La consapevolezza di essere nel torto non induce necessariamente a rimediare ai propri errori.
Louis attraversò velocemente l'ala più interna del locale e, con la testa che girava, andò incontro al ragazzo moro, che in sua assenza era riuscito a trovare altra compagnia; lo trovò intento a tastare il corpo di un altro ragazzo, più basso, e di cui Louis riconobbe solo il colore vivace e verdognolo dei suoi capelli, o almeno, sotto la luce e con la vista che andava via via ad offuscarsi sempre di più, fu quello il colore che riuscì ad identificare. Non badò particolarmente alla cosa, continuando imperterrito verso il suo obbiettivo.
"Zayn!" gridò, o credette di gridare, con la musica che iniziava a diventare esageratamente alta. Si rivolse al ragazzo moro, ma in cambio non ricevette nulla più di uno sguardo disgustato. Il ragazzo castano non badò molto neanche a ciò, più per la momentanea impossibilità di ragionare in maniera lucida, che per un vero e proprio menefreghismo.
Zayn lasciò lentamente andare i fianchi del ragazzo dai capelli apparentemente colorati, accennando un sorriso e lasciandogli un bacio umido sulla guancia, il tutto accompagnato da un'alzata di occhi impercettibile di questo. Louis sorrise a causa dell'eccessiva quantità di alcol che aveva ingerito, fin troppo entusiasta per qualcosa di palesemente poco gradevole, venendo poco dopo tirato per un polso dal moro di fronte a sé e spinto successivamente fuori dal locale.
"Mi stai facendo male" tirò fuori, sussurrando quasi le parole e restando a stento in piedi, fermandosi solo una volta raggiunto il motorino del suo accompagnatore, che ignorò volutamente le sue parole. Louis era perfettamente abituato, a volte c'era un prezzo da pagare nell'avere al proprio fianco qualcuno come Zayn, e lui il suo lo scontava ogni giorno, pagava ogni giorno per la sua colpa di essere così debole e fortunato al tempo stesso.
Le mani di Zayn strinsero forte la vita di Louis, che non mosse un muscolo, spingendolo contro il suo posto sul ciclomotore, dove il ragazzo iniziò a tastarne la parte posteriore, tirando fuori il casco e posandolo lentamente sulla sua testa, mancandola un paio di volte ed accompagnando i suoi errori con uno sbuffo. Zayn salì velocemente, pensando a quanto effettivamente volesse lasciarlo lì, in balia del suo destino. Alla fine, Louis era un tipo sveglio, in quei cinque anni lo aveva capito, se la sarebbe cavata. Scacciò quei pensieri e si diresse verso casa sua, evitando di considerare troppo le piccole mani del castano poco più dietro, che gli stringevano timidamente la vita.
Il telefono di Louis vibrò per l'ennesima volta, accompagnato dalla suoneria della sua sveglia, rendendolo consapevole del fatto che probabilmente restare a letto tutto il giorno non sarebbe stato sensato. Stese il braccio verso destra, posando la mano sulla piazza opposta alla sua e sospirò nello stringere le lenzuola, pensando a quanto fosse normale, alzarsi ed essere solo. Aspettare Zayn rientrava sicuramente nei suoi programmi quotidiani, ma poteva definirsi un'attesa settimanale, mensile, annuale ormai, ed ogni volta, quando veniva interrotta, ricominciava qualche ora dopo.
Dopo essersi rivestito, si passò velocemente una mano sulla testa, ancora dolorante dalla serata precedente, ed aprì gli occhi solo per evitare al telefono di suonare ancora una volta, a causa della sveglia di riserva; notò, però, due notifiche diverse dai soliti avvisi pubblicitari, nella cartella dei messaggi:
Da: sconosciuto
Tua madre ti ha mai parlato del famoso "non lasciare il tuo numero agli sconosciuti", Louis?
Inizialmente sobbalzò spaventato, chiedendosi per quale motivo lo "sconosciuto" conoscesse il suo nome, paura che scomparve poco dopo, quando lesse il secondo messaggio, inviato dallo stesso numero:
Da: sconosciuto
Nel caso te lo stessi chiedendo, sono Harry, o se preferisci colui che non riesce a flirtare nel modo corretto, per quanto non fosse assolutamente il mio intento, almeno, non con te. Non ti ho mai visto lì, eppure è una specie di rituale il mio sabato sera in quel posto.

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Fiksi Penggemar“O forse il destino lo ha inventato chi voleva trovare una scusa a ciò che gli succedeva, per autoconvincersi di non essere lui il responsabile delle cose negative o di quelle positive, semplicemente accadevano perché erano destinate ad accadere, co...