ambulanza arrivò. "Ragazza, ci può spiegare cosa è successo?" "Il ragazzo era arrivato dietro quel cassonetto perchè era inseguito dai tizi, credo. Io mi..mi trovavo là dietro per...ehm ero nei guai così io e lui conversammo un po' ma fummo interrotti dai tizi che dopo aver scaraventato il cassonetto, iniziarono a picchiarlo di brutto. Lui dopo il primo colpo sulla schiena non riusciva a respirare ma loro continuarono e dopo aver sputato un bel po' di sangue, svenne. Loro andarono avanti ancora per un po', poi smisero e gli rubarono cinque dollari dalla tasca. E poi scapparono, ovviamente." "Crede di conoscere gli aggressori?" "No, non so minimamente chi siano" L'ambulanza nel frattempo era partita a sirene spiegate, il rumore risuonava per tutti i quartieri vicini.
"Salve, lei è responsabile del pronto soccorso?" "Si, prego" "Stiamo cercando Ashton Irwin. E' mio figlio, è stato portato qui poco fa" "Mi può fare lo spelling signora?" "Si, allora A S H T O N e poi I R W I N" La signora, piuttosto tozza e stanca del suo lavoro, digitò le lettere appena dette dalla madre di Ash ed esordì "Signora, si trova al terzo piano, reparto C, stanza 24" la mamma rispose frettolosamente con un "Grazie mille" e prese la figlia per il polso, trascinandola. Si ritrovarono catapultate da sole nell'ascensore ed iniziarono a discutere. "Per quale motivo sei tanto preoccupata? Si caccia sempre nei guai...è un idiota dalla nascita!" "Non scherzare troppo, signorina. E' di tuo fratello che si parla, non si è mai trovato in ospedale... ti rendi conto di quanto tu sia schifosamente egoista mentre lui fa di tutto per te?!" "E ricominciamo con Ashton l'eroe di casa Irwin. Andate a fanculo." La mamma guardò Sophia con un aria arrabbiata, ma non aveva tempo di stare a rimproverare la ragazza, ormai l'ascensore aveva raggiunto il piano desiderato. Attraversarono il corridoio, la madre correndo, la figlia facendosi trascinare per il polso. Raggiunsero la stanza 24 dopo averne superate tre per sbaglio.
Annie scoppiò in un pianto. Ora Sophia sembrava aver capito la situazione. Quello che si presentava davanti ai loro occhi era l'uomo di famiglia sdraiato su un letto d'ospedale, con il viso fasciato, un collarino spinale che faceva si che la testa fosse rialzata. L'unico occhio che si vedeva era completamente blu e gonfio. Dalla bocca partiva un tubo per l'ossigeno e il suono dei macchinari scandiva il suo battito cardiaco. Tic...tic...tic. "Ehm signora...non può stare qua" "Sono sua madre" "Ah, bene! La aspettavamo" improvvisamente intervenne Sophia "Facciamola corta. Che cos'ha?" "Mi scusi, lei chi è?" "Sua sorella" "Le devo chiedere di uscire" "No, io non esco per un cazzo. Ho quindici fottuti anni, vivo con mio fratello. Per quale motivo mi dovreste nascondere la verità che verrei comunque a sapere?" "La prego..." "NO!" "Sophia esci su." "NO" "SOPHIA TI HO DETTO DI USCIRE" "ANDATE A FANCULO TUTTI QUANTI". Sophia uscì sbattendo la porta tanto che il frastuono si udì per tutto il corridoio. Corse come aveva sempre fatto tutta la vita. Correva per scappare dal dolore, dalle sensazioni che aleggiavano nel suo cuore, dalle situazioni e si ritrovava sempre nello stesso punto. Si fermò di scatto davanti ad una macchinetta per le bevande e asciugò con il bordo della felpa le lacrime che gli erano scese senza nemmeno accorgersi.
La situazione era questa: suo fratello era stato pestato, non sapeva in che condizioni fosse ma sembrava messo tutt'altro che bene. E adesso cosa si fa? Come si va avanti? Come si mangia? Come si pagano le bollette? Pensieri che fino a trenta minuti prima non pensava che potessero trasalire alla sua mente, prendere possesso delle sue emozioni, stroncandola mentalmente.
Sentì un allarme, di quelli che si usano nelle camere quando c'è qualche problema. Corse pensando che sarebbe stata d'aiuto a suo fratello per una volta. Raggiunto il corridoio si rese però conto che l'allarme non proveniva dalla camera di Ashton, rimanendoci sia delusa che sollevata. Delusa perché avrebbe voluto dare il suo contributo, sollevata perché aveva paura che il suo contributo non sarebbe servito a nulla e tutto si sarebbe sgretolato nelle sue fragili mani.Ma non c'era spazio per la sua psiche, un pianto disperato proveniva dalla stanza di Ashton. Era sua madre, ovviamente. Ormai sul ciglio della porta Sophia incrociò lo sguardo della madre, che era gonfio di lacrime. Gli occhi non parlavano, osservavano. Ma nel loro osservare avevano sviluppato un loro linguaggio. Quello che volevano comunicare quegli occhi era qualcosa di irreversibile.
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By your side || Ashton Irwin
FanfictionNon sai cosa il futuro riserva. Basta un attimo che la vita ti sfugge di mano, come un petalo durante una tempesta. È difficile recuperare la vita perduta. Ma una scorciatoia c'è: avere qualcuno al tuo fianco.