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E anche oggi è la stessa merda. C'è il sole. Se fosse per me dovrebbe piovere tutti i giorni. Mi piace la pioggia, mi piace il suo odore, il suo rumore. Non il sole. Il silenzioso e monotono sole. E come sempre sono nel mio letto. Sento bussare. "Mamma sto male. Non mi sento bene." Mento. "Chelsea ormai è una settimana che sei chiusa li dentro. Okay stai male. Ma almeno esci. Ti vado a comprare quelle briosce che ti piacevano tanto. Ormai è una settimana che non tocchi cibo." Era vero, ormai era una settimana che vivevo di sigarette e acqua. Quella frase mi fece ricordare una cosa. Andai in bagno. 56. Questa bilancia non mi vuole proprio dare soddisfazioni. Devo almeno pesare 45. Sento dei singhiozzi fuori dalla porta. Mi dispiace mamma io devo dimagrire. Sono obesa. Mi ristesi sul letto. Non stavo bene veramente. La mia testa sembrava veramente scoppiare, quella mattina -come tutte le altre mattine da un'anno a quella parte- mi ero alzata alle 5:00 tutta sudata, strappata dal mio ricorrente incubo. O almeno il più ricorrente, ne avevo una sfilza. Come tanti film dell'orrore. Una lacrima mi scivolò lungo la mascella. La scacciai subito. Le lacrime erano la mia
vergogna, erano la mia delusione. Lacrima voleva dire buco nella corazza che avevo tanto faticato a costruire. Da ragazza dolce e altruista che ero, a menefreghista, acida e sempre arrabbiata che sono ora. Mi buttai sul letto a peso morto, presi una sigaretta dal pacchetto sul comodino e me la accomodai fra le labbra. L'accendino nero e la sua fiamma fecero in modo che la nicotina scivolasse giù per la mia trachea e poi nei miei polmoni, avvelenandomi piacevolmente e lentamente. Dopo tre tiri da stesa mi alzai e mi affacciai alla grande finestra che si trovava davanti al mio letto. Mi appoggiai al davanzale. E impassibile, mentre il fumo a dosi regolari entrava e usciva dai miei polmoni, scrutai il paesaggio che quest'ultime mi offrivano. Mi faceva venire la nausea. Quell'insieme di bambini col gelato in mano e l'odore del barbecue. L'estate era arrivata ormai da due mesi. E tutti i miei coetanei si divertivano ad andare alle feste o agli aperitivi nei locali. Tutto quello che una normale diciassettenne dovrebbe fare. Ma il destino non era stato tanto Clemente con me che con tutti i miei coetanei della mia piccola frazione alle porte di Londra. Ne ero consapevole. Istintivamente il mio sguardo si posò sul mio braccio sinistro. Niente di nuovo. I segmenti irregolari sporgenti e bianchi, che tanto spaventavano chi li vedeva. Vecchie e più nuove ferite che sfiguravano la mia pelle. Dopo l'ultimo respiro impregnato di angoscia e Tabacco spensi la sigaretta in uno dei due grandi portaceneri colmi sulla cassettiera. Diedi un'ultimo sguardo fuori. Come se una parte di me bramasse davvero l'aria afosa estiva sulla faccia. Come se una parte di me desiderasse insistentemente fare un lungo bagno in una piscina. Come se una parte di me fosse ancora felice e grata. Ma quella parte di me era morta a causa degli altri molto tempo prima. E non sarebbe più tornata. Notai che mi ero persa a fissare un punto indefinito fuori dalla finestra. A forza di navigare così a fondo nei miei abissi sarei annegata nel mio stesso oblio. Proprio mentre avevo deciso che la mia giornata sarebbe stata esattamente come tutte le altre. I miei occhi caddero sul cartello che era stato piantato nel giardino della casa davanti alla mia ormai tre e passa mesi fa. Sopra alla scritta 'vende' era stato appiccicato un grande adesivo rosso che recitava quasi orgoglioso 'venduto'. Non ci potevo credere: una rottura di coglioni in più questi vicini nuovi. Soprattutto se erano quel tipo di famiglia che si era illusa che tutto era rosa e fiori e che la famiglia sarebbe per sempre stata unità. Al mio ultimo pensiero una risata scappo dalle mie labbra screpolate. Io mi ero rassegnata a pensare queste cose. Sono solo menzogne che aiutano a nascondere li sporco fastidioso per le famiglie che da fuori devono sembrare perfette. Andai svogliatamente verso il primo cassetto del mobile. Presi una maglietta nera. Poi mi abbassai al terzo cassetto. Jeans neri. Tutto preso a caso, indifferentemente. Perchè tanto a me che importava. Sarei dovuta uscire da quel buco prima o poi. Meglio poi che prima. Andai lentamente nella stanza piccola del bagno. Mi affacciai allo specchio e mi scrutai il viso. La mia carnagione era di un Rosellino tendente al bianco, a contrasto con le occhiaie bluastre per le mie lunghe notti insonni. I capelli neri tutti scompigliati e non curati. I miei occhi azzurri non esprimevano niente. Non riuscivo a trovare un briciolo di emozione in quelle due ferite blu. Si erano spenti molto tempo fa ormai. Presi una spazzola da una delle tasche alte vicino allo specchio.mi feci una coda ordinata alta. Presi un fottuto correttore non volevo far vedere agli altri le mie debolezze. Nessuno se ne sarebbe mai accorto. Non se non lo volevo io. Questo era poco ma sicuro. Rimasi acqua e sapone anche perchè mi scocciava truccarmi. Dopo aver allacciato le mie vans nere. Ero pronta per il grande passo. Presi il mio telefono inutilizzato ormai da un sacco di tempo. Lo misi sotto carica. E quando lo schermo si accese una cascata di messaggi era pronta ad allargare il mio povero cellulare. Non ci diedi importanza e Andai diretta alla rubrica a cercare quello che mi serviva. Il suo numero era nella lettera 'A' e quando lo cliccai il suono ripetitivo sembro durare un eternità per me che non chiamavo una persona da due mesi a quella parte. "Rispondi..." dopo sette squilli identici la sua voce rassicurante, la voce della mia migliore amica inondó l'altoparlante del mio cellulare che in quel momento ero felice di tenere stretto vicino al mio orecchio. " chelsea; sono due mesi che provo a passare da casa tua o a chiamarti, nessuno sapeva doveri finita. Sono morta dalla preoccupazione. Giuro." Disse con tono che mi fece sentire terribilmente in colpa. Poi, dopo un lungo sospiro, il suo tono si addolci. " lo so che ci sarà stato un motivo se sei stata chiusa in quel buco per due mesi, so che volevi prenderti una pausa fa tutto quello che è successo questo inverno. Ma la tua pausa e durata abbastanza. Quindi- dopo una più o meno lunga pausa- sto arrivando a fare compagnia a te e alla tua angoscia mia cara." Non potei fare altri che rispondere positivamente ma non troppo. Nemmeno con la mia migliore amica ero rimasta la stessa da quando tutto era successo. Ma lei continuava ad esserci sempre. Senza pregiudizi o conclusioni affrettate. Non si era mai stancata di trascinarmi avanti e io pregavo dio che lei non smettesse mai. Intanto, come sempre, il fumo entrava e usciva dai miei polmoni regolarmente.

xx.chelsea smile.xxDove le storie prendono vita. Scoprilo ora