Tre.

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Durante questi sei mesi, Gemma mi era mancata più di tutti. Io e lei siamo cresciuti sapendo di poter contare l'uno sull'altra. I nostri genitori erano severi e spesso, anche da adolescenti, abbiamo passato i sabato sera insieme a guardare film depressi, mangiare pop corn e bere coca-cola. Tra le tante cose che abbiamo in comune io lei ci sono l'amore per il cibo spazzatura, per i film depressi e..beh, per i ragazzi. Alla fine di ogni maratona ingrasso-e-piango io e lei ci ritrovavamo a parlare come due cari amici che non si vedono da una vita e restavamo svegli a guardare cartoni e confidarci segreti che solo la notte poteva ascoltare. Fu in una di quelle notti, circa due anni fa, che le confidai della mia omosessualità. La sua prima reazione fu abbracciarmi forte e sussurrarmi "ti voglio bene". È una cosa forte, sentirti dire "ti voglio bene", dopo aver confessato di essere gay. Non "ti voglio bene lo stesso" o "ti voglio bene anche se ti piacciono i maschi" o "ti voglio bene anche se sei contro natura": semplicemente "ti voglio bene". Stranamente, di quello non abbiamo mai parlato molto, non che ci fosse molto da dire, quelle tre parole erano bastate a me per capire che avevo ancora mia sorella e a lei per avitare l'argomento. Se dovevo parlare di un ragazzo che avevo conosciuto o roba simile non c'era nessun imbarazzo, bastava non nominare il futuro o qualunque termine sinonimo di gay.
Per questo, tutto ciò che avevo immaginato alla parola ritorno eravamo noi -Gemma ed io- seduti sul divano a piangere perché c'eravamo mancati e a dare la colpa di quelle lacrime a Jack e Rose. Ma, due mesi prima del mio ritorno, ho dovuto smettere di sognare i suoi abbracci e i suoi consigli e accettare che, a casa, non ci sarebbe stata nessuno ragazza dai lunghi capelli rosa ad aspettarmi. La ragazza dai capelli rosa ora aveva i capelli biondi e abitava a Manchester, in città, con la sua migliore amica Bethany.
Gemma è più grande di me e io sapevo che, prima o poi, sarei rimasto solo in quei sabati sera. É una cosa a cui ti prepari, se sei nato per secondo -una sfortuna incredibile, essere secondogenito-.
Così, quando aprì la porta di casa e vidi solo la mamma, mi ritrovai travolto da una tristezza che non avevo preventivato. Avevo passato gli ultimi due mesi a prepararmi alla sua assenza, avevo passato l'ultima settimana a piangere ogni notte immaginando me entrare e non ricevere un suo abbraccio. Non che gli abbracci di mamma non andassero bene o che i miei genitori non mi fossero mancati: il ricordo del mio nido caldo mi aveva accompagnato nel mio viaggio; ma mai avrei pensato che la vita -o forse Gemma- mi giocasse uno scherzo simile, farmi tornare al mio nido per vedere mia sorella che sta volando via.
Quella sera la chiamai e passammo tre ore al telefono, come se non avessimo giá parlato così per sei mesi. Era il nostro nuovo modo di sentirci un po' meno lontani. Mi raccontò che era ufficialmente stata ammessa al college e che ora poteva godersi la fine dell'estate senza pensarci, mi disse di quanto è bello poter uscire la notte e di quanti ragazzi -e ragazze- ci provavano con lei. So che è bellissima, l'ho sempre saputo, ma a quei racconti non potei fare a meno che provare tanta gelosia.
Poi, per tre quarti della telefonata, fui io a parlare. Non che le dovessi raccontare molto, solo che ci misi troppo a descrivere il mio ritorno e, soprattutto, a descrivere Louis Tomlison.
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Spero che vi stia piacendo:)
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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 11, 2015 ⏰

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